29/7/2003 Commenti il candidato l’espressione “L’Ufficiale giudiziario come Giano Bifronte”.

 Devo dire che questa è una delle definizioni più belle e, nel contempo, più esaustive che mi sia capitato di leggere o, di sentire, durante tutto questo mio percorso di studio. Una definizione, a dir poco, folgorante per definire qualcosa di probabilmente “indefinibile”. 


Chi è l’ufficiale giudiziario? Posta così, la domanda potrebbe sembrare un  illegittimo esercizio di ovvietà, soprattutto se, a dover rispondere, è un aspirante Ufficiale giudiziario. Ma in tutta franchezza, nonostante l’apparente evidenza, devo ammettere che questa è una di quelle domande cui non vorrei rispondere in sede di concorso.


L’art.1 dell’ordinamento degli UU.GG li definisce “come ausiliari dell’ordine giudiziario che procedono all’espletamento degli atti loro demandati  quando tali atti siano richiesti dall’autorità giudiziaria o siano richiesti dal cancelliere o dalla parte.....(prosegue l’art. 2).....sono equiparati agli impiegati civili dello Stato........... Svolgono le loro mansioni in uffici all’interno dei quali tutti si chiamano Ufficiale giudiziari, indipendentemente dal titolo di studio posseduto, siano essi  B3 o C1........... Prestano la loro opera negli uffici NEP dislocati presso le sedi di Tribunali o Corti d’Appello........concorrono alla formazione del loro stipendio.......hanno un orario di ufficio, e vanno in pensione a settant’anni.


Detta così sembrerebbe, tutto sommato, che non vi sia nulla di così emblematico nella figura dell’Ufficiale giudiziario, al più si potrebbe dire che la definizione di cui sopra sia minimalista, che si potrebbe aggiungere ancora molto altro ma, il punto non è quello di aggiungere o togliere altro. Già analizzando un pò più in profondità queste quattro righe, non possiamo non renderci conto come, sotto delle parole, apparentemente innocue, si aprano voragini di problematiche che rendono l’Ufficiale giudiziario un Giano bifronte.
Esaminiamone qualcuno di questi vasi di Pandora.


 L’Ufficiale Giudiziario, si dice, è un ausiliario del giudice.

Ausiliario è colui che aiuta, che dