Associazione di studio, formazione e informazione per la valorizzazione della figura dell'ufficiale giudiziario


Sentenza di II grado della Corte d'Appello di Bolzano, la quale confermando la sentenza del Giudice del Lavoro di Bolzano ha condannato l' Amministrazione al pagamento delle spettanze relative alla percentuale del collega addetto al Tribunale di Bolzano, sezione distaccata di Brunico (BZ). (In data 6/8/2002 l'Avvocatura ha notificato ricorso in Cassazione).
Si ringrazia per la segnalazione e la trasmissione della sentenza  il collega  PaoloPesa.




REPUBBLICA ITALIANA In Nome Del Popolo Italiano

La Corte d'Appello di Trento Sezione Distaccata di Bolzano - Sezione per le controversie di lavoro e previdenza riunita in camera di consiglio nelle persone dei Signori Magistrati:

dott. Heinrich Zanon                  Presidente

 dott. Giuseppe Caracciolo        Consigliere estensore

 dott. Pietro Merletti                 Consigliere

ha pronunciato la seguente

 SENTENZA

nella causa civile di II° grado 62/2002 R.G. promossa

da

Ministero della Giustizia e dal Ministero dell'Economia e delle Finanze nonché Agenzia delle Entrate, in persona dei rispettivi Ministri e, per quanto attiene all'Agenzia delle Entrate, del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi ex lege dall'Avvocatura dello Stato di Trento,presso i cui Uffici in Trento, Largo Porta Nuova n. 9sono pure domiciliati.

appellanti

contro

 VASILICO Rüdiger, rappresentato e difeso dall'avv. Maurizio Vezzali di Bolzano, via Grappoli nr. 23, elettivamente domiciliato presso lo studio di questo, giusta delega a margine della comparsa di costituzione e risposta dd. 27.03.2002

Appellato

oggetto: Appello avverso sentenza del Giudice del Lavoro di Bolzano n. 399/2001 dd. 14.06.2001

ricorso ex art. 433 c.p.c.

Causa decisa all'udienza del 05.06.2002 con lettura del dispositivo di sentenza sulle seguenti

CONCLUSIONI dei procuratori di parte appellante:

Voglia l'ill.ma Corte d'Appello, in riforma dell'appellata sentenza di primo grado, annullare o revocare - per difetto di legittimazione passiva dell'intimato Ministero della Giustizia e/o per difetto di legittimazione attiva dell'istante ufficiale giudiziario dirigente, oppure per insussistenza e/o infondatezza dell'azionato diritto di credito - il decreto ingiuntivo dd. 21.9.2000 rilasciato dal Tribunale di Bolzano, Giudice del Lavoro; in ogni caso, respingere ogni e qualsiasi domanda proposta dalla controparte nei confronti del Ministero della Giustizia e dell'Agenzia delle Entrate nonché del Ministero dell'Economica e delle Finanze. Con rifusione di spese, competenze, onorari di entrambi i gradi di giudizio.

 del procuratore di parte appellata:

Voglia la Corte d'Appello di Trento, Sezione Lavoro e Previdenza: rigettare il ricorso in appello e confermare in ogni sua parte la sentenza appellata; in ogni caso, con vittoria di spese, diritti ed onorari anche del presente giudizio.

 SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di ricorso d'appello, depositato in cancelleria il 16.2.2002, il Ministero della Giustizia ed il Ministero dell'economia e delle Finanze nonché Agenzia delle Entrate conveniva dinnanzi all'intestata Sezione distaccata in Bolzano della Corte di Appello di Trento, in qualità di giudice del lavoro, Vasilico Volker Rüdiger, esponendo che quest'ultimo aveva ottenuto dal giudice del lavoro presso il Tribunale di Bolzano, nei confronti di entrambe le Amministrazioni, decreto ingiuntivo per la somma di £ 92.734.725 afferente alle "partecipazioni degli Ufficiali Giudiziari alle somme recuperate dall'Erario sui campioni civili penali ed amministrativi e sulle somme introitate per effetto della vendita dei corpi di reato", avverso il quale essi appellanti avevano proposto opposizione,che era stata però respinta dal giudice adito.

Se ne dolevano in questa sede gli appellanti osservando che il giudice di primo grado aveva dato erroneo rilievo alla circostanza che gli ufficiali giudiziari siano dipendenti dal Ministero di giustizia, atteso che la controversia non atteneva al rapporto di servizio che lega gli ufficiali giudiziari al predetto ministero ma invece risultava dalla pretesa rivolta contro il Ministro delle finanze nei confronti del quale era stato reclamato il pagamento della citata somma da parte dell'ingiungente, nella veste di dirigente dell'Ufficio UNEP di Brunico, onde poterne fare riparto tra i dipendenti dell'Ufficio medesimo.

Le Amministrazioni appellanti assumevano che, perciò, l'ingiungente non avrebbe potuto accampare pretesa alcuna nei confronti del Ministero della Giustizia, che non avrebbe potuto essere considerato debitore (in senso civilistico) nei confronti di un proprio organo amministrativo e che, semmai, lo sarebbe diventato "in un secondo momento, a seguito della ripartizione ‑ operata dal dirigente‑organo nei confronti dei propri dipendenti". Aggiungevano che il primo giudice avrebbe dovuto tenere conto della peculiarità dei passaggio precedimentale/contabile “in cui si è concretamente inserito il decreto ingiuntivo”, passaggio attinente ai rapporti finanziari tra diverse amministrazioni, nel corso del quale non si sarebbe potuto ancora parlare di "diritti soggettivi di tipo retributivo in capo ai singoli dipendenti, nei confronti del proprio datore di lavoro", o almeno non prima della conclusione del procedimento amministrativo di trasferimento dei relativi fondi dagli uffici finanziari a quelli del Ministero della Giustizia.

Il giudice di primo grado aveva perciò errato nel qualificare l'ufficio dell'Amministrazione finanziaria tenuto al pagamento delle somme come mero delegato per il pagamento o “adiectus solutionis causa”, trattandosi nella specie di causa non delle somme contemplate dal primo comma dell'art.122 del DPR 1229 del 1959 (di immediata spettanza degli ufficiali giudiziari) ma delle somme contemplate nel secondo comma dello stesso articolo (che competono originariamente all'Erario il quale, solo in un secondo tempo, deve metterne una percentuale a disposizione del Ministero della Giustizia). Prima di questo momento il Ministero della Giustizia non può disporre di quei fondi né provvedere autonomamente alla loro erogazione, sicché l'asserito delegante non ha alcuna possibilità di adempiere in luogo dell'asserito delegato.

In accoglimento di siffatta doglianza,le Amministrazioni appellanti chiedevano a questa Corte di accertare che, nella particolare fase amministrativa in cui era stato chiesto il decreto ingiuntivo, nessuna pretesa poteva essere azionata nei confronti del Ministero della giustizia, giacché essa sarebbe sorta (con il correlativo diritto soggettivo) solo una volta che l'anzidetto ministero avesse ottenuto il trasferimento dei fondi in questione.

Con separata doglianza, le Amministrazioni appellanti si dolevano che il giudice di prime cure avesse ritenuto esistente la legittimazione del ricorrente a pretendere il pagamento del credito, per quanto l'anzidetto ricorrente non potesse di certo vantare un personale diritto retributivo all'intera somma, giacché destinata ad essere distribuita tra tutti gli aventi diritto addetti all'Ufficio UNEP di Brunico. Gli Uffici Finanziari, pur tenuti a liquidare l'anzidetta somma nei confronti del dirigente di quell'ufficio non potevano considerarsi debitori nei confronti del medesimo dirigente ma semplicemente "obbligati a compiere una attività amministrativa", e cioè "la tempestiva trasmissione della liquidazione per poter consentire le successive operazioni di ripartizione".

Secondo le Amministrazioni appellanti, il ricorrente avrebbe potuto reclamare l'adempimento di un dovere di fare" ma non avrebbe potuto pretendere di azionare un suo credito personale", quasi fosse creditore a titolo retributivo e per far valere una mora che suppone l'esistenza di una obbligazione certa liquida ed esigibile, nella specie inesistente. Trattandosi di una pura fase interorganica e* mancando un diretto rapporto tra l'ingiungente e gli Uffici Finanziari, l'asserito ritardo di adempimento si sarebbe dovuto contrastare da parte del dirigente dell'Ufficio UNEP a mezzo dei "noti rimedi avverso il silenzio‑rifiuto o silenzio‑adempimento dinanzi al giudice amministrativo", sicché non poteva che considerarsi frutto dì errore l'argomento adoperato dal primo giudice secondo cui al dirigente dell'Ufficio UNEP compete la rappresentanza dei dipendenti dell'Ufficio medesimo, mentre egli interviene nella procedura non già come dipendente ma come organo dell’Amministrazione della Giustizia, e perciò sarebbe semmai legittimato a pretendere il compimento di una attività amministrativa e non il pagamento dai una somma di danaro. Alla luce della anzidette doglianze, le Amministrazioni appellanti chiedeva a questa Corte di ritenere il difetto di legittimazione passiva del Ministero della Giustizia ed il difetto di legittimazione attiva del ricorrente nonché comunque l'inesistenza o infondatezza del diritto di credito vantato, e perciò di annullare o revocare il decreto ingiuntivo, respingendo ogni domanda proposta con esso dal ricorrente.

