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TRENTO
Cs. 12061/02 ‑ AVV. PALATIELLO
AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO
ECC.MA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
RICORSO
del Ministero della Giustizia e del Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona dei rispettivi Ministri p.t., nonché dell'Agenzia delle Entrate, in persona del l.r. p.t., rapp.ti e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui Uffici, in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, sono legalmente domiciliati
contro
VASILICO
Rüdiger, elett.te domiciliato in Bolzano, Piazza della Pace n. 47, presso il
procuratore costituito Avv. Maurizio Vezzali
per
la cassazione
della
sentenza resa dalla Corte d'Appello di Trento ‑ Sez. Bolzano ‑ in
data 5‑20 giugno 2002, n. 131, notificata il 3 luglio 2002.
Su
istanza di Vasilico Rüdiger, il Tribunale di Bolzano ‑ Giudice del lavoro
‑ emise, in data 21.9.200, decreto ingiuntivo a carico del Ministero della
Giustizia e del Ministero delle Finanze, per il pagamento della somma di L.
92.734.725 che il Vasilico rivendicava a titolo di "partecipazioni degli
Ufficiali Giudiziari alla somma recuperata dall'Erario sui campioni civili,
penali ed amministrativi e sulle somme introitate per effetto della vendita dei
corpi di reato" ex art. 122, n. 2, DPR 15 dicembre 1959, n. 1229.
Proponevano
tempestiva opposizione i Ministeri intimati, in particolare evidenziando che il
Vasilico agiva come capo di un ufficio statale, e dunque come organo (del
Ministero della Giustizia), che aveva il compito di ricevere da altri organi
dello Stato (e cioè dal competente Ufficio del Ministero delle Finanze) somme
da distribuire, poi, tra gli addetti all'Ufficio Notifiche ed Esecuzioni: ciò
comportava, a detta degli opponenti, la non giustiziabilità della pretesa, e
comunque il difetto di competenza del Giudice del lavoro, e, in via gradata, il
difetto di legittimazione del Vasilico almeno per la parte di spettanza degli
altri addetti all'Ufficio; gli opponenti evidenziavano, inoltre, l'inesistenza
di un diritto di credito certo liquido ed esigibile prima del completamento
delle necessarie procedure amministrative, per come delineate dal DPR 15dicembre
1959, n. 1229 (artt. 122, 139, 147).
Con
sentenza del 14.6/10.8.2001, n. 399, il Tribunale di Bolzano rigettava
l'opposizione disattendendo tutte le sopraindicate ragioni. Proponevano appello
il Ministero della Giustizia, nonché il Ministero dell'Economia e delle Finanze
e l'Agenzia delle Entrate (questi ultimi due legittimati in forza delle
modifiche al sistema apportate dalla legge nelle more intervenuta) che
reiteravano le eccezioni e le difese già svolte in primo grado: insistevano,
dunque, in particolare, nella non giustiziabilità della pretesa; nel difetto di
legittimazione attiva del Vasilico; nell'insussistenza di un diritto soggettivo
di credito certo, liquido o, almeno, esigibile.
L'appello
è stato rigettato con l'epigrafata sentenza la quale, ritenuta l'irrilevanza
delle "mere relazioni interorganiche" nella materia in esame ed
affermata la legittimazione del Vasilico quale rappresentante degli Ufficiali
Giudiziari del proprio ufficio, ha riconosciuto il diritto soggettivo
immediatamente esigibile per i compensi in questione, da azionare nei confronti
del Ministero della Giustizia quale datore di lavoro degli Ufficiali Giudiziari,
a nulla rilevando le"concreta modalità di erogazione della pecunia",
il cui pagamento passerebbe attraverso il necessario intervento di un terzo
(l'Amministrazione delle Finanze, oggi Economia e Finanze ovvero Agenzia delle
Entrate); ed aggiunge che è "ovvio" che "l'adempimento da parte
di un terzo per quanto sia identificato per legge, non libera dalla sua
obbligazione l'obbligato principale né gli consente di sottrarsi avvalendosi
dell'esistenza di una obbligazione altrui". Aggiunge la Corte di Appello
che «la legge identifica proprio il Dirigente dell'Ufficio UNEP come
legittimato a ricevere il versamento di dette somme e lo onera di provvedere
alla conseguente ripartizione, prima di che non sembra che i singoli componenti
dell'Ufficio siano in grado di conoscere l'esatto ammontare del loro credito
verso l'Erario, e perciò non siano in grado di agire uti singuli" per
ottenerne l'adempimento.
