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Sentenza
di II grado della Corte d'Appello di Bolzano, la quale confermando la sentenza
del Giudice del Lavoro di Bolzano ha condannato l' Amministrazione al pagamento
delle spettanze relative alla percentuale del collega addetto al Tribunale di
Bolzano, sezione distaccata di Brunico (BZ). (In data 6/8/2002 l'Avvocatura ha
notificato ricorso in Cassazione).
Si ringrazia per la segnalazione e la
trasmissione della sentenza il collega PaoloPesa.
REPUBBLICA
ITALIANA In Nome Del Popolo Italiano
La
Corte d'Appello di Trento
Sezione Distaccata di Bolzano - Sezione
per le controversie di lavoro e previdenza riunita in camera di consiglio nelle
persone dei Signori Magistrati:
dott.
Heinrich Zanon
Presidente
dott.
Giuseppe Caracciolo
Consigliere estensore
dott.
Pietro Merletti
Consigliere
ha
pronunciato la seguente
SENTENZA
nella
causa civile di II° grado 62/2002 R.G. promossa
da
Ministero
della Giustizia e dal
Ministero dell'Economia e delle Finanze nonché Agenzia delle Entrate, in
persona dei rispettivi Ministri e, per quanto attiene all'Agenzia delle Entrate,
del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi ex lege
dall'Avvocatura dello Stato di Trento,presso i cui Uffici in Trento, Largo Porta
Nuova n. 9sono pure domiciliati.
appellanti
contro
VASILICO
Rüdiger, rappresentato
e difeso dall'avv. Maurizio Vezzali di Bolzano, via Grappoli nr. 23,
elettivamente domiciliato presso lo studio di questo, giusta delega a margine
della comparsa di costituzione e risposta dd. 27.03.2002
Appellato
oggetto:
Appello
avverso sentenza del Giudice del Lavoro di Bolzano n. 399/2001 dd. 14.06.2001
ricorso
ex art. 433 c.p.c.
Causa
decisa all'udienza del 05.06.2002 con lettura del dispositivo di sentenza sulle
seguenti
Voglia
l'ill.ma Corte d'Appello, in riforma dell'appellata sentenza di primo grado,
annullare o revocare - per difetto di legittimazione passiva dell'intimato
Ministero della Giustizia e/o per difetto di legittimazione attiva dell'istante
ufficiale giudiziario dirigente, oppure per insussistenza e/o infondatezza
dell'azionato diritto di credito - il decreto ingiuntivo dd. 21.9.2000
rilasciato dal Tribunale di Bolzano, Giudice del Lavoro; in ogni caso,
respingere ogni e qualsiasi domanda proposta dalla controparte nei confronti del
Ministero della Giustizia e dell'Agenzia delle Entrate nonché del Ministero
dell'Economica e delle Finanze. Con rifusione di spese, competenze, onorari di
entrambi i gradi di giudizio.
del
procuratore di parte appellata:
Voglia
la Corte d'Appello di Trento, Sezione Lavoro e Previdenza: rigettare il ricorso
in appello e confermare in ogni sua parte la sentenza appellata; in ogni caso,
con vittoria di spese, diritti ed onorari anche del presente giudizio.
SVOLGIMENTO
DEL PROCESSO
Con
atto di ricorso d'appello, depositato in cancelleria il 16.2.2002, il Ministero
della Giustizia ed il Ministero dell'economia e delle Finanze nonché Agenzia
delle Entrate conveniva dinnanzi all'intestata Sezione distaccata in Bolzano
della Corte di Appello di Trento, in qualità di giudice del lavoro, Vasilico
Volker Rüdiger, esponendo che quest'ultimo aveva ottenuto dal giudice del
lavoro presso il Tribunale di Bolzano, nei confronti di entrambe le
Amministrazioni, decreto ingiuntivo per la somma di £ 92.734.725 afferente alle
"partecipazioni degli Ufficiali Giudiziari alle somme recuperate
dall'Erario sui campioni civili penali ed amministrativi e sulle somme
introitate per effetto della vendita dei corpi di reato", avverso il quale
essi appellanti avevano proposto opposizione,che era stata però respinta dal
giudice adito.