Radicatosi il contraddittorio, l'appellato contestava le doglianze avversarie e ne chiedeva la reiezione, insieme con l'appello.

Prodotti dalle parti i fascicoli di primo grado, all'udienza del 10.4.2002 le parti precisavano le conclusioni riportate in epigrafe. Fu fissata ulteriore udienza per la decisione, con concessione alle parti di un termine per la presentazione di note difensive. All'odierna udienza la causa è stata decisa e del dispositivo è stata data pubblica lettura.

MOTIVI DELLA DECISIONE

L'appello è infondato e va, pertanto, reietto.

Le amministrazioni appellanti fondano le proprie doglianze su una prospettiva totalmente incongrua e fuorviante, e cioè sulle vecchie e superate distinzioni tra diritti ed interessi legittimi (per quanto siffatto ultimo termine non sia mai stato adoperato), senza rendersi conto che la nuova struttura dei rapporti di lavoro dei dipendenti pubblici, dalla data del loro assoggettamento alle regole del diritto civile, preclude l'applicazione di siffatti istituti di origine amministrativa e supera la stessa ragione per la quale una tale distinzione, nella branca amministrativa, si è storicamente imposta.

Senza voler qui entrare nell'analisi dei massimi sistemi, basterà dire che, dovendosi muovere dal pacifico presupposto della posizione di pubblici dipendenti degli ufficiali giudiziari (sul punto si vedano Cass. 4.10.1975 n.3311 e Cass. 11.11.1975, n.3780) e dall'altrettanto pacifico presupposto della natura retributiva degli emolumenti dì cui qui si discute (sul punto si veda Consiglio di Stato AP 28.5.1974, n.6; Consiglio di Stato Sez.4 8.11.1977, n.941; Consiglio di Stato Sez.4 1.7.1980 n.728), se si volessero accettare le involute tesi delle Amministrazioni appellanti si dovrebbe incorrere nell'aberrazione di assegnare ai citati dipendenti un diritto (per giunta retributivo, e perciò connaturato dalla funzione alimentare che lo rende idoneo alla specifica tutela che l'ordinamento appresta per siffatta categoria di posizioni soggettive), senza riconoscere ad esso alcuno strumento per farlo valere, abbandonandolo al mero arbitrio delle Pubbliche Amministrazioni alle quali soltanto -forti delle loro "mere relazioni interorganiche”- sarebbe dato di stabilire se e quando adempiere, atteso che prima della "liquidazione" nessuna posizione soggettiva perfetta spetterebbe agli "apparenti creditori", ma solo la condizione di soggetti alle incoercibili determinazioni dell'Amministrazione.

A sostegno di siffatta costruzione, le Amministrazioni appellanti giungono addirittura a sostenere che il diritto di credito dell'Ufficiale giudiziario per siffatte somme sorgerebbe si, ma solo per effetto dell'adempimento da parte dell'Ufficio Finanziario, sicché ‑par di capire‑ estinzione e genesi del credito, per prodigio unico ed inaudito nel pur complesso ordinamento italiano, coinciderebbero nel medesimo istante temporale.

D'altronde, pure l'assunto per cui il Ministro di Giustizia non potrebbe essere creditore nei confronti di un "proprio organo amministrativo,, è frutto di un lampante fraintendimento, atteso che tutti i pubblici dipendenti che esercitano funzioni "organiche" percepiscono (e proprio per questo) una retribuzione che è oggetto di una obbligazioni (in senso civilistico), cosi come è frutto di evidente fraintendimento l'assunto secondo cui il ricorrente non farebbe valere un diritto afferente al suo rapporto di servizio, giacché invece quello chiede proprio di ottenere il pagamento di retribuzioni che non possono che trovare genesi e titolo nel rapporto di servizio, cioè nelle funzioni che gli Ufficiali giudiziari espletano come dipendenti pubblici.

