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Camera dei Deputati, Progetto di Legge 538
Disposizioni
per la deflazione del contenzioso
e per l'abbreviazione dei tempi del processo civile
(In corso di esame in sede referente alla Commissione II Giustizia della Camera)
Oggetto.
Termini nel processo civile - Arbitrato - Conciliazione.
Iniziativa e relazione. Presentato in data 6 Giugno 2001; annunciato nella seduta n.3 del 13 Giugno 2001 Parlamentare: On. Francesco Bonito (Dem.Sin.-Ulivo)
Onorevoli Colleghi! - La presente proposta di legge si prefigge lo scopo di
introdurre una serie di significative modifiche al codice di procedura civile al
fine di realizzare una deflazione del contenzioso e di abbreviare i tempi del
processo.
La proposta di legge si colloca nell'ambito delle conclusioni presentate dalla
Commissione Tarzia al Ministro di grazia e giustizia per la riforma del codice
di procedura civile e di alcune successive ipotesi di lavoro elaborate dagli
stessi uffici del Ministero.
L'articolo 1 interviene sull'articolo 1284 e sull'articolo 282 del codice civile
e sulle norme correlate del codice di procedura civile, delineando un sistema di
sanzioni per l'inosservanza di provvedimenti giudiziali di condanna al pagamento
di somme di denaro (comma 1) e per le altre obbligazioni (comma 2), che tengono
conto di esperienze proprie di ordinamenti stranieri (le cosiddette "astreintes"),
ma anche già presenti, da tempo, nell'ordinamento italiano (articolo 66 del
regio decreto 21 giugno 1942, n. 929, ed articolo 86 del regio decreto 29 giugno
1939, n. 1127). La finalità primaria è quella di indurre il soccombente ad
adempiere al precetto stabilito nel provvedimento giudiziale nell'intento di
incidere sui tempi del processo esecutivo, che costituisce un altro dei nodi
irrisolti della giustizia civile. La norma di cui al comma 1 definisce un
sistema sanzionatorio di carattere automatico correlato pur sempre all'eseguibilità
del provvedimento giudiziale, e, quindi, soggetto ai meccanismi di revoca e di
sospensione dell'esecutorietà propri del processo civile. La disposizione
introdotta con il comma 2 propone un sistema di misure coercitive, volte a
garantire la realizzazione del diritto all'adempimento di obblighi di fare e non
fare, di consegna e rilascio, con l'esclusione di quei rapporti (le locazioni
urbane ed i rapporti di cui all'articolo 409 del codice di procedura civile),
che per la loro specificità, sotto il profilo della rilevanza sociale (che si
riflette anche in una particolare regolamentazione processuale), appare
opportuno non coinvolgere nella disciplina proposta con la norma in esame.
Gli articoli 2, 3 e 4 della presente proposta di legge tendono tutti
all'abbreviazione dei tempi del processo civile di cognizione. Pur nella
consapevolezza che l'accelerazione della fase istruttoria possa poi tradursi in
una dilatazione dei tempi della fase decisionale, è sembrato imprescindibile
intervenire su alcuni momenti del processo, che, nella prassi, costituiscono di
sovente inutili appesantimenti e si prestano ad un uso distorto del processo
stesso.
Il divieto delle udienze di mero rinvio, di cui all'articolo 2, sembra
rappresentare una scelta obbligata per un ordinamento giuridico che voglia farsi
carico del problema della durata del giudizio. Nella stessa ottica la norma
intende ridurre l'incidenza negativa che, sulla complessiva durata del processo,
esplicano frequentemente le richieste avanzate dalle parti nel corso
dell'udienza (in relazione, ad esempio, alle previsioni degli articoli 186-bis,
186-ter, 648, 649 e 708 del codice di procedura civile), con la correlativa
esigenza della controparte di poter esprimere le proprie valutazioni e replicare
adeguatamente. La disposizione regola la fattispecie in modo da escludere che il
giudice possa limitarsi a rinviare la causa ad una successiva udienza per
l'esame e per lo svolgimento delle controdeduzioni, prevedendo che il giudice,
ove non sia possibile un'adeguata trattazione dell'istanza nell'ambito della
medesima udienza, trattenga la causa a riserva, consentendo alle parti di
svolgere le proprie difese con memorie scritte.
L'articolo 3 interviene, in primo luogo, sui tempi della consulenza tecnica
d'ufficio tentando di ovviare a situazioni processuali ben note agli operatori
del diritto, nelle quali il giudizio vive lunghe ed immotivate fasi di
quiescenza, in attesa del deposito della relazione. La definizione di termini
massimi e la prescrizione dei provvedimenti che il giudice deve adottare di
fronte al protrarsi di atteggiamenti inerti riflettono primariamente l'intento
di responsabilizzare tutti i soggetti del processo rispetto all'ineludibile
esigenza di celerità del giudizio.
Alla medesima esigenza è ispirata l'ulteriore parte della disposizione in
esame: mediante la statuizione di un termine massimo entro il quale le parti
possono far constatare nel processo i propri rilievi alla consulenza tecnica ed
il correlativo obbligo del consulente tecnico d'ufficio di esaminare tali
osservazioni ed eventualmente replicare alle stesse, si intende ovviare alla
prassi del rinvio per esame della consulenza tecnica, agli ulteriori rinvii
connessi alla riconvocazione del consulente tecnico d'ufficio, all'espletamento
dell'eventuale supplemento peritale, alle nuove repliche dei periti di parte;
resta, ovviamente, ferma la possibilità delle parti di contestare le
indicazioni del consulente nell'udienza successiva al deposito, eventualmente
sollecitando l'autorizzazione al deposito di memorie scritte.
