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Sentenza del Consiglio di Stato, Sezione sesta, n. 4906 del 3 settembre 2003


 

La sentenza in formato pdf (consigliato per la stampa)



Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

(Sezione Sesta)

 
ha pronunciato la seguente


DECISIONE

 


sul ricorso in appello n. 2472 del 2003, proposto da POSTE ITALIANE s.p.a, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dall’Avv. A. Clarizia, con domicilio eletto in Roma, (....), presso lo studio del medesimo;


contro


il Comune di Torino in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli Avv. A. Caldo e M. Colarizi, con domicilio eletto in Roma, (....), presso lo studio del secondo – appellato -;


e nei confronti


dell’A. D. S.r.l., in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso dagli Avv.ti M. Contaldi e V. Barosio, con domicilio eletto in Roma, (....), presso lo studio del primo – appellante incidentale -;


per l'annullamento


della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Piemonte, Sezione II, n. 23 dell’11 gennaio 2003;



Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio degli appellati;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore, alla pubblica udienza dell’1 luglio 2003, il Consigliere Chiarenza Millemaggi Cogliani; uditi, altresì, gli avvocati Clarizia, Colarizi e Barosio;

Pubblicato il dispositivo della sentenza (n. 285 del 3 luglio 2003);
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:


FATTO


1. La società Poste Italiane propone appello avverso la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Piemonte, Sez. II, n. 23 dell’11 gennaio 2003, non notificata, con la quale è stato in parte respinto ed in parte dichiarato inammissibile il ricorso (n. 928/2002) proposto dalla medesima società, per l’annullamento dei seguenti atti:
- bando di gara n. 38/2002, adottato dal Comune di Torino, in data 29 gennaio 2002, avente ad oggetto trattativa privata (procedura negoziata) per l’affidamento del servizio di notificazione dei verbali di violazione del Codice della strada relativamente al Comune di Torino ed ai Comuni limitrofi, da effettuarsi secondo le modalità indicate in Capitolato speciale;
- il summenzionato Capitolato speciale;


- i verbali della Commissione aggiudicatrice in data 27 marzo 2002, 5 aprile 2002 e 24 aprile 2002;

-          ogni altro atto presupposto, contestuale, successivo o, comunque, connesso, ivi compresi eventuali atti non cogniti della Commissione aggiudicatrice e la delibera, allo stato non cognita nei contenuti – di indizione della procedura negoziata n. mecc. 200111289/48 del 5 dicembre 2001;


nonché, mediante proposizione di motivi aggiunti:

- della determinazione dirigenziale n. mecc. 200203430/48 n. cronologico 58/2002/48 del 14 maggio 2002, adottata dal Comune di Torino, in data 14 maggio 2002, avente ad oggetto la determinazione di “approvare l’affidamento in esito a trattativa privata previa pubblicazione di un bando ai sensi dell’art. 7, lett. B) e c) D.lgs. 17 marzo 1995 n. 157 e s.m.i., del servizio triennale di notificazione dei verbali di violazione al Codice della Strada in favore della ditta D. S.r.l., con sede in (....), alle condizioni previste dal Capitolato speciale di gara approvato con la determinazione dirigenziale mecc.n. 200111289/48 del 5 dicembre 2001 e divenuta esecutiva il 22 dicembre 2001 e dell’offerta della stessa ditta allegata al presente provvedimento", con ogni consequenziale statuizione circa l’approvazione della relativa spesa, la consegna anticipata del servizio ed il pagamento delle prestazioni anticipate.


L’appellante precisa in fatto quanto segue:


– a seguito di invito a presentare la propria offerta – aveva dapprima segnalato all’ente locale le gravi illegittimità connesse alla indizione della procedura, invitando l’amministrazione a porla nel nulla e, successivamente (esplicitamente escludendo ogni ipotesi di acquiescenza e con ampia riserva di agire nella sede giurisdizionale) aveva presentato la propria offerta restando esclusa dall’aggiudicazione nella seduta del 27 marzo 2002 (come da relativo verbale).