Se
ne dolevano in questa sede gli appellanti osservando che il giudice di primo
grado aveva dato erroneo rilievo alla circostanza che gli ufficiali giudiziari
siano dipendenti dal Ministero di giustizia, atteso che la controversia non
atteneva al rapporto di servizio che lega gli ufficiali giudiziari al predetto
ministero ma invece risultava dalla pretesa rivolta contro il Ministro delle
finanze nei confronti del quale era stato reclamato il pagamento della citata
somma da parte dell'ingiungente, nella veste di dirigente dell'Ufficio UNEP di
Brunico, onde poterne fare riparto tra i dipendenti dell'Ufficio medesimo.
Le
Amministrazioni appellanti assumevano che, perciò, l'ingiungente non avrebbe
potuto accampare pretesa alcuna nei confronti del Ministero della Giustizia, che
non avrebbe potuto essere considerato debitore (in senso civilistico) nei
confronti di un proprio organo amministrativo e che, semmai, lo sarebbe
diventato "in un secondo momento, a seguito della ripartizione ‑
operata dal dirigente‑organo nei confronti dei propri dipendenti".
Aggiungevano che il primo giudice avrebbe dovuto tenere conto della peculiarità
dei passaggio precedimentale/contabile “in cui si è concretamente inserito il
decreto ingiuntivo”, passaggio attinente ai rapporti finanziari tra diverse
amministrazioni, nel corso del quale non si sarebbe potuto ancora parlare di
"diritti soggettivi di tipo retributivo in capo ai singoli dipendenti, nei
confronti del proprio datore di lavoro", o almeno non prima della
conclusione del procedimento amministrativo di trasferimento dei relativi fondi
dagli uffici finanziari a quelli del Ministero della Giustizia.
Il
giudice di primo grado aveva perciò errato nel qualificare l'ufficio
dell'Amministrazione finanziaria tenuto al pagamento delle somme come mero
delegato per il pagamento o “adiectus solutionis causa”, trattandosi nella
specie di causa non delle somme contemplate dal primo
comma dell'art.122 del DPR 1229 del 1959 (di immediata spettanza degli ufficiali
giudiziari) ma delle somme contemplate nel secondo comma dello stesso
articolo (che competono originariamente all'Erario il quale, solo in un secondo
tempo, deve metterne una percentuale a disposizione del Ministero della
Giustizia). Prima di questo momento il Ministero della Giustizia non può
disporre di quei fondi né provvedere autonomamente alla loro erogazione, sicché
l'asserito delegante non ha alcuna possibilità di adempiere in luogo
dell'asserito delegato.
In
accoglimento di siffatta doglianza,le Amministrazioni appellanti chiedevano a
questa Corte di accertare che, nella particolare fase amministrativa in cui era
stato chiesto il decreto ingiuntivo, nessuna pretesa poteva essere azionata nei
confronti del Ministero della giustizia, giacché essa sarebbe sorta (con il
correlativo diritto soggettivo) solo una volta che l'anzidetto ministero avesse
ottenuto il trasferimento dei fondi in questione.
Con
separata doglianza, le Amministrazioni appellanti si dolevano che il giudice di
prime cure avesse ritenuto esistente la legittimazione del ricorrente a
pretendere il pagamento del credito, per quanto l'anzidetto ricorrente non
potesse di certo vantare un personale diritto retributivo all'intera somma,
giacché destinata ad essere distribuita tra tutti gli aventi diritto addetti
all'Ufficio UNEP di Brunico. Gli Uffici Finanziari, pur tenuti a liquidare
l'anzidetta somma nei confronti del dirigente di quell'ufficio non potevano
considerarsi debitori nei confronti del medesimo dirigente ma semplicemente
"obbligati a compiere una attività amministrativa", e cioè "la
tempestiva trasmissione della liquidazione per poter consentire le successive
operazioni di ripartizione".
Secondo
le Amministrazioni appellanti, il ricorrente avrebbe potuto reclamare
l'adempimento di un dovere di fare" ma non avrebbe potuto pretendere di
azionare un suo credito personale", quasi fosse creditore a titolo
retributivo e per far valere una mora che suppone l'esistenza di una
obbligazione certa liquida ed esigibile, nella specie inesistente. Trattandosi
di una pura fase interorganica e* mancando un diretto rapporto tra l'ingiungente
e gli Uffici Finanziari, l'asserito ritardo di adempimento si sarebbe dovuto
contrastare da parte del dirigente dell'Ufficio UNEP a mezzo dei "noti
rimedi avverso il silenzio‑rifiuto o silenzio‑adempimento dinanzi al
giudice amministrativo", sicché non poteva che considerarsi frutto dì
errore l'argomento adoperato dal primo giudice secondo cui al dirigente
dell'Ufficio UNEP compete la rappresentanza dei dipendenti dell'Ufficio
medesimo, mentre egli interviene nella procedura non già come dipendente ma
come organo dell’Amministrazione della Giustizia, e perciò sarebbe semmai
legittimato a pretendere il compimento di una attività amministrativa e non il
pagamento dai una somma di danaro. Alla luce della anzidette doglianze, le
Amministrazioni appellanti chiedeva a questa Corte di ritenere il difetto di
legittimazione passiva del Ministero della Giustizia ed il difetto di
legittimazione attiva del ricorrente nonché comunque l'inesistenza o
infondatezza del diritto di credito vantato, e perciò di annullare o revocare
il decreto ingiuntivo, respingendo ogni domanda proposta con esso dal
ricorrente.
Radicatosi
il contraddittorio, l'appellato contestava le doglianze avversarie e ne chiedeva
la reiezione, insieme con l'appello.
Prodotti
dalle parti i fascicoli di primo grado, all'udienza del 10.4.2002 le parti
precisavano le conclusioni riportate in epigrafe. Fu fissata ulteriore udienza
per la decisione, con concessione alle parti di un termine per la presentazione
di note difensive. All'odierna udienza la causa è stata decisa e del
dispositivo è stata data pubblica lettura.
L'appello
è infondato e va, pertanto, reietto.
Le
amministrazioni appellanti fondano le proprie doglianze su una prospettiva
totalmente incongrua e fuorviante, e cioè sulle vecchie e superate distinzioni
tra diritti ed interessi legittimi (per quanto siffatto ultimo termine non sia
mai stato adoperato), senza rendersi conto che la nuova struttura dei rapporti
di lavoro dei dipendenti pubblici, dalla data del loro assoggettamento alle
regole del diritto civile, preclude l'applicazione di siffatti istituti di
origine amministrativa e supera la stessa ragione per la quale una tale
distinzione, nella branca amministrativa, si è storicamente imposta.
Senza
voler qui entrare nell'analisi dei massimi sistemi, basterà dire che, dovendosi
muovere dal pacifico presupposto della posizione di pubblici dipendenti degli
ufficiali giudiziari (sul punto si vedano Cass. 4.10.1975 n.3311 e Cass.
11.11.1975, n.3780) e dall'altrettanto pacifico presupposto della natura
retributiva degli emolumenti dì cui qui si discute (sul punto si veda Consiglio
di Stato AP 28.5.1974, n.6; Consiglio di Stato Sez.4 8.11.1977, n.941; Consiglio
di Stato Sez.4 1.7.1980 n.728), se si volessero accettare le involute tesi delle
Amministrazioni appellanti si dovrebbe incorrere nell'aberrazione di assegnare
ai citati dipendenti un diritto (per giunta retributivo, e perciò connaturato
dalla funzione alimentare che lo rende idoneo alla specifica tutela che
l'ordinamento appresta per siffatta categoria di posizioni soggettive), senza
riconoscere ad esso alcuno strumento per farlo valere, abbandonandolo al mero
arbitrio delle Pubbliche Amministrazioni alle quali soltanto -forti delle loro
"mere relazioni interorganiche”- sarebbe dato di stabilire se e quando
adempiere, atteso che prima della "liquidazione" nessuna posizione
soggettiva perfetta spetterebbe agli "apparenti creditori", ma solo la
condizione di soggetti alle incoercibili determinazioni dell'Amministrazione.
A
sostegno di siffatta costruzione, le Amministrazioni appellanti giungono
addirittura a sostenere che il diritto di credito dell'Ufficiale giudiziario per
siffatte somme sorgerebbe si, ma solo per effetto dell'adempimento da parte
dell'Ufficio Finanziario, sicché ‑par di capire‑ estinzione e
genesi del credito, per prodigio unico ed inaudito nel pur complesso ordinamento
italiano, coinciderebbero nel medesimo istante temporale.
D'altronde,
pure l'assunto per cui il Ministro di Giustizia non potrebbe essere creditore
nei confronti di un "proprio organo amministrativo,, è frutto di un
lampante fraintendimento, atteso che tutti i pubblici dipendenti che esercitano
funzioni "organiche" percepiscono (e proprio per questo) una
retribuzione che è oggetto di una obbligazioni (in senso civilistico), cosi
come è frutto di evidente fraintendimento l'assunto secondo cui il ricorrente
non farebbe valere un diritto afferente al suo rapporto di servizio, giacché
invece quello chiede proprio di ottenere il pagamento di retribuzioni che non
possono che trovare genesi e titolo nel rapporto di servizio, cioè nelle
funzioni che gli Ufficiali giudiziari espletano come dipendenti pubblici.