L'articolo 4 riformula l'articolo 87 delle disposizioni per l'attuazione del
codice di procedura civile approvate con regio decreto 18 dicembre 1941, n.
1368, eliminando espressamente la possibilità di produrre documenti in giudizio
nell'ambito dell'udienza. La questione era stata oggetto di divergenti
valutazioni all'atto dell'entrata in vigore della riforma del codice di
procedura civile, che contemplava soltanto la possibilità di produzioni
documentali, mediante deposito in cancelleria, contestualmente alla costituzione
in giudizio o nel termine fissato dal giudice ai sensi dell'articolo 184 del
codice di procedura civile. In concreto, la produzione di documenti in udienza,
soprattutto se in numero rilevante, inibisce al giudice un'adeguata trattazione
della causa (dovendo dare atto a verbale delle produzioni) e nel contempo
impone, di fatto, un rinvio dell'udienza per consentire alla controparte il
compiuto esame della documentazione. L'eliminazione di tale modalità riconduce
l'attività di produzione documentale nell'ambito dei due momenti del processo
sopra indicati (la costituzione in giudizio ed il termine di cui all'articolo
184 del codice di procedura civile, con la correlativa facoltà di replica),
elidendo la necessità di udienze inutili.
L'articolo 5 della proposta di legge sostituisce, tra l'altro, l'articolo 185
del codice di procedura civile che disciplina, come è noto, il tentativo di
conciliazione. La modifica è nel senso di realizzare una fase processuale non
di routine ma reale. Di qui l'obbligo, per la parte, di indicazione delle
condizioni alle quali è disposta alla conciliazione e, conseguentemente, la
valutabilità, da parte del giudice, delle posizioni conciliative espresse dalle
parti ai fini della decisione.
La modifica dell'articolo 360, primo comma, numero 5), del codice di procedura
civile (articolo 6, comma 1, della proposta di legge) tocca uno degli aspetti più
delicati e controversi del giudizio di Cassazione. Il controllo della
motivazione della sentenza impugnata costituisce il terreno nel quale si esplica
la difficile convivenza delle ragioni stesse della Cassazione nell'ordinamento
processuale: terza istanza del processo, come giudice supremo di legalità, e
funzione nomofilattica, attribuitale dall'articolo 65 dell'ordinamento
giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12. Il codice del
1865 non prevedeva norme analoghe a quella vigente, ma, di fatto, una forma di
controllo sulla motivazione era stata introdotta nella pratica, facendo leva
sulla disposizione di cui al numero 2) dell'articolo 517, che ammetteva il
ricorso qualora la sentenza fosse nulla a norma dell'articolo 361 e, quindi,
anche nell'ipotesi di omissione dei "motivi in fatto ed in diritto".
Il legislatore del 1942 si fece carico di quella che risultava essere
un'esigenza obiettiva del sistema processuale, introducendo una formula
("per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio", che fosse
stato oggetto di discussione tra le parti), che venne però ritenuta
eccessivamente restrittiva, in quanto sostanzialmente correlata ad una sorta di
violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato.
Con la riforma del 1950 si introdusse la formulazione attuale ("per omessa,
insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della
controversia, prospettato dalle parti o rilevabile d'ufficio"). Ormai da
decenni si avverte, però, il bisogno di ridefinire il ruolo della Cassazione
nell'ambito dell'ordinamento processuale e tale esigenza è già sfociata nella
formulazione dell'articolo 606 del codice di procedura penale. Si è, infatti,
ben presto diffuso il convincimento che il difficile equilibrio tra la funzione
di giudice del diritto e la parallela funzione della verifica della corretta
ricostruzione del fatto, attraverso il controllo della motivazione, finiva con
l'attribuire al giudizio di Cassazione ineludibili margini di incertezza e di
ambiguità, con specifico riguardo ai limiti del sindacato giudiziale sulla
sentenza impugnata, lasciando, in sostanza il giudice arbitro di definire tali
limiti, volta per volta, in base a criteri non sempre univoci. In questo senso,
il nuovo articolo 606 del codice di procedura penale sembra esprimere una
disciplina più precisa del controllo sulla motivazione e rappresenta la
formulazione più corretta e compiuta che tale sindacato può assumere
nell'ordinamento processuale; la mancanza o la manifesta illogicità della
motivazione, quando il vizio risulta dal testo del provvedimento impugnato,
riflettono la tipizzazione di evenienze patologiche, di natura "intratestuale",
che consentono al giudice di stabilire confini precisi ed univoci al controllo
sul merito del provvedimento. Del resto, se si valutano comparativamente gli
interessi generalmente coinvolti nel processo civile ed in quello penale, non può
certo disconoscersi che l'esigenza dell'accertamento della verità materiale si
atteggia in modo ben più imperioso nel giudizio penale, talché l'adozione nel
processo civile di una medesima definizione dei limiti del sindacato sulla
motivazione non può ritenersi in alcun modo limitativa degli spazi di difesa
ed, anzi, offre la possibilità di coniugare correttamente ed equilibratamente
le funzioni tipiche della Cassazione nel processo civile, e, nel contempo, di
perseguire, mediante l'introduzione di parametri più definiti, la prospettiva
di disincentivare il ricorso indiscriminato alla Cassazione.