Altra cosa invece è stabilire, ciò che è chiesto al giudice adito, in prime cure ed a questa corte ora: se il credito vantato esiste davvero e nei confronti di quale delle due amministrazioni esso è eventualmente‑ esigibile e da parte di chi, e di questi aspetti della questione occorre che questa corte si occupi nel fare esame delle doglianze i proposte dalle Amministrazioni appellanti, perciò tralasciando di considerare la fallace prospettiva nella quale le appellanti medesime hanno inteso impostare il quadro complessivo di riferimento della vicenda.

Quanto al primo dei due aspetti ‑che va specificato nel senso di acclarare se il credito esistesse nel momento in cui è stato fatto oggetto dell'istanza di ingiunzione (giacché è proprio su questo che si appunta la contestazione delle Amministrazioni appellanti)‑ va detto che l'infondatezza delle ragioni di gravame si evince gia per l'incoerenza di uno degli argomenti valorizzati in atto di appello, e cioè quello secondo cui le somme di cui al primo comma dell'art.122 citato sarebbero di immediata spettanza degli ufficiali giudiziari, mentre i diversi importi previsti e disciplinati dal comma 2° della stessa norma competerebbero originariamente all'Erario e, solo “sub condicione" (o a decorrere dal termine), della loro effettiva liquidazione, competerebbero agli ufficiali giudiziari.

Da dove le Amministrazioni appellanti traggano una tale differenza non è dato di intendere, atteso che la disciplina dettata dagli art.138 e 139 stessa legge prevede per entrambi i generi di somme che esse siano inizialmente incassate dall'Ufficio del registro e che esse siano versate "direttamente all'ufficiale giudiziario dirigente", "previa ritenuta della tassa del 10% di cui all'art.154 alla fine di ogni mese", quanto ai "diritti" ed l'alla fine di ogni bimestre ... nel procedere alla liquidazione delle percentuali di cui ai commi precedenti" quanto alle "percentuali".

D'altronde, identica procedura si applica alle une ed alle altre somme anche in riferimento alle modalità della loro effettiva attribuzione ai soggetti a cui spettano in via definitiva (grazie alla ripartizione a cui provvede il dirigente dell'Ufficio UNEP), sicché anche sotto questo punto di vista non vi è ragione di distinguere natura e funzione ed esigibilità di entrambe le poste.

Ed allora, se le Amministrazioni appellanti non nutrono dubbi sul fatto che i "diritti" spettino agli ufficiali giudiziari senza condizione e senza termine, non si vede perché (ed infatti le appellanti non lo esplicitano, limitandosi ad affermarlo assertivamente) allo stesso modo non debbano spettare le "percentuali".

Benvero, si tratta di obbligazioni la cui natura retributiva, da una parte implica che maturino alla scadenza del periodo lavorativo cui esse si riferiscono (e che implicitamente è fatto coincidere dalle citate norme con il mese per quanto attiene ai diritti e con il bimestre per quanto attiene alle percentuali), e dall'altra implica che gravino in capo a colui che deve essere qualificato come "datore di lavoro", giacché è titolare del rapporto (di servizio, nella fattispecie) donde l'obbligazione retributiva trae origine.

A questo schema generale non apporta deroga alcuna la circostanza che poi le concrete modalità di erogazione della pecunia fatta oggetto dell'obbligazione siano determinate dalla legge qui in considerazione con il tortuoso sistema di cui si è detto, giacché è principio generale (art.1180 cod civ, e le disposizioni anzicitate ne fanno mera applicazione per l'istituto di specie) che è legittimo l'adempimento da parte dì un terzo, per quanto vi osti la volontà del debitore. Tanto più si giustifica l'applicazione di un principio siffatto in materia di obbligazione pecuniaria, il cui oggetto è fungibile per eccellenza e non si presta a distinzioni fondate sull'intuitu personae.