Si deve poi considerare che in più di una occasione la Suprema Corte (per tutte Cass. 10.7.1980 n. 4439 e Cass. 5.10.1982, n. 5113) ha ribadito il principio per cui "il rapporto di lavoro dei cosiddetti amanuensi presso gli uffici unici per le notifiche si costituisce direttamente con i suddetti uffici, rappresentati dall'ufficiale giudiziario preposto alla dirigenza, per lo svolgimento di attività puramente strumentali ed accessorie rispetto a quelle istituzionali degli uffici stessi". La prima delle due richiamate pronunce ha precisato (in motivazione): "quanto poi alla rappresentanza legale dell'ufficio riguardo ai rapporti con i dipendenti privati è indubitabile che essa spetta non al Presidente del Tribunale o al Presidente della Corte d'Appello bensì al dirigente dell'Ufficio unico stesso il quale, a norma dell'art. 146 del DPR 15.12.1959, n. 1229 (modificato dall'art. 17 della legge 11.6.1962, n. 546) è l'unico responsabile delle somme riscosse dall'ufficio, somme che, detratta una quota per spese, vanno ripartite tra gli ufficiali giudiziari ivi addetti".
Una
tale affermazione si impone (e trae le mosse) per conseguenza di precedente
insegnamento del Giudice di Legittimità che aveva ritenuto che la collettività
degli ufficiali giudiziari e degli aiutanti ufficiali giudiziari addetti allo
stesso ufficio dovesse essere qualificata associazione non riconosciuta
"intesa a svolgere attività di interesse comune, con fondo comune e con
vincoli tra gli associati, dai quali sono sorti diritti e doveri reciproci e si
sono delineati rapporti del l'associazione di fronte ai terzi" (Cass. n.
2064/64) o addirittura come "collettività assimilabile alla società di
fatto" (Cass. n. 2615/78).
Quest'ultima
pronuncia ha coerentemente affermato "pertanto, dovendo essere applicato
l'art. 2267 cod. civ. (a meno che
non risulti la conclusione di patti
contrari adeguatamente portati a conoscenza
dei terzi), delle obbligazioni contratte
ai fini del funzionamento dei predetti uffici
e, in particolare, delle obbligazioni insorte
nei confronti del personale assunto per l'espletamento
del lavoro interno degli uffici stessi (secondo quanto era possibile prima della
legge 12 luglio 1975 n. 322) debbono rispondere
non soltanto gli ufficiali con il fondo comune, ma
tutti i singoli ufficiali giudiziari che lo compongono al momento
dell'assunzione del personale,
nonché quelli che vi abbiano successivamente
fatto parte (art. 2269 cod. civ.) e
ciò per il solo fatto di tale appartenenza, a prescindere dalla circostanza che
essi abbiano agito in nome e per conto degli uffici medesimi". Alla stregua
di un tale insegnamento, non si vede perché ciascuno dei componenti della
collettività degli ufficiali giudiziari (e non necessariamente il solo
dirigente) non dovrebbe poter agire in rappresentanza della collettività
medesima, tanto per le obbligazioni attive che per quelle passive».
La
sentenza in epigrafe è errata ed ingiusta e pertanto si impugna per i seguenti
1) Violazione e falsa applicazione degli artt. 122, 138, 139, 146, 147 DPR 15 dicembre 1959, n. 1229, nonché dei principi della necessaria intersubiettività del rapporto processuale; falsa applicazione dell'art. 1180 ss. cod. civ., e delle nozioni di rappresentanza: con riferimento all'art. 360, n. 3, c.p.c.
A
norma dell'art. 122 DPR 15 dicembre 1959, n. 1229, "gli ufficiali
giudiziari sono retribuiti:
1)
mediante proventi costituiti dai diritti che sono autorizzati ad esigere
...