Altra
cosa invece è stabilire, ciò che è chiesto al giudice adito, in prime cure ed
a questa corte ora: se il credito vantato esiste davvero e nei confronti di
quale delle due amministrazioni esso è eventualmente‑ esigibile e da
parte di chi, e di questi aspetti della questione occorre che questa corte si
occupi nel fare esame delle doglianze i proposte dalle Amministrazioni
appellanti, perciò tralasciando di considerare la fallace prospettiva nella
quale le appellanti medesime hanno inteso impostare il quadro complessivo di
riferimento della vicenda.
Quanto
al primo dei due aspetti ‑che va specificato nel senso di acclarare se il
credito esistesse nel momento in cui è stato fatto oggetto dell'istanza di
ingiunzione (giacché è proprio su questo che si appunta la contestazione delle
Amministrazioni appellanti)‑ va detto che l'infondatezza delle ragioni di
gravame si evince gia per l'incoerenza di uno degli argomenti valorizzati in
atto di appello, e cioè quello secondo cui le somme di cui al primo comma
dell'art.122 citato sarebbero di immediata spettanza degli ufficiali giudiziari,
mentre i diversi importi previsti e disciplinati dal comma 2° della stessa
norma competerebbero originariamente all'Erario e, solo “sub condicione"
(o a decorrere dal termine), della loro effettiva liquidazione, competerebbero
agli ufficiali giudiziari.
Da
dove le Amministrazioni appellanti traggano una tale differenza non è dato di
intendere, atteso che la disciplina dettata dagli art.138 e 139 stessa legge
prevede per entrambi i generi di somme che esse siano inizialmente incassate
dall'Ufficio del registro e che esse siano versate "direttamente
all'ufficiale giudiziario dirigente", "previa ritenuta della tassa del
10% di cui all'art.154 alla fine di ogni mese", quanto ai
"diritti" ed l'alla fine di ogni bimestre ... nel procedere alla
liquidazione delle percentuali di cui ai commi precedenti" quanto alle
"percentuali".
D'altronde,
identica procedura si applica alle une ed alle altre somme anche in riferimento
alle modalità della loro effettiva attribuzione ai soggetti a cui spettano in
via definitiva (grazie alla ripartizione a cui provvede il dirigente
dell'Ufficio UNEP), sicché anche sotto questo punto di vista non vi è ragione
di distinguere natura e funzione ed esigibilità di entrambe le poste.
Ed
allora, se le Amministrazioni appellanti non nutrono dubbi sul fatto che i
"diritti" spettino agli ufficiali giudiziari senza condizione e senza
termine, non si vede perché (ed infatti le appellanti non lo esplicitano,
limitandosi ad affermarlo assertivamente) allo stesso modo non debbano spettare
le "percentuali".
Benvero,
si tratta di obbligazioni la cui natura retributiva, da una parte implica che
maturino alla scadenza del periodo lavorativo cui esse si riferiscono (e che
implicitamente è fatto coincidere dalle citate norme con il mese per quanto
attiene ai diritti e con il bimestre per quanto attiene alle percentuali), e
dall'altra implica che gravino in capo a colui che deve essere qualificato come
"datore di lavoro", giacché è titolare del rapporto (di servizio,
nella fattispecie) donde l'obbligazione retributiva trae origine.
A
questo schema generale non apporta deroga alcuna la circostanza che poi le
concrete modalità di erogazione della pecunia fatta oggetto dell'obbligazione
siano determinate dalla legge qui in considerazione con il tortuoso sistema di
cui si è detto, giacché è principio generale (art.1180 cod civ, e le
disposizioni anzicitate ne fanno mera applicazione per l'istituto di specie) che
è legittimo l'adempimento da parte dì un terzo, per quanto vi osti la volontà
del debitore. Tanto più si giustifica l'applicazione di un principio siffatto
in materia di obbligazione pecuniaria, il cui oggetto è fungibile per
eccellenza e non si presta a distinzioni fondate sull'intuitu personae.