E' ovvio però che l'adempimento da parte di un terzo, per quanto sia identificato per legge non libera dalla sua obbligazione l'obbligato principale né gli consente di sottrarsi avvalendosi dell'esistenza di una obbligazione altrui (che altro non può essere che aggiuntiva), come dimostra per espresso la previsione dell'art.148 della legge citata, a norma della quale la corresponsione di un ammontare insufficiente di "diritti" (rispetto ad un parametro che ora non interessa precisare) comporta il riemergere dell'obbligazione in capo all'obbligato principale,sia pure per la parte rimasta insoddisfatta, regola che a maggior ragione deve valere allorquando l'inadempimento riguardi addirittura l'intero ammontare di uno dei due elementi costitutivi della retribuzione dell'Ufficiale giudiziario.

Se così non fosse, non resterebbe che pensare che quello sub iudice è un anomalo rapporto trilatero, nell'ambito del quale farebbero capo al Ministero di Giustizia tutti gli aspetti del rapporto di servizio diversi da quello retributivo e al Ministero delle Finanze gli aspetti attinenti alla retribuzione, cosa che ‑indipendentemente dalla stranezza di una simile costruzione‑ nessuno ha fino ad ora sostenuto, nemmeno le odierne appellanti. Di poi, la circostanza che l'art.148 or ora citato si riferisca, con il nome che più tradizionalmente serve a identificare lo Stato apparato, all'Erario, consente di riportare la questione sui binari della logica e della sostanza e cioè alla pedestre considerazione che ‑quale che sia l'Amministrazione a cui riferire il rapporto di servizio‑ sull'unitaria cassa dello Stato la retribuzione del pubblico dipendente finisce per gravare, sicché la parcellizzazione delle responsabilità finisce per risultare ‑al postutto‑ nient'altro che un paravento dell'inerzia.

Qualunque altro residuo dubbio circa la contestata "legittimazione passiva" del ministero di Giustizia resta certamente fugato dal richiamo all'insegnamento del Supremo Collegio (Cass. Sez. Un. 6.2.1979,n.782 adottata in riferimento ad epoca antecedente alla cosiddetta "privatizzazione" del rapporto) per cui "sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ai sensi degli artt. 29 n 1 del RD 26 giugno 1924 n 1054 e 7 della legge 6 dicembre 1971 n 1034, le controversie concernenti il rapporto di lavoro degli ufficiali giudiziari e degli aiutanti ufficiali giudiziari,ivi comprese quelle riguardanti pretese patrimoniali che traggano titolo dal rapporto stesso (quali l'assegno perequativo concesso dalla legge15 novembre 1973 n.734 e le percentuali sugli introiti dell’erario previste dal DPR 15 dicembre 1959 n 1229), atteso che le prestazioni rese dai predetti soggetti,in quanto stabilmente inserite nell'ambito della organizzazione pubblicistica dell'amministrazione della giustizia, integrano, ai fini della giurisdizione, un rapporto di pubblico impiego".

Dunque, più che della "legittimazione passiva,, del Ministero di Giustizia (che alla corte appare indiscutibile) si potrebbe semmai discutere della legittimazione passiva del Ministero delle Finanze il quale (come terzo ed estraneo al rapporto di servizio), per quanto indicato dalla legge per la corresponsione delle somme, sembrerebbe estraneo alla obbligazione retributiva e, semmai, diventa obbligato per il solo fatto di avere inadempiuto all'obbligo,‑ di corresponsione entro il termine fissato per legge, e dunque perché detentore di somme che non gli appartengono siccome già maturate, a quella scadenza, in capo al dirigente dell'Ufficio Unep.

Di siffatta legittimazione però non può discutersi in questa sede, perché le appellanti non l' hanno coinvolta nell'ambito delle ragioni di doglianza.

Non resta ‑allora‑ che occuparsi dell'aspetto della cosiddetta "legittimazione attiva" del dirigente dell'Ufficio UNEP, il quale agisce per l'adempimento di un credito retributivo che, in definitiva, compete solo in parte a lui e per il resto agli altri componenti del suo ufficio.

Ciò è vero, però, solo in parte, giacché si è detto che la legge identifica proprio il Dirigente dell'Ufficio UNEP come legittimato a ricevere il versamento di dette somme e lo onera di provvedere alla conseguente ripartizione, prima di che non sembra che i singoli componenti dell'ufficio siano in grado di conoscere l'esatto ammontare dei loro crediti verso l'Erario, e perciò non siano in grado di agire "uti singuli" per ottenerne l'adempimento.