Il comma 2 dell'articolo 6 della proposta di legge, che estende i casi di
pronuncia in camera di consiglio, si riallaccia ad un dibattito, da tempo
presente nella dottrina e che risulta originato da meri dati statistici: dalle
6469 sentenze pronunciate dalla Cassazione nel 1976, si è passato nell'arco di
un ventennio ad un numero notevolmente superiore al doppio; ed è agevole
presumere che tali dati siano destinati ad ulteriori, sostanziali, incrementi a
seguito dei nuovi spazi di intervento della Cassazione conseguenti alle riforme
del contenzioso tributario e delle controversie in tema di pubblico impiego.
Sembra, quindi, porsi in termini indifferibili il problema di definire un
momento di discrimine nella moltitudine delle questioni sottoposte al vaglio
della Cassazione, modulando la risposta dell'ordinamento in funzione di un esame
preliminare che faccia emergere quelle ipotesi in cui il ricorso risulti
manifestamente fondato o infondato e delineando, rispetto a tali ipotesi,
modalità di definizione del procedimento più snelle e più incisive; esame
che, peraltro, conosce subito un riscontro giurisdizionale nell'attribuzione
alla Corte della facoltà di esprimere una diversa valutazione circa la
devoluzione alla camera di consiglio e fissare conseguentemente un'udienza di
discussione; correlativamente si attribuisce alle parti un'ampia facoltà di
contestare la scelta del procedimento camerale, mediante la presentazione di
memorie e l'audizione in camera di consiglio.
I commi 3 e 4 dell'articolo 6 della proposta di legge derivano dall'elaborazione
della Commissione per la revisione del codice di procedura civile, presieduta
dal professor Tarzia. La prima delle citate disposizioni tende, mediante la
riformulazione dell'articolo 379 del codice di procedura civile, a dare più
ampia attuazione al principio di oralità della trattazione (con l'eliminazione
della possibilità di presentare nella stessa udienza "brevi osservazioni
per iscritto sulle conclusioni del pubblico ministero") ed al principio del
contraddittorio (consentendo agli avvocati delle parti private di esporre le
proprie difese dopo che il pubblico ministero ha formulato le sue conclusioni).
La norma, nella formulazione proposta, risponde, da un lato, ad un'esigenza di
snellimento dell'udienza e, dall'altro, ad un atteggiamento
"culturale" sempre più diffuso che individua nella parte privata il
soggetto che deve poter interloquire per ultimo nella discussione della causa.
Contestualmente la disposizione mira a risolvere i problemi connessi alla
compatibilità della norma attualmente vigente con la particolare posizione che
viene a rivestire il pubblico ministero ricorrente. Il comma 4 dell'articolo 6
della proposta di legge riflette analoghe esigenze di snellimento, nel contesto
di un progetto di rivitalizzazione dei valori di certezza e di uniformità della
giurisprudenza, stabilendo un principio che vuole essere, da un lato, una norma
comportamentale e, dall'altro, una sorta di indicazione all'esterno del tipo di
risposta che la Cassazione è tenuta a dare in ordine a questioni di diritto già
risolte che siano portate al suo esame, senza una correlativa prospettazione di
nuovi elementi di valutazione.
Ad esigenze analoghe rispetto a quelle sopra illustrate è, in concreto,
informato anche l'intervento di cui all'articolo 7 della proposta di legge. La
proliferazione dei ricorsi in Cassazione induce ad una limitazione degli spazi
di intervento del pubblico ministero, nella prospettiva di una complessiva
razionalizzazione delle risorse. Sul piano statistico si rileva, infatti, che,
negli ultimi anni, il rapporto tra sostituti procuratori generali e cause
pendenti dinanzi alla Cassazione ha fatto sì che ogni anno un sostituto
procuratore generale esamini un numero di ricorsi superiore a 500, in un
contesto in cui risultano in notevole aumento i procedimenti disciplinari, con
le consequenziali, gravose incombenze ad essi connesse. Sembra, quindi,
necessario ridefinire i limiti dell'intervento del pubblico ministero,
stabilendo delle priorità, che è sembrato fondato individuare nelle cause
trattate dinanzi alle sezioni unite, in quelle destinate alla camera di
consiglio, oltreché in quelle in cui il suo intervento sia previsto come
obbligatorio, in via generale, dal primo comma dell'articolo 70 del codice di
procedura civile e nelle cause in cui sia comunque intervenuto nei precedenti
gradi del giudizio. Resta, inoltre, ferma la facoltà del pubblico ministero di
intervenire anche nelle altre cause, dinanzi alle sezioni semplici, allorché
ritenga necessario od opportuno che la questione sia esaminata dalle sezioni
unite: si tratta dell'esplicazione del generale potere di intervento, previsto
dal terzo comma del citato articolo 70, e correlato alla tutela di un pubblico
interesse, ma che si concretizza, nel giudizio dinanzi alla Corte di cassazione,
esclusivamente nella facoltà di sollecitare la remissione dinanzi alle sezioni
unite prevista dal terzo comma dell'articolo 376 del codice di procedura civile
soprattutto in funzione di tutelare la complessiva omogeneità dell'ordinamento.