E'
ovvio però che l'adempimento da parte di un terzo, per quanto sia identificato
per legge non libera dalla sua obbligazione l'obbligato principale né gli
consente di sottrarsi avvalendosi dell'esistenza di una obbligazione altrui (che
altro non può essere che aggiuntiva), come dimostra per espresso la previsione
dell'art.148 della legge citata, a norma della quale la corresponsione di un
ammontare insufficiente di "diritti" (rispetto ad un parametro che ora
non interessa precisare) comporta il riemergere dell'obbligazione in capo
all'obbligato principale,sia pure per la parte rimasta insoddisfatta, regola che
a maggior ragione deve valere allorquando l'inadempimento riguardi addirittura
l'intero ammontare di uno dei due elementi costitutivi della retribuzione
dell'Ufficiale giudiziario.
Se
così non fosse, non resterebbe che pensare che quello sub iudice è un anomalo
rapporto trilatero, nell'ambito del quale farebbero capo al Ministero di
Giustizia tutti gli aspetti del rapporto di servizio diversi da quello
retributivo e al Ministero delle Finanze gli aspetti attinenti alla
retribuzione, cosa che ‑indipendentemente dalla stranezza di una simile
costruzione‑ nessuno ha fino ad ora sostenuto, nemmeno le odierne
appellanti. Di poi, la circostanza che l'art.148 or ora citato si riferisca, con
il nome che più tradizionalmente serve a identificare lo Stato apparato,
all'Erario, consente di riportare la questione sui binari della logica e della
sostanza e cioè alla pedestre considerazione che ‑quale che sia
l'Amministrazione a cui riferire il rapporto di servizio‑ sull'unitaria
cassa dello Stato la retribuzione del pubblico dipendente finisce per gravare,
sicché la parcellizzazione delle responsabilità finisce per risultare
‑al postutto‑ nient'altro che un paravento dell'inerzia.
Qualunque
altro residuo dubbio circa la contestata "legittimazione passiva" del
ministero di Giustizia resta certamente fugato dal richiamo all'insegnamento del
Supremo Collegio (Cass. Sez. Un. 6.2.1979,n.782 adottata in riferimento ad epoca
antecedente alla cosiddetta "privatizzazione" del rapporto) per cui
"sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ai
sensi degli artt. 29 n 1 del RD 26 giugno 1924 n 1054 e 7 della legge 6 dicembre
1971 n 1034, le controversie concernenti il rapporto di lavoro degli ufficiali
giudiziari e degli aiutanti ufficiali giudiziari,ivi comprese quelle riguardanti
pretese patrimoniali che traggano titolo dal rapporto stesso (quali l'assegno
perequativo concesso dalla legge15 novembre 1973 n.734 e le percentuali sugli
introiti dell’erario previste dal DPR 15 dicembre 1959 n 1229), atteso che le
prestazioni rese dai predetti soggetti,in quanto stabilmente inserite
nell'ambito della organizzazione pubblicistica dell'amministrazione della
giustizia, integrano, ai fini della giurisdizione, un rapporto di pubblico
impiego".
Dunque,
più che della "legittimazione passiva,, del Ministero di Giustizia (che
alla corte appare indiscutibile) si potrebbe semmai discutere della
legittimazione passiva del Ministero delle Finanze il quale (come terzo ed
estraneo al rapporto di servizio), per quanto indicato dalla legge per la
corresponsione delle somme, sembrerebbe estraneo alla obbligazione retributiva
e, semmai, diventa obbligato per il solo fatto di avere inadempiuto
all'obbligo,‑ di corresponsione entro il termine fissato per legge, e
dunque perché detentore di somme che non gli appartengono siccome già
maturate, a quella scadenza, in capo al dirigente dell'Ufficio Unep.
Di
siffatta legittimazione però non può discutersi in questa sede, perché le
appellanti non l' hanno coinvolta nell'ambito delle ragioni di doglianza.
Non
resta ‑allora‑ che occuparsi dell'aspetto della cosiddetta
"legittimazione attiva" del dirigente dell'Ufficio UNEP, il quale
agisce per l'adempimento di un credito retributivo che, in definitiva, compete
solo in parte a lui e per il resto agli altri componenti del suo ufficio.
Ciò
è vero, però, solo in parte, giacché si è detto che la legge identifica
proprio il Dirigente dell'Ufficio UNEP come legittimato a ricevere il versamento
di dette somme e lo onera di provvedere alla conseguente ripartizione, prima di
che non sembra che i singoli componenti dell'ufficio siano in grado di conoscere
l'esatto ammontare dei loro crediti verso l'Erario, e perciò non siano in grado
di agire "uti singuli" per ottenerne l'adempimento.
