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La
Nazione del 17/01/2001 (Umbria)
Lavorano
anche 60 ore a settimana perché il loro, denunciano, è l’unico contratto
pubblico a non prevedere nessun orario. E
così, tra notifiche che scadono e atti giudiziari urgenti e rischio concreto di
finire nei guai, stanno per scoppiare. Sono gli ufficiali giudiziari della Corte
di Appello di Perugina stanchi di dover fare i conti con organici carenti e una
normativa che tarda ad arrivare per ridisegnare mappe, carichi di lavoro e
soprattutto orari. E ora, alle denunce pubbliche hanno preferito le vie legali. Due di loro, Umberto Satolli e Maria Antonietta Di Toro, sono arrivati al punto di ricorrere al giudice del lavoro per il riconoscimento dell’orario. “Abbiamo
dovuto tentare obbligatoriamente la conciliazione presso l’ufficio del lavoro
–dicono- nessun esito ma solo la volontà del ministero di procrastinare
questa situazione di negazione dei diritti fondamentale del lavoratore”.
Quella giudiziaria è quindi “l’ultima risorsa”. Ma si sa, l’attesa
della sentenza, se non entrerà prima in vigore una norma, è troppo lunga per
continuare a lavorare in condizioni disumane. “Siamo dipendenti pubblici a
tutti gli effetti –dice Di Toro- ma nel nostro ordinamento emanato con Regio
decreto non si fa riferimento all’orario”. C’è scritto ad esempio
“dall’alba al tramonto per le notifiche civili, tutta la giornata per quelle
penali”. “Occorrerebbe
che l’ordinamento precedente venisse abrogato e che il ministero sanasse
situazioni anomale”; come ad esempio quella che prevede che le notifiche
vengano fatte a piedi. “Ribadisco
–dice Di Toro- che come dipendenti pubblici dovremmo lavorare 36 ore alla
settimana, ma se non facciamo il nostro lavoro siamo responsabili dei ritardi
sia civilmente che penalmente”. Erika Pontini |