L'articolo 8 della proposta di legge interviene, ampliandone il contenuto,
sull'articolo 474 del codice di procedura civile, che elenca i titoli in forza
dei quali è possibile procedere all'esecuzione forzata. In particolare si
propone di integrare il numero 3) del secondo comma dell'articolo 474 del codice
di procedura civile, disponendo l'efficacia esecutiva degli atti ricevuti da
notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato dalla legge a riceverli, non
soltanto relativamente alle obbligazioni di somme di denaro, ma anche
relativamente alle obbligazioni di consegna o di rilascio.
Si propone, inoltre, con l'introduzione del numero 3-bis) del secondo comma
dell'articolo 474 del citato codice, la tipizzazione, quale titolo esecutivo,
delle scritture private autenticate, sempre per le stesse obbligazioni di cui al
numero 3) del medesimo comma.
L'articolo 9 della proposta di legge tende, in primo luogo, ad ovviare a quella
che appare un'obbiettiva carenza del sistema: l'inutilizzabilità del
procedimento per decreto ingiuntivo nell'ipotesi di in cui l'intimato risieda
all'estero. Si tratta di una limitazione che risulta, ormai, del tutto
ingiustificata in un contesto in cui i rapporti commerciali e giuridici a
livello internazionale vanno assumendo un rilievo sempre più significativo, e
che appare anche scarsamente in linea con i princìpi in tema di
liberalizzazione degli scambi all'interno della comunità. La soppressione della
norma risulta, inoltre, in linea con la tendenza ad ampliare l'ambito di
operatività del decreto ingiuntivo.
L'articolo 10 della proposta di legge si compone di cinque commi, di cui i più
significativi, per la loro portata innovativa, sono certamente gli ultimi due.
Il comma 4, riformulando l'articolo 688 del codice di procedura civile,
introduce nell'ordinamento un modello di procedimento cautelare che si
caratterizza per la tendenziale esaustività della tutela accordata alla parte
istante. Mediante la previsione della liquidazione delle spese e disancorando il
provvedimento provvisorio dalla necessaria instaurazione del giudizio di merito,
si vuole creare, in linea con esperienze già diffuse in diversi ordinamenti
europei e, segnatamente, in Francia (il cosiddetto "rèferè"), una
procedura funzionale ad una rapida e completa attuazione del diritto, che non
imponga alla parte, che si ritenga soddisfatta dall'esito del procedimento
cautelare, di perseguire, in un annoso giudizio ordinario, una pronuncia di mero
accertamento di quel medesimo diritto già concretamente realizzato a seguito
del ricorso cautelare o, come accade di sovente nella prassi, la sola
liquidazione delle spese processuali. Il giudizio di cognizione ordinaria
diviene, quindi, meramente eventuale, rimesso all'iniziativa del soggetto che si
ritenga leso dal provvedimento cautelare o che in questo non rinvenga il pieno
soddisfacimento dei propri interessi. Tale schema procedurale trova completa
attuazione nella nuova formulazione dell'articolo 700 del codice di procedura
civile che, al secondo comma, richiama il disposto del terzo comma del nuovo
articolo 688. Di contro, non si è ritenuto opportuno estendere tale innovazione
a tutti i procedimento cautelari, in quanto, con specifico riferimento ai
sequestri regolati dagli articoli 670 e seguenti, non sembra possibile
prescindere dalla strumentalità del provvedimento cautelare con il successivo
accertamento nel merito della fondatezza della pretesa.
Il comma 5 definisce altresì una nuova formulazione dell'articolo 700 del
codice di procedura civile anche con riguardo ai presupposti del provvedimento,
in linea con le tendenze manifestatesi nell'interpretazione giurisprudenziale,
volte al superamento del concetto di irreparabilità del danno ed all'estensione
del provvedimento a tutte le ipotesi per le quali non siano previsti specifici
strumenti idonei a garantire una tutela di carattere urgente. La complessiva
finalità della riforma dell'articolo 700 è quella di dar vita ad una modalità
di definizione delle controversie, caratterizzata da rapidità e duttilità e
che non passi necessariamente attraverso la cognizione ordinaria e la sentenza,
dando luogo ad una regolamentazione degli interessi in lite, suscettibile di
assumere connotazioni di stabilità, ogni qualvolta le parti non ritengano utile
continuare a confrontarsi in ordine a questioni già proposte all'esame del
giudice del provvedimento cautelare e dell'eventuale reclamo.
I primi tre commi dell'articolo 10 sono rispettivamente diretti ad esplicitare
l'estensione della portata delle astreintes ai provvedimenti cautelari, a
completare la previsione degli organi competenti in tema di reclamo cautelare e
a puntualizzare l'ambito di applicazione delle norme in tema di procedimento
cautelare, alla luce delle modifiche apportate in tema di denuncia di nuova
opera e di danno temuto.
L'articolo 11 tende a realizzare una forma di definizione delle controversie,
alternativa al processo ordinario, e che si articola, in concreto,
nell'estensione nell'ambito di applicazione di uno strumento processuale già
esistente nell'attuale ordinamento processuale (l'accertamento tecnico
preventivo), coniugato ad un tentativo di conciliazione, affidato al consulente
tecnico d'ufficio e "rafforzato" dal meccanismo di correlazione tra la
valutazione della posizione assunta dalla parte e la regolamentazione delle
spese dell'eventuale giudizio di merito, già adottato nella nuova formulazione
dell'articolo 185 del codice di procedura civile.