Si deve poi considerare che in più di una occasione la Suprema Corte (per tutte Cass. 10.7.1980 n.4439 e Cass. 5.10.1982, n.5113) ha ribadito il principio per cui "il rapporto di lavoro dei cosiddetti amanuensi presso gli uffici unici per le notifiche si costituisce direttamente con i suddetti uffici, rappresentati dall'ufficiale giudiziario preposto alla dirigenza, per lo svolgimento di attività puramente strumentali ed accessorie rispetto a quelle istituzionali degli uffici stessi". La prima delle due richiamate pronunce ha precisato (in motivazione):"quanto poi alla rappresentanza legale dell'ufficio riguardo ai rapporti con i dipendenti privati è indubitabile che essa spetta non al presidente del Tribunale o al Presidente della Corte d'Appello bensì al dirigente dell'Ufficio unico stesso il quale, a norma dell'art.146 del DPR 15.12.1959, n.1229 (modificato dall'art.17 della legge 11.6.1962, n.546) è l'unico responsabile delle somme riscosse dall'ufficio, somme che,detratta una quota per spese, vanno ripartite tra gli ufficiali giudiziari ivi addetti".

Una tale affermazione si impone (e trae le mosse) per conseguenza di precedente insegnamento del Giudice di Legittimità che aveva ritenuto che la collettività degli ufficiali giudiziari e degli aiutanti ufficiali giudiziari addetti allo stesso ufficio dovesse essere qualificata come associazione non riconosciuta "intesa a svolgere attività di interesse comune, con fondo comune e con vincoli tra gli associati,dai quali sono sorti diritti e doveri reciproci e si sono delineati rapporti dell'associazione di fronte ai terzi" (Cass. n.2064/64) o addirittura come"collettività assimilabile alla società di fatto"(Cass.n.2615/78).

Quest'ultima pronuncia ha coerentemente affermato: "pertanto, dovendo essere applicato l'art2267 cod civ (a meno che non risulti la conclusione di patti contrari adeguatamente portati a conoscenza dei terzi), delle obbligazioni contratte ai fini del funzionamento dei predetti uffici e,in particolare,delle obbligazioni insorte nei confronti del personale assunto per l'espletamento del lavoro interno degli uffici stessi (secondo quanto era possibile prima della legge 12 luglio1975 n 322) debbono rispondere non soltanto gli uffici con il fondo comune, ma tutti i singoli ufficiali giudiziari che lo compongono al momento dell'assunzione del personale, nonché quelli che vi abbiano successivamente fatto parte (art 2269 cod civ) e ciò per il solo fatto di tale appartenenza ,a prescindere, dalla circostanza che essi abbiano agito in nome e per conto degli uffici medesimi".

Alla stregua di un tale insegnamento, non si vede perché ciascuno dei componenti della collettività degli ufficiali giudiziari (e non necessariamente il solo dirigente) non dovrebbe poter agire in rappresentanza della collettività medesima, tanto per le obbligazioni attive che per quelle passive.

In coerenza con cosi autorevole insegnamento,non resta a questa Corte se non disattendere anche l'ulteriore eccezione di parte appellante, perciò rigettando completamente l'appello.

La regolazione delle spese di lite è informata al criterio della soccombenza. Liquidazione al dispositivo.

Sentenza esecutiva.

P. Q. M. ,

la Corte di Appello di Trento ‑ Sezione Distaccata di Bolzano, in quanto Sezione per le controversie di lavoro, definitivamente pronunciando sull'appello ad impugnazione della sentenza numero 399/01 dd. 14.6.2001 pronunciata dalla Sede Principale del Tribunale di Bolzano in quanto Giudice del lavoro, ogni altra istanza, eccezione e difesa disattesa:

1. rigetta l'appello proposto dalle Amministrazioni Pubbliche;

2. condanna la parte appellante a rifondere all'appellato le ulteriori spese processuali sostenute dal medesimo nel presente grado del giudizio, liquidate in complessivi Euro 2.000,00.‑, oltre ad IVA ed annessi ed oltre al 10% sugli onorari e i diritti a titolo di rimborso forfetario delle spese generali, di cui E 800,00 per diritti di procuratore, E 1.150,00 per onorario di avvocato ed il resto per esborsi, oltre alle successive occorrende.

Sentenza provvisoriamente esecutiva.

Così deciso in Bolzano addì 5.6.2002.

Il Giudice Estensore            il Presidente

dott. Giuseppe Caracciolo     dott. Heinrich Zanon


Il ricorso per cassazione presentato dall'Avvocato dello Stato avverso la sentenza della corte d'Appello di Bolzano 

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