Si
deve poi considerare che in più di una occasione la Suprema Corte (per tutte
Cass. 10.7.1980 n.4439 e Cass. 5.10.1982, n.5113) ha ribadito il principio per
cui "il rapporto di lavoro dei cosiddetti amanuensi presso gli uffici unici
per le notifiche si costituisce direttamente con i suddetti uffici,
rappresentati dall'ufficiale giudiziario preposto alla dirigenza, per lo
svolgimento di attività puramente strumentali ed accessorie rispetto a quelle
istituzionali degli uffici stessi". La prima delle due richiamate pronunce
ha precisato (in motivazione):"quanto poi alla rappresentanza legale
dell'ufficio riguardo ai rapporti con i dipendenti privati è indubitabile che
essa spetta non al presidente del Tribunale o al Presidente della Corte
d'Appello bensì al dirigente dell'Ufficio unico stesso il quale, a norma
dell'art.146 del DPR 15.12.1959, n.1229 (modificato dall'art.17 della legge
11.6.1962, n.546) è l'unico responsabile delle somme riscosse dall'ufficio,
somme che,detratta una quota per spese, vanno ripartite tra gli ufficiali
giudiziari ivi addetti".
Una
tale affermazione si impone (e trae le mosse) per conseguenza di precedente
insegnamento del Giudice di Legittimità che aveva ritenuto che la collettività
degli ufficiali giudiziari e degli aiutanti ufficiali giudiziari addetti allo
stesso ufficio dovesse essere qualificata come associazione non riconosciuta
"intesa a svolgere attività di interesse comune, con fondo comune e con
vincoli tra gli associati,dai quali sono sorti diritti e doveri reciproci e si
sono delineati rapporti dell'associazione di fronte ai terzi" (Cass.
n.2064/64) o addirittura come"collettività assimilabile alla società di
fatto"(Cass.n.2615/78).
Quest'ultima
pronuncia ha coerentemente affermato: "pertanto, dovendo essere applicato
l'art2267 cod civ (a meno che non risulti la conclusione di patti contrari
adeguatamente portati a conoscenza dei terzi), delle obbligazioni contratte ai
fini del funzionamento dei predetti uffici e,in particolare,delle obbligazioni
insorte nei confronti del personale assunto per l'espletamento del lavoro
interno degli uffici stessi (secondo quanto era possibile prima della legge 12
luglio1975 n 322) debbono rispondere non soltanto gli uffici con il fondo
comune, ma tutti i singoli ufficiali giudiziari che lo compongono al momento
dell'assunzione del personale, nonché quelli che vi abbiano successivamente
fatto parte (art 2269 cod civ) e ciò per il solo fatto di tale appartenenza ,a
prescindere, dalla circostanza che essi abbiano agito in nome e per conto degli
uffici medesimi".
Alla
stregua di un tale insegnamento, non si vede perché ciascuno dei componenti
della collettività degli ufficiali giudiziari (e non necessariamente il solo
dirigente) non dovrebbe poter agire in rappresentanza della collettività
medesima, tanto per le obbligazioni attive che per quelle passive.
In
coerenza con cosi autorevole insegnamento,non resta a questa Corte se non
disattendere anche l'ulteriore eccezione di parte appellante, perciò rigettando
completamente l'appello.
La
regolazione delle spese di lite è informata al criterio della soccombenza.
Liquidazione al dispositivo.
Sentenza
esecutiva.
P.
Q. M. ,
la
Corte di Appello di Trento ‑ Sezione Distaccata di Bolzano, in quanto
Sezione per le controversie di lavoro, definitivamente pronunciando sull'appello
ad impugnazione della sentenza numero 399/01 dd. 14.6.2001 pronunciata dalla
Sede Principale del Tribunale di Bolzano in quanto Giudice del lavoro, ogni
altra istanza, eccezione e difesa disattesa:
1.
rigetta l'appello proposto dalle Amministrazioni Pubbliche;
2.
condanna la parte appellante a rifondere all'appellato le ulteriori spese
processuali sostenute dal medesimo nel presente grado del giudizio, liquidate in
complessivi Euro 2.000,00.‑, oltre ad IVA ed annessi ed oltre al 10% sugli
onorari e i diritti a titolo di rimborso forfetario delle spese generali, di cui
E 800,00 per diritti di procuratore, E 1.150,00 per onorario di avvocato ed il
resto per esborsi, oltre alle successive occorrende.
Sentenza
provvisoriamente esecutiva.
Così
deciso in Bolzano addì 5.6.2002.
Il
Giudice Estensore
il Presidente
dott.
Giuseppe Caracciolo dott.
Heinrich Zanon
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