La prima finalità a cui risponde l'articolo 696-bis del citato codice è quella
di apprestare uno strumento attraverso il quale le parti possano, pur sempre
nell'ambito della giurisdizione e con le garanzie di terzietà proprie di un
consulente nominato dal giudice, usufruire di una modalità per la
determinazione delle eventuali conseguenze lesive connesse ad inadempimenti
nell'esecuzione di prestazioni obbligatorie (nei contratti di opera, di appalto,
di compravendita, eccetera) o a fatti dannosi di natura extracontrattuale (tra
cui, in primo luogo, i sinistri stradali), oltreché ad una pluralità di
vicende all'origine di svariate tipologie di controversie (infiltrazioni di
acqua tra fondi contigui, danni ad abitazioni, eccetera). L'accertamento tecnico
preventivo, nella configurazione di cui alla norma in esame, può, di per sé,
rappresentare una modalità di definizione della controversia in tutte quelle
ipotesi in cui le contestazioni tra le parti vertano essenzialmente sul quantum
dell'obbligazione. In particolare, l'attenzione di recente mostrata dal mondo
assicurativo verso forme di conciliazione stragiudiziale, induce a ritenere che
l'introduzione di uno strumento atto ad una sollecita definizione dell'entità
dei danni, nel contesto però di un procedimento che offra - anche sul piano
psicologico - al cittadino comune adeguate garanzie circa la congruità della
soluzione di questo tipo di contenzioso, possa contribuire in modo significativo
alla deflazione di questo tipo di contenzioso.
La medesima finalità è perseguita, inoltre, mediante la previsione del
tentativo di conciliazione affidato al consulente e correlato alla valutazione
che il giudice potrà fare, nell'eventuale giudizio a cognizione ordinaria,
dell'atteggiamento tenuto in questa sede dalle parti. L'idea che informa tale
previsione è quella di coinvolgere, da subito, le parti in una ragionata
valutazione dei propri interessi, anche con riguardo a quelle ipotesi in cui
l'accertamento delle responsabilità non risulti prima facie ben definito o sia
comunque suscettibile di incontrare obiettive difficoltà sul piano probatorio.
Il meccanismo della conciliazione è sostanzialmente mutuato da quello previsto
dall'articolo 198 e seguenti del codice di procedura civile in tema di esame
contabile, oltreché dalla nuova formulazione dell'articolo 185 introdotta
dall'articolo 5 della proposta di legge.
La prospettata modificazione dell'articolo 81 delle disposizioni per
l'attuazione del codice di procedura civile, approvato con regio decreto 18
dicembre 1941, n. 1368 (articolo 12 della proposta di legge), contrariamente a
quanto potrebbe apparire ad una prima lettura, ha, in realtà, finalità
acceleratorie del processo. Infatti è noto che, nella prassi, l'intervallo
temporale tra un'udienza e l'altra è ormai cadenzato su tempi ben diversi dai
quindici giorni previsti nella predetta norma. Peraltro, la recente riforma del
codice di procedura civile ha introdotto nell'ordinamento termini che risultano
obbiettivamente incompatibili con la predetta disposizione (i venti giorni
previsti dal secondo comma dell'articolo 180, i termini di trenta giorni più
ulteriori trenta previsti dall'ultimo comma dell'articolo 168-bis, nonché i
rinvii determinati dall'eventuale esigenza di integrazione del contraddittorio,
di rinnovazione della citazione, di chiamata del terzo, che comportano la
concessione di termini non inferiori a sessanta giorni); e, comunque, tutta la
struttura del nuovo processo risulta informata ad una visione dell'intervallo
tra le udienze istruttorie ben più lungo dei quindici giorni previsti dalla
menzionata disposizione, anche perché attività processuali, quali il deposito
di documenti e l'allegazione di prove sono state spostate al di fuori
dell'udienza. La previsione di un termine massimo di quindici giorni residua
solo nella norma di cui al secondo comma dell'articolo 669-sexies del codice di
procedura civile in relazione a situazioni di estrema urgenza. Mantenere in vita
un termine privo di senso - e che viene legittimamente disapplicato dal giudice
- significa, di fatto, rinunciare a regolamentare la durata dell'intervallo tra
le udienze. Nel contempo, la persistenza di tale termine risulta influire
negativamente sulle decisioni emesse nei confronti dello Stato italiano, in sede
di ricorsi alla Commissione europea dei diritti dell'uomo per l'eccessiva durata
del processo. In quest'ottica, si è ritenuto opportuno procedere ad un
adeguamento di tale termine e proporre, quindi, la sostituzione dell'originaria
previsione, con l'introduzione di un termine - settanta giorni - che appare, per
lo più, congruo per l'espletamento delle incombenze processuali tra un'udienza
e l'altra e che, nel contempo, può consentire una reale accelerazione del
processo, facendo salvo il rinvio per l'udienza di precisazione delle
conclusioni (che coincide con la vecchia udienza di spedizione al collegio), per
il quale il termine di settanta giorni non è oggettivamente realistico.
Le disposizioni della presente proposta di legge non comportano alcun onere
finanziario a carico dello Stato.
Art. 1.(Misure per la realizzazione dei crediti derivanti da provvedimenti giudiziari).
1. Dopo il secondo comma dell'articolo 1284 del codice civile è inserito il seguente:
"Sono dovuti interessi in misura doppia del saggio fissato a norma del primo comma in relazione ai crediti liquidati in forza di provvedimenti giudiziali eseguibili".