2)
con una percentuale sui
crediti recuperati dall'Erario sui campioni civili, penali ed amministrativi e
somme introitate dall'Erario per effetto della
vendita dei corpi di reato, in ragione del
quindici per cento...". Il competente Ufficio dell'Amministrazione
finanziaria (oggi, Agenzia delle
Entrate) provvede al recupero di quei
crediti nei confronti dei terzi e alla riscossione
del prezzo di vendita dei corpi di reato;
determina quindi, sul netto del recupero, la percentuale del 15%, e la
liquida (art. 139) ; la liquidazione
avviene alla fine di ogni bimestre; le
somme liquidate vengono "trasmesse"
"direttamente all'ufficiale giudiziario o, dove
esiste, all'ufficiale giudiziario dirigente" (art. 139) . Tali
somme, insieme con quelle riscosse per diritti,
e indennità di trasferta (insieme, cioè,
con quelle di cui al punto 1 del ricordato
articolo 122) "sono amministrate dall'ufficiale
giudiziario dirigente, il quale è l'unico
responsabile" (art. 146); le somme di cui al punto
2 dell'art. 122 sopra ricordate (delle quali, giova
ribadirlo, si tratta nella presente causa) vengono
ripartite in quote eguali tra gli ufficiali
giudiziari addetti allo stesso ufficio, dopo che
siano state operate le previste detrazioni (per le
spese; e in favore degli aiutanti giudiziari) (art. 147) l'ufficiale
giudiziario dirigente determina l'imposta delle quote
spettanti a ciascuno e procede ai riparti; si fa
un verbale, comunicato agli interessati che hanno
diritto di proporre reclamo non oltre il decimo
giorno dal deposito (art. 147). Nel
sistema legale che si è appena descritto risultano
evidenti due cose:
a) l'ufficiale giudiziario dirigente opera come organo gestore e pagatore dell'Amministrazione statale: egli amministra le somme per distribuirle tra gli aventi diritto, tra i quali è lui stesso;
b)
le somme di cui trattasi
diventano certe, liquide ed esigibili solo all'esito del complesso procedimento:
non si conosce in anticipo se e quanto l'ufficio del registro (oggi, Agenzia
delle Entrate) riuscirà a recuperare né quanto incasserà dalla vendita dei
corpi di reato; quando questa notizia esiste, il credito è, si, certo ma non è
ancora liquido ed esigibile: tale diventerà con il provvedimento di riparto (o,
meglio, all' esito dell'esaurimento dell'ordinarla procedura, del deposito e dei
reclami, di cui all'art. 147 u.c. DPR cit.).
Erra
dunque la Corte d'appello quando afferma la giustiziabilità della pretesa del
Vasilico per la parte eccedente la propria quota di spettanza: in quanto organo
dell'amministrazione egli non poteva instaurare, con la stessa amministrazione,
un rapporto processuale, che
postula alterità subiettiva; né poteva agire in nome e per conto dei suoi
colleghi perché di essi non aveva rappresentanza alcuna: ed erroneamente, sul
punto, la Corte d'appello costruisce il rapporto tra gli ufficiali giudiziari
del medesimo ufficio in termini di associazione non riconosciuta, dove ognuno
potrebbe agire in rappresentanza degli altri: gli ufficiali giudiziari sono,
infatti, dipendenti del Ministero della Giustizia, dall'entrata in vigore della
legge n. 322/1975 e non (più) collettività assimilabile alla società di
fatto.
La
realtà è che la vicenda che interessa si svolge su di un piano che non è solo
di diritto privato fino al momento del riparto: con il riparto il credito dei
singoli può essere fatto valere in quanto liquido ed esigibile; prima di quel
momento c'è una fase durante buona parte della quale il credito non è neppure
certo.
Non
può assolutamente condividersi l'affermazione della Corte d'appello secondo cui
non vi sarebbe differenza tra i proventi di cui al primo comma e la
partecipazione percentuale di cui al secondo comma dell'art. 122 DPR n.
1229/1959; in realtà la differenza, come accennato nello stesso atto d'appello,
consiste proprio nel fatto che i proventi ("diritti") di cui al primo
comma sono di immediata spettanza degli ufficiali giudiziari, come si desume dal
riferimento al successivo articolo 123 (del tutto trascurato dal giudice
d'appello), che definisce per l'appunto "i proventi dell'ufficiale
giudiziario", e dai successivi articoli da 128 a 138, che ne precisano
singolarmente le caratteristiche; come accennato le somme di cui al secondo
comma dell'art. 122 cit. costituiscono invece chiaramente non dei proventi
diretti, bensì una partecipazione percentuale a somme che in origine competono
immediatamente all'Erario e di cui una parte viene successivamente trasferita al
Ministero della Giustizia e, quindi, agli ufficiali giudiziari.
Il
giudice di secondo grado ha quindi totalmente errato nel ritenere che gli
articoli 138 e 139 regolino la medesima fattispecie, laddove appare invece
evidente che l'uno attiene principalmente alla liquidazione dei proventi diretti
di cui all'art. 122, primo comma DPR n. 1229/1959, mentre l'altro riguarda
specificamente la liquidazione della percentuale di cui al menzionato secondo
comma.
Neppure
appare condivisibile l'argomentazione in base alla quale il giudice d'appello ha
ritenuto di affermare la legittimazione passiva del Ministero della Giustizia
‑ nella fase procedimentale ‑contabile che viene in discussione in
questa sede ‑ in quanto non appare certo possibile considerare, come ha
fatto il Collegio (misconoscendo ancora una volta gli aspetti
contabili‑pubblicistici che nella materia de qua si sovrappongono a quelli
civilistici), il ruolo degli Uffici finanziari alla stregua di un mero
adempimento del terzo in ordine ad un'obbligazione civile esistente sin
dall'origine in capo al Ministero del‑la Giustizia (obbligato principale):
in realtà, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte d'appello, il Ministero
della Giustizia non può essere considerato debitore di un credito certo,
liquido ed esigibile, e quindi azionabile con decreto ingiuntivo, sino a quando
nell'ambito di un rapporto pubblicistico contabile con gli uffici finanziari
‑ non gli siano stati trasferiti i fondi necessari alle operazioni di
riparto di competenza dell'ufficiale giudiziario dirigente. Ed è palesemente
contraddittorio definire terzo" un organo (Ministero delle Finanze) della
medesima ed unica persona giuridica "Stato".
2)
omessa motivazione su un punto decisivo ed error in procedendo: con riferimento
all'art. 360, nn. 4 e 5, c.p.c.
Il
giudice d'appello ha poi errato nel ritenere che non fosse stata sollevata,
nell'atto d'appello, la questione relativa alla posizione del Ministero delle
Finanze (ora Agenzia delle Entrate) a fronte della pretesa fatta valere nei suoi
confronti con il decreto ingiuntivo opposto; è ben vero che tale posizione di
estraneità non è stata qualificata come difetto di legittimazione passiva, ma
è anche vero che dall'atto d'appello si evince
chiaramente che si è sostenuta la F insussistenza di un diritto soggettivo di
credito A 1 direttamente azionabile da controparte nei confronti di detta
Amministrazione (v. pag. 11 e segg. e conclusioni dell'impugnazione): appare
evidente che tale insussistenza deriverebbe sia dalla considerazione
dell'ufficio finanziario come mero terzo adempiente di una obbligazione altrui
Corte di sul piano meramente di tale ufficio), sia natura
pubblicistico-contabile di cui si è fatto cenno.
In
proposito, si evidenzia che, come accennato, in base al DPR 1229/1959 (v. artt.
139, 140 e 146) gli uffici finanziari sono tenuti unicamente a liquidare , -
ossia a determinare l'ammontare – degli importi complessivi in questione, ma
non ne sono o diventano affatto debitori, in senso tecnico‑giuridico, nei
confronti dell’Ufficio Unico cui sono addetti gli interessati.
E'
previsto, infatti, che l'ufficio finanziario trasmetta al competente
Ufficio degli ufficiali giudiziari le
proprie liquidazioni e la relativa provvista, ma le corrispondenti somme
vengono, poi, amministrate ‑ come è stabilito espressamente dall' art.
146 DPR cit. - dall'ufficiale giudiziario dirigente, il quale (testualmente)
"è l'unico in senso dell'Ufficio 14 direttamente dirigente, il quale
responsabile" della procedura
di pagamento.
Tra
l'altro, dalla normativa richiamata non nasce, a carico dell'amministrazione
finanziaria, alcuna obbligazione di pagamento nei confronti dei singoli uffici
degli ufficiali giudiziari, ma unicamente l'obbligo di compiere un'attività per
consentire le successive operazioni di ripartizione, operazioni che sono di
competenza esclusiva dell'ufficiale giudiziario dirigente, il quale deve,
infatti, determinare l'importo delle quote spettanti a ciascun ufficiale
giudiziario" (cfr. art. 147, commi 3 e 4, DPR 1229/1959).
Peraltro
lo stesso riparto costituisce operazione contabile complessa, che richiede la
previa determinazione e detrazione di varie voci di spese (v. art. 147, comma 2,
DPR cit.). Sull'importo cosi ottenuto, l'ufficiale giudiziario dirigente, quale
sostituto di imposta, deve operare la ritenuta ai fini IRPEF. Deve, inoltre,
compilare il prospetto contenente l'importo della
percentuale in argomento al fine di consentire alla Corte d’Appello di
formare il cd. "ruolo suppletivo per la cassa pensione" (il compenso
in questione è infatti, ex L.
335/1995 pensionabile).
Appare
chiaro, quindi, che solamente a conclusione di tali operazioni ‑ una volta
determinata la quota parte di ciascuno dei dipendenti ‑ sorge un vero e
proprio diritto azionabile degli ufficiali giudiziari uti singuli, mentre prima
di tale determinazione ad opera dell'ufficiale giudiziario dirigente, nessun
credito può considerarsi liquido ed esigibile.
Pertanto
piaccia
all'Ecc.ma Corte di Cassazione, contrariis reiectis, accogliere il ricorso e per
l'effetto cassare la decisione impugnata, con definitivo rigetto nel merito
dell'avversa domanda ex art. 384 c.P.c.
Con
tutte le conseguenze di legge e con il favore delle spese.
Si
depositerà nei termini l'originale relatato del presente atto, copia autentica
della decisione impugnata, il fascicolo di parte relativo alla pregressa fase,
copia dell'istanza vistata ex art. 369 u.c. c.p.c.
Roma,
29 luglio 2002
ANTONIO PALATIELLO Avvocato dello Stato