-          aveva poi proposto ricorso straordinario al Capo dello Stato per l’annullamento oltre che del bando di gara (adottato dal Comune in data 29 gennaio 2002, anche dei verbali del 27 marzo, 4 aprile e 24 aprile 2002 ed ogni altro atto comunque connesso;
- il ricorso era trasposto nella sede giudiziaria a seguito di opposizione dell’Amministrazione comunale;

-         
- in tale sede erano stati proposti motivi aggiunti volti all’impugnazione della determinazione di affidamento alla controinteressata, con ogni consequenziale statuizione circa l’approvazione della spesa, la consegna anticipata del servizio ed il pagamento delle prestazioni anticipate, nonché alla ulteriore impugnazione dei verbali della commissione, già impugnati con il ricorso straordinario, per la parte in cui enunciavano i presupposti dell’affidamento alla controinteressata;
- il giudice di primo grado, con la sentenza appellata, prescindendo dalle eccezioni di rito sollevate dai resistenti, respingeva il ricorso originario e, in parte i motivi aggiunti, dichiarati inammissibili per la parte in cui la ricorrente lamentava vizi relativi alle modalità di svolgimento della procedura di gara (il primo dei motivi aggiunti),sulla considerazione che il provvedimento di esclusione della ricorrente (avvenuta unitamente a quella di altri due concorrenti nella seduta del 27 marzo 2002, per mancata produzione del deposito cauzionale) non era stato fatto oggetto di specifico gravame da parte dell’interessata, con la conseguenza che non poteva riconoscersi alcun interesse all’impresa esclusa ad insorgere avverso gli atti della procedura successivi alla sua estromissione e quindi, né contro le specifiche operazioni, né contro l’aggiudicazione finale.

-         

In diritto la sentenza appellata sarebbe erronea, ingiusta e gravemente lesiva degli interessi della società appellante, ed illegittima sulla base dei motivi che seguono:
I – violazione e falsa applicazione degli artt. 12 e 201 del D.Lgs. 30 aprile 1992 n. 285 (Codice della Strasa); eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche e, segnatamente, per sviamento, manifesta illogicità ed irrazionalità dell’azione amministrativa, difetto di presupposti fattuali e giuridici, omessa ponderazione di interessi rilevanti, carenza assoluta di potere; violazione dell’art. 10, comma 1 della legge 3 agosto 1999 n. 265;

-          II – violazione e falsa applicazione degli artt. 4 e 23 del D.Lgs. n. 261 del 1999 e di ogni norma e principio in materia di riserva a Poste italiane S.p.a. degli invii raccomandati attinenti alle procedure amministrative e giudiziarie; violazione dell’art. 12 della legge 20 novembre 1982 n. 890, come sostituito dall’art. 10 della legge 10 agosto 1999 n. 265; eccesso di potere per genericità, equivocità, irrazionalità e perplessità della lex specialis;

-          III – violazione dei principi generali in materia di gare pubbliche e segnatamente del principio di pubblicità, del principio di segretezza delle offerte e della par condicio tra i concorrenti; violazione dell’art. 97 Cost.; perplessità ed irragionevolezza dell’azione amministrativa.


Il primo motivo di impugnazione investe il capo della sentenza con il quale è stato deciso il primo motivo del ricorso originario ed il secondo dei motivi aggiunti, con cui era stata dedotta l’illegittimità del bando e del capitolato speciale di appalto, con riferimento alle modalità di espletamento del servizio di notificazione tramite messi notificatori che può avere luogo entro i confini del territorio comunale in alternativa al servizio postale.



Il secondo motivo di impugnazione investe i capi della sentenza impugnata con i quali sono stati decisi il secondo motivo del ricorso originario ed il terso dei motivi aggiunti, relativi alla pretesa violazione della riserva degli invii raccomandati attinenti le procedure amministrative e giudiziarie (ossia riferibili all’attività della pubblica amministrazione ed alle gare ad evidenza pubblica), in favore di Poste italiane S.p.a., in qualità di fornitore del servizio universale ai sensi dell’art. 1 del D.Lgs. 22 luglio 1999 n. 261, indipendentemente dai limiti di peso e di prezzo.



Il terzo motivo riprende infine i temi del primo motivo aggiunto del ricorso originario, dichiarato inammissibile dal giudice di primo grado.



Il ricorrente muove dalla valutazione critica di ciascuna delle proposizioni poste dal giudice di primo grado a fondamento della decisione, mediante argomenti diretti a dimostrarne la fragilità e la mancanza di fondamento sotto il profilo logico giuridico, riprendendo interamente i temi del ricorso di primo grado e dei motivi aggiunti e concludendo, pertanto per l’accoglimento dell’appello e la consequenziale riforma della sentenza appellata nel senso dell’accoglimento del ricorso di primo grado e l’annullamento del complesso degli atti impugnati.



2. Si sono costituiti in giudizio, resistendo all’appello, il Comune di Torino e la Società D..

Entrambi oppongono argomenti di merito contrapposti alle censure ed agli argomenti della parte appellante.



La società controinteressata, inoltre propone appello incidentali avverso i capi di sentenza che respingono o assorbono le eccezioni preliminari, eccependo il difetto di interesse di Poste italiane in ordine al primo motivo di impugnazione e nelle linee generali, l’inammissibilità dell’istituto del ricorso straordinario al capo dello Stato e della trasposizione del ricorso davanti al giudice amministrativo, nella specifica materia della quale si tratta, secondo quanto già dedotto in primo grado e, per una parte respinto e, per l’altra, interamente assorbito con la sentenza gravata.

3. Successivamente, la causa è stata chiamata alla pubblica udienza dell’1 luglio 2003, e trattenuta in decisione.



DIRITTO


1.1. L’appello in esame pone innanzitutto il problema della possibilità, per un Comune, di avvalersi, per l’espletamento del servizio di notificazione dei verbali di violazione del codice della strada, dell’affidamento ad un terzo, con facoltà, per lo stesso, di avvalersi (entro i confini del territorio comunale) di messi notificatori (in alternativa al servizio postale), previa predisposizione (entro un termine prefissato nel capitolato speciale) del relativo personale, da nominarsi, da parte dello stesso Comune, dopo la partecipazione ad un idoneo corso formazione.



L’aspetto controverso risiede nella pretesa formazione di nuove figure di messi notificatori, individuati in soggetti dipendenti dalla concessionaria e, comunque, non legati da un rapporto di lavoro subordinato con il Comune, che Poste italiane ritiene illegittima, sulla base delle cesure poste con il primo motivo di appello che riassumono, con gli argomenti di impugnazione espressamente rivolti alla sentenza di primo grado, i motivi originari dedotti con il ricorso introduttivo e con il secondo dei motivi aggiunti, rispettivamente contro il bando ed il Capitolato speciale (in particolare l’art. 5).


1.2. Al riguardo ritiene la Sezione erronea la premessa maggiore dalla quale muovono le contestazioni della parte appellante: come posto in evidenza dalla Corte suprema di cassazione, con la recente sentenza della Sezioni lavoro n. 10262 del 15 luglio 2002, l’attività del messo notificatore può esser svolta sia in regime di autonomia che di subordinazione lavorativa.



Il principio, affermato con riferimento all’attività di notificazione posta in essere per conto di un istituto di credito, nello specifico ambito della notificazione delle cartelle esattoriali e degli avvisi di mora (art. 137 D.P.R. 15 maggio 1963 n. 858), non vi è ragione che non trovi applicazione anche nel caso in cui si discuta di messi notificatori nominati dal Comune per il servizio di notificazione dei verbali di violazione del codice della strada.