2. Dopo il primo comma dell'articolo 282 del codice di procedura civile sono aggiunti i seguenti:
"Su domanda di parte, il giudice, con
sentenza di condanna, fissa, in relazione alla complessità della prestazione ed
al tempo verosimilmente occorrente per l'adempimento, il termine entro il quale
l'obbligazione deve essere eseguita. Con la stessa pronuncia stabilisce, avuto
riguardo alla natura ed al valore della prestazione, nonché alla qualità, al
comportamento ed agli interessi delle parti, la somma che l'obbligato deve
corrispondere in caso di inosservanza del predetto termine, determinata in
relazione ad ogni giorno di ritardo, ad ogni singola violazione, ovvero in un
ammontare fisso.
Gli effetti della pronuncia dipendono dall'efficacia esecutiva della sentenza e
durano finché non ne sia iniziata l'esecuzione forzata.
Le disposizioni di cui ai commi secondo e terzo non si applicano alle sentenze
di condanna relative ai rapporti di cui all'articolo 409 e ai rapporti di
locazione di immobili urbani, nonché in ogni altro caso in cui sia prevista
dalla legge o dalle parti una diversa misura coercitiva".
3. All'articolo 283 del codice di procedura
civile, dopo le parole: "della sentenza impugnata" sono aggiunte, le
seguenti: ", ovvero modifica o revoca la misura di cui al secondo comma
dell'articolo 282".
4. Al primo comma dell'articolo 373 del codice di procedura civile, dopo le
parole: "congrua cauzione" sono aggiunte le seguenti: "nonché la
modifica o la revoca della misura di cui al secondo comma dell'articolo
282".
5. Sono abrogati il secondo comma dell'articolo 86 del regio decreto 29 giugno
1939, n. 1127, e il secondo periodo del secondo comma dell'articolo 66 del regio
decreto 21 giugno 1942, n. 929.
Art. 2.(Divieto delle udienze di mero rinvio).
1. Dopo il terzo comma dell'articolo 180 del codice di procedura civile è aggiunto il seguente:
"Le udienze di mero rinvio sono vietate; qualora sia richiesto un termine per l'esame di nuove istanze svolte nel corso dell'udienza, il giudice, ove non ritenga di provvedere nel corso della medesima udienza, si riserva di decidere con separato provvedimento, assegnando un termine per il deposito di memorie scritte, non superiore a venti giorni se non si concedono repliche e non superiore a trenta giorni se sono concesse repliche".
Art. 3.(Svolgimento delle consulenze tecniche).
1. Dopo l'articolo 195 del codice di procedura civile è inserito il seguente:
"Art. 195-bis. (Termine per il deposito della
relazione e delle osservazioni dei consulenti di parte).- Il termine di cui
all'ultimo comma dell'articolo 195 non può eccedere i sessanta giorni dalla
data di conferimento dell'incarico. Nell'ipotesi di eccezionale difficoltà e
complessità dell'indagine, il termine può essere fissato in centoventi giorni.
In caso di gravi e comprovate ragioni, il consulente può ottenere che i termini
di cui al primo comma siano prorogati di ulteriori sessanta giorni; il
provvedimento di proroga, ove emesso fuori udienza, è comunicato alle parti
dalla cancelleria.
Nell'ipotesi di inosservanza dei termini di cui ai commi primo e secondo, il
giudice, alla prima udienza successiva, dispone la sostituzione del consulente,
dandone comunicazione al presidente del tribunale ai fini di cui all'articolo 19
delle disposizioni per l'attuazione del presente codice.
I consulenti di parte possono redigere osservazioni conclusive, per iscritto,
che devono essere trasmesse al consulente tecnico d'ufficio fino a dieci giorni
prima della data fissata per il deposito della relazione; il predetto termine ha
carattere perentorio; il consulente tecnico d'ufficio allega alla relazione le
osservazioni ricevute, aggiungendo le proprie valutazioni al riguardo".
Art. 4.(Produzione di documenti).
1. L'articolo 87 delle disposizioni per l'attuazione del codice di procedura civile, approvate con regio decreto 18 dicembre 1941, n. 1368, è sostituito dal seguente:
"Art. 87. (Produzione di documenti).- I documenti offerti in comunicazione dalle parti, dopo la costituzione ed a norma dell'articolo 184 del codice, sono prodotti mediante deposito in cancelleria ed il relativo elenco deve essere comunicato alle parti nelle forme stabilite dall'articolo 170, ultimo comma, del codice".
Art. 5.(Modifiche alle norme in tema di tentativo di conciliazione).
1. Il secondo comma dell'articolo 180 del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:
"La trattazione della causa davanti al giudice istruttore è orale. Se richiesto, il giudice istruttore può autorizzare comunicazioni di comparse a norma dell'ultimo comma dell'articolo 170. In ogni caso fissa la prima udienza di trattazione a data successiva e non oltre il termine perentorio di sessanta giorni assegnando al convenuto un termine perentorio non inferiore a venti giorni prima di tale udienza per proporre le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d'ufficio".
2. Al primo comma dell'articolo 183 del codice di procedura civile, dopo le parole: "tenta la conciliazione" sono inserite le seguenti: "a norma dell'articolo 185".
3. Il secondo comma dell'articolo 183 del codice di procedura civile è abrogato.
4. All'ultimo comma dell'articolo 183 del codice di procedura civile sono aggiunte, in fine, le parole: "non oltre il termine perentorio di centoventi giorni".
5. L'articolo 185 del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:
"Art. 185. (Tentativo di conciliazione).- Il
tentativo di conciliazione può essere effettuato in qualunque momento
dell'istruzione.
Il giudice ha sempre la facoltà di sentire le parti separatamente al fine di
tentare la conciliazione.
Ciascuna parte deve indicare le condizioni alle quali è disposto a conciliare.
L'inosservanza dell'obbligo di cui al terzo comma e le posizioni espresse dalle
parti sono valutate in sede di decisione sulle spese del processo ed anche ai
sensi dell'articolo 96. Il giudice, in deroga all'articolo 92, esaminate
comparativamente le posizioni assunte dalle parti anche negli atti difensivi
precedenti e valutato il contenuto della sentenza che chiude il processo dinanzi
a lui, può escludere, in tutto o in parte, la ripetizione delle spese sostenute
dal vincitore e può anche condannarlo, in tutto o in parte, al rimborso delle
spese sostenute dal soccombente.
Quando le parti si sono conciliate, si forma processo verbale della
conciliazione.
Il processo verbale costituisce titolo esecutivo per l'espropriazione forzata,
per l'esecuzione in forma specifica e per l'iscrizione di ipoteca
giudiziale".
Art. 6.(Giudizio dinanzi alla Corte di cassazione).
1. Il numero 5) del primo comma dell'articolo 360 del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:
"5) per mancanza o manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio risulta dal testo del provvedimento impugnato".
2. L'articolo 375 del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:
"Art. 375. (Pronuncia in camera di
consiglio). - Oltre che per il caso di regolamento di competenza, la Corte, sia
a sezioni unite che a sezione semplice, pronuncia in camera di consiglio con
ordinanza quando, su richiesta del pubblico ministero o d'ufficio, riconosce di
dover dichiarare l'inammissibilità del ricorso principale e di quello
incidentale, pronunciare il rigetto per mancanza dei motivi previsti
nell'articolo 360, ovvero per la manifesta infondatezza dei motivi del ricorso,
ordinare la integrazione del contraddittorio o la notificazione di cui
all'articolo 332, oppure dichiarare l'estinzione del processo per avvenuta
rinuncia.
La Corte, sia a sezioni unite che a sezione semplice, pronuncia sentenza in
camera di consiglio, su richiesta del pubblico ministero o d'ufficio, quando il
ricorso è manifestamente fondato.
La Corte, se ritiene che non ricorrano le ipotesi di cui ai commi primo e
secondo, rinvia la causa alla pubblica udienza.
Le conclusioni del pubblico ministero sono notificate almeno venti giorni prima
dell'adunanza della Corte in camera di consiglio agli avvocati delle parti, i
quali hanno facoltà di presentare memorie entro il termine di cui all'articolo
378 e, nei casi concernenti le pronunzie di manifesta fondatezza o infondatezza,
di essere sentiti se compaiono".
3. L'articolo 379 del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:
"Art. 379. (Discussione). - All'udienza il
relatore riferisce i fatti rilevanti per la decisione del ricorso, il contenuto
del provvedimento impugnato e, in riassunto, se non vi è discussione delle
parti, i motivi del ricorso e del controricorso.
Dopo la relazione il pubblico ministero, nei casi in cui è previsto il suo
intervento, il relatore espone oralmente le sue conclusioni motivate.
Quindi il presidente invita gli avvocati delle parti a svolgere le loro difese.
Non sono ammesse repliche".
4. All'articolo 380 del codice di procedura civile è aggiunto, in fine, il seguente comma:
"La Corte, quando pronuncia in senso conforme su una questione di diritto già decisa, senza che le parti abbiano proposto argomenti nuovi, si limita a richiamare, nella motivazione, la precedente sentenza".
Art. 7.(Nuova disciplina dell'intervento del pubblico ministero nel giudizio di cassazione).
1. Il secondo comma dell'articolo 70 del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:
"Dinanzi alla Corte di cassazione deve intervenire nelle cause trattate a sezioni unite, nelle cause trattate in camera di consiglio, in quelle di cui al primo comma, oltreché nelle cause in cui sia stato parte nei precedenti gradi del giudizio; può, inoltre intervenire negli altri procedimenti per richiedere che la causa sia assegnata alle sezioni unite".
2. L'articolo 76 dell'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, è sostituito dal seguente:
"Art. 76. - (Attribuzioni del pubblico ministero presso la Corte suprema di cassazione). - 1. Il pubblico ministero presso la Corte di cassazione interviene e conclude in tutte le udienze penali e in quelle civili nei casi previsti dall'articolo 70 del codice di procedura civile".
Art. 8.(Ampliamento delle ipotesi tipiche di titolo esecutivo).
1. Al numero 3) del secondo comma dell'articolo
474 del codice di procedura civile, dopo le parole: "danaro" sono
inserite le seguenti: "e alle obbligazioni di consegna o di rilascio".
2. Dopo il numero 3) del secondo comma dell'articolo 474 del codice di procedura
civile, è aggiunto il seguente:
"3-bis) le scritture private autenticate relativamente alle obbligazioni di somme di denaro ed alle obbligazioni di consegna o di rilascio in esse contenute".
Art. 9.(Modifiche in tema di decreto ingiuntivo).