L’atto di notificazione, nel sistema degli atti amministrativi, assume la connotazione di “manifestazione di conoscenza” in quanto consiste nell’attestato di un fatto accaduto (la consegna della copia dell’atto, o del provvedimento, da parte del notificante al consegnatario) e pertanto manca di ogni e qualsiasi contenuto provvedimentale, dal momento che l’effetto dell’atto non dipende dalla volontà dell’ufficiale notificatore, il quale si limita ad attestare di avere consegnato l’atto ad un determinato soggetto, ma sono direttamente stabiliti dalla legge (atto giuridico in senso stretto).



La notificazione è, peraltro, atto proprio di una persona fisica titolare di potestà certificante della quale sia investito dall’autorità amministrativa competente, della quale costituisce organo.



Il messo notificatore è dunque, sempre a comunque, organo del pubblico potere che gli conferisce la potestà di notificare, e come tale è investito di pubbliche funzioni: egli è cioè, un organo amministrativo.



Principio di ordine generale è in ogni caso che il soggetto sia abilitato ad effettuare la notificazione (Cass., Sez. I, sent. n. 563 del 21 gennaio 1994), desumibile dall’art. 14 comma 4 della legge 24 novembre 1981, n. 689, in forza del quale, “per la forma della contestazione immediata o della notificazione si applicano le disposizioni previste dalle leggi vigenti" salva, in ogni caso, la notificazione effettuata “con le modalità previste dal codice di procedura civile, anche da un funzionario dell'amministrazione che ha accertato la violazione”.


1.3. Ai fini di siffatta abilitazione, non si richiede, necessariamente che il soggetto-organo sia anche inserito, in un rapporto di lavoro di natura dipendente, nella struttura organizzativa del soggetto titolare del pubblico potere.


L’espressione “messi comunali” indicata dalla disposizione contenuta nell’art. 201 del D.Lgs. n. 285 del 1992 (cui fa espresso rinvio il precedente art. 12) non può dunque leggersi nel senso preteso dall’attuale appellante, ossia di un soggetto assunto in un rapporto di lavoro dipendente dal Comune con la qualifica di messo comunale, o, quanto meno con l’attribuzione delle funzioni proprie, bensì nel differente e più corretto significato di soggetto investito delle funzioni di notificazione, specificamente, dal Comune, vuoi come dipendente dell’Amministrazione locale, vuoi anche come soggetto che svolge autonomamente le funzioni per le quali è stato nominato, vuoi anche quale soggetto messo a disposizione del Comune da altro operatore al quale, legittimamente, sia stato affidato il servizio, purché le funzioni siano attribuite direttamente ed immediatamente dal Comune.


Analoga considerazione deve essere fatta, per ciò che concerne la disposizione contenuta nell’art. 10, comma 1, della legge 3 agosto 265.


1.4. Sono dunque pienamente condivisibili le affermazioni dal giudice di primo grado, che sposta l’attenzione sulla evoluzione in senso privatistico del rapporto di impiego con le pubbliche amministrazioni, ed alla estensione alle regioni ed alle autonomie locali del contratto di fornitura di lavoro temporaneo previste dalla legge 24 giugno 1997 n. 196 ad opera dell’art. 2 del C.C.N.L. per il personale di detti enti, successivo a quello del 1° aprile 1999.


L’inquadrabilità della figura del messo comunale nella quarta qualifica funzionale (categoria B) in base al contratto nazionale collettivo del comparto regioni ed autonomie locali del 31 marzo 1999 (art. 3 ed allegata tabella C), posto in correlazione con le disposizioni contenute nella legge n. 196 del 1997, escludono che l’istituto del contratto di fornitura di lavoro temporaneo non possa trovare applicazione alla posizione funzionale del “messo comunale”.


Sotto differente profilo, non vale obiettare che, nella specie, la società Agenzia D. S.r.l. non svolge attività di società di intermediaria a noma della citata legge (né che questa connotazione non fosse richiesta ai del conferimento dell’appalto), in quanto, come correttamente rilevato dal giudice di primo grado (pag. 22 della sentenza appellata) stessa legge n. 196 del 1997 pone principi di ordine generale nel senso che alle pubbliche Amministrazioni è data la possibilità di avvalersi delle prestazioni lavorative di soggetti esterni, ancorché entro circoscritti limiti temporali, per le sole attribuzioni funzionali per le quali è anche ammesso il lavoro interinale.


1.5. Nel caso in esame, l’art. 5, comma 3 del Capitolato, ipotizza espressamente l’attribuzione della funzione di messo al personale esterno dell’Amministrazione, previa apposita formazione professionale in apposito corso e nomina del Comune (implicante l’attribuzione delle funzioni).


In tale quadro, non ritiene la Sezione che si configuri alcuno dei profili di illegittimità dedotti dal ricorrente con il primo motivo di impugnazione e con il secondo dei motivi aggiunti, essendo legittima l’attribuzione del servizio di notificazione delle violazioni al Codice della strada ad un operatore economico che ponga a disposizione dell’amministrazione comunale, per l’espletamento delle funzioni di messo notificatore, personale destinato ad essere investito delle funzioni pubbliche tipiche della figura professionale, mediante nomina dello stesso Comune, previa partecipazione ad apposito corso di formazione.



Il motivo di appello deve essere, pertanto disatteso.



Fuorvianti sono, infatti:

a)     gli argomenti relativi ai limiti che la stessa contrattazione collettiva introdurrebbe alla possibilità, per gli enti locali, di fare ricorso alla stipulazione dei contratti di lavoro temporaneo secondo la disciplina della L. n. 1996/1997 (art. 2), i quali attengono ad una sfera di interessi dei quali non è portatrice la Società ricorrente ed i quali, in ogni caso, nulla hanno a che vedere con la possibilità di investire della funzione di notificazione un soggetto estraneo all’organizzazione del Comune;


b) il problema della “responsabilità” del concessionario, sollevata con riferimento all’art. 7 del capitolato, la quale, come appare ovvio, nulla ha a che vedere con la responsabilità contemplata dall’art. 19 del D.Lgs. che attiene esclusivamente al differente servizio postale universale; essa involge, come appare corretto, tutto ciò che, in ordine alla “inosservanza dei termini di effettuazione o in caso di irregolare effettuazione" del servizio, concerne lo specifico rapporto corrente fra concessionario e comune e non anche le responsabilità connesse all’esplicazione del servizio postale al quale trovano applicazione le regole proprie della richiamata “carta della qualità" predisposta dal Ministero delle comunicazioni in data 9 aprile 2001.
c) il richiamo alla natura di pubblico ufficiale, che l’Ente poste rivendica ai propri operatori; è appena il caso di osservare che tale qualificazione sussiste ed opera nell’ambito delle espressioni tipiche del servizio e, per quanto concerne la fattispecie in esame, al servizio universale; nulla ha a che vedere con la funzione propria del messo notificatore, esplicata, specificamente, allorché non ci si avvalga del servizio di titolarità della società in parola, e richiedente, in ogni caso, l’investitura del Comune, mediante nomina.



2. Infondato è anche il secondo motivo di appello, nel quale si concentrano le censure dedotte dalla società Poste italiane con il secondo motivo del ricorso introduttivo ed il terso dei motivi aggiunti.


Con esse, secondo quanto chiarito dall’appellante nelle difese svolte nel presente grado del giudizio, si sarebbe inteso sostenere non già che la riserva del c.d. “sevizio universale” debba estendersi ad attività ad esso estranee (vi sarebbe dunque stato travisamento dei motivi da parte del giudice di primo grado), bensì che, affidando la notificazione a dipendenti dell’impresa affidataria del servizio o a soggetti dalla stessa “procurati” per il servizio, si inciderebbe su detta riserva.


Anche così riformulati (a prescindere dalla novità di impostazione) i motivi di censura appaiono destituiti di fondamento, innanzitutto alla luce dell’oggetto dell’affidamento, quale emerge dai primi due articoli del capitolato speciale, la cui testuale formulazione è tale da evidenziare e tenere ferma, la “notifica a mezzo posta"…”tenuto conto dei vincoli di cui all’art. 4 del D.Lgs. n. 261 del 1999" (art. 2.2. del capitolato), quale oggetto dello specifico obbligo dell’impresa affidataria di “garantire il rispetto della riserva prevista dall’art. 4 del D.Lvo 261/99" ed in generale di “rispettare tutta la normativa prevista dal suddetto decreto".