1. Al primo comma dell'articolo 633 del codice di
procedura civile, dopo le parole: "cose fungibili" sono inserite le
seguenti: "o di una prestazione fungibile di fare".
2. L'ultimo comma dell'articolo 633 del codice di procedura civile è abrogato.
3. Al primo comma dell'articolo 641 del codice di procedura civile, è aggiunto,
in fine, il seguente periodo: "Il predetto termine è elevato a sessanta
giorni in caso di notifica all'estero".
4. Dopo il primo periodo del secondo comma dell'articolo 641 del codice di
procedura civile, è inserito il seguente: "Nel caso di notifica all'estero
il termine non può essere minore di venti giorni, né maggiore di
centoventi".
Art. 10.(Modifiche ai procedimenti cautelari).
1. Al primo comma dell'articolo 669-sexies del
codice di procedura civile, le parole: "e provvede con ordinanza
all'accoglimento o al rigetto della domanda" sono sostituite dalle
seguenti: "e provvede all'accoglimento o al rigetto della domanda con
ordinanza, con la quale pronuncia, quando ne ricorrono i presupposti, i
provvedimenti di cui al secondo comma dell'articolo 282".
2. Al primo periodo del secondo comma dell'articolo 669-terdecies del codice di
procedura civile, sono aggiunte, in fine, le parole: "; il reclamo avverso
il provvedimento cautelare emesso dal collegio del tribunale è proposto dinanzi
alla corte d'appello".
3. L'articolo 669-quaterdecies del codice di procedura civile è sostituito dal
seguente:
"Art. 669-quaterdecies.- (Ambito di applicazione). Le disposizioni della presente sezione si applicano ai provvedimenti previsti nella sezione II e, in quanto compatibili, ai provvedimenti previsti nelle sezioni III e V del presente capo ed agli altri provvedimenti cautelari previsti dal codice e dalle leggi speciali. L'articolo 669-septies si applica altresì ai provvedimenti di istruzione preventiva previsti dalla sezione IV".
4. All'articolo 688 del codice di procedura civile, sono aggiunti, in fine, i seguenti commi:
"Se l'ordinanza è pronunciata prima
dell'inizio del giudizio di merito, il giudice provvede alla liquidazione delle
spese del procedimento, anche nel caso di accoglimento dell'istanza. Non si
applicano al procedimento le disposizioni di cui all'articolo 669-octies ed ai
commi primo, secondo e quarto, numero 1), dell'articolo 669-novies.
Quando l'azione è proposta dal possessore di applica il disposto dell'articolo
703".
5. L'articolo 700 del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:
"Art. 700. - (Condizioni per la concessione e
norme applicabili). Chi ha fondato motivo di ritenere che durante il tempo
occorrente per far valere il suo diritto in via ordinaria, questo sia minacciato
da un pregiudizio grave ed imminente non evitabile mediante l'adozione di altri
provvedimenti espressamente previsti dalla legge, può chiedere con ricorso al
giudice i provvedimenti urgenti, necessari ad assicurare, anche in via
anticipatoria, gli effetti della decisione di merito.
Si applica al procedimento la disposizione del terzo comma dell'articolo
688".
Art. 11.(Consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite).
1. Dopo l'articolo 696 del codice di procedura civile è inserito il seguente:
"Art. 696-bis.- (Consulenza tecnica
preventiva ai fini della composizione della lite). L'espletamento di una
consulenza tecnica, in via preventiva, può essere richiesto anche al di fuori
delle condizioni di cui al primo comma dell'articolo 696, ai fini
dell'accertamento e della relativa determinazione dei crediti derivanti dalla
mancata o inesatta esecuzione di obbligazioni contrattuali o da fatto illecito.
Il giudice procede a norma del secondo comma del presente articolo.
Il consulente, prima di provvedere al deposito della relazione, tenta, ove
possibile, la conciliazione delle parti. Ciascuna parte deve indicare le
condizioni alle quali è disposta a conciliare. L'inosservanza di tale obbligo e
le posizioni espresse dalle parti sono valutate ai fini della regolamentazione
delle spese del processo ed anche ai sensi dell'articolo 96, in sede di
decisione del giudizio eventualmente susseguente all'accertamento tecnico. Il
giudice dell'eventuale causa di merito, in deroga all'articolo 92, esaminate
comparativamente le posizioni assunte dalle parti e le risultanze
dell'accertamento tecnico preventivo e valutato il contenuto della sentenza che
chiude il processo dinanzi a lui, può escludere, in tutto o in parte, la
ripetizione delle spese sostenute dal vincitore e può anche condannarlo, in
tutto o in parte, al rimborso delle spese sostenute dal soccombente.
Quando le parti si sono conciliate, si forma processo verbale della
conciliazione. Il giudice attribuisce con decreto efficacia di titolo esecutivo
al processo verbale, ai fini dell'espropriazione forzata e dell'esecuzione in
forma specifica e per l'iscrizione di ipoteca giudiziale.
Il processo verbale è esente dall'imposta di registro".
Art. 12.(Intervallo tra le udienze istruttorie).
1. Al secondo comma dell'articolo 81 delle disposizioni per l'attuazione del codice di procedura civile, approvate con regio decreto 18 dicembre 1941, n. 1368, le parole: "non può essere superiore a quindici giorni" sono sostituite dalle seguenti: "eccettuata l'udienza di rinvio per la presentazione delle conclusioni, non può essere superiore a settanta giorni".