Senza ripercorrere in questa sede le singole clausole del capitolato o riprodurne il testo, è sufficiente rilevare che da nessuna parte del bando e del capitolato è possibile rinvenire la violazione della riserva di esclusiva del fornitore in Italia del servizio universale, (Soc. Poste Italiane), mentre piuttosto, al contrario, essa risulta garantita da specifiche clausole contrattuali che richiedono, al riguardo, un puntuale atto d’obbligo della concessionaria.



Con il che, è smentito per tabulas, il fondamento delle censure, senza che occorrano, proprio in forza delle puntualizzazione dell’appellante, in ordine all’interesse perseguito con la proposizione del mezzo, ulteriori approfondimenti e confutazioni degli argomenti dedotti.



Eventuali violazioni degli obblighi nascenti dal capitolato da parte dell’aggiudicataria (quale l’iposi cui si riferisce la sentenza n. 1791 del 2002 del Giudice di pace) non incidono sulla validità degli atti impugnati, ma attengono alla violazione degli obblighi del concessionario, ed al regime delle responsabilità previste dal capitolato e dal contratto, estranei al giudizio.



3. Infine osserva la Sezione che la mera indicazione, fra gli atti originariamente impugnati, del verbale della Commissione giudicatrice 27 marzo 2002, non implica anche che parte ricorrente abbia svolto specifiche censure avverso la sua esclusione dal concorso.


Non ha rilievo la considerazione che l’enunciato di impugnazione del verbale in questione si riferisca precipuamente alla parte nella quale è stata disposta l’esclusione di Poste italiane.



La verità è che contro la suddetta esclusione non è posto nessun profilo di censura specifica.

Non è posto in discussione l’interesse di Poste italiane di provocare la radicale rimozione della procedura concorsuale.


Ciò che, tuttavia radica l’inammissibilità del mezzo in sé considerato è, secondo l’orientamento del giudice di primo grado, la circostanza che non essendo la ricorrente insorta contro la sua esclusione per motivi direttamente attinenti a tale determinazione, non vi è interesse, per la stessa, ad insorgere avverso gli atti successivi, per motivi propri.


Questi infatti, o sono destinati ad essere travolti da illegittimità derivata, a seguito della eventuale caducazione del bando e del capitolato, ovvero (ove questi siano ritenuti legittimi alla stregua delle censure dedotte dall’interessato) non possono essere attaccati da chi si è chiaramente orientato nel senso di non avere interesse a partecipare alla procedura nei termini nei quali la stessa è stata indetta.


La tesi che l’impresa estromessa dalla procedura (la cui esclusione non sia contestata o ritenuta legittima) si colloca nella stessa posizione del soggetto che non ha partecipato alla gara deve essere condivisa dalla Sezione alla luce di consolidata giurisprudenza citata dal giudice di primo grado dalla quale non vi è ragione di discostarsi (fra le più recenti, Sez. V n. 2017 3 3391 del 2002)


4. Sulla base di tutte le considerazioni che precedono, l’appello deve essere respinto.
In considerazione della novità della questione, devono tuttavia essere compensate le spese del giudizio.

P.Q.M.


Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando, respinge l’appello in epigrafe;

Compensa interamente fra le parti le spese del giudizio;

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.



Così deciso, addì 1 luglio 2003, dal Consiglio di Stato in s.g. (Sez. VI) riunito in camera di consiglio con l'intervento dei seguenti Magistrati:

Mario Egidio SCHINAIA Presidente

Sergio SANTORO Consigliere

Carmine VOLPE Consigliere

Chiarenza MILLEMAGGI COGLIANI Consigliere Est.

Giuseppe MINICONE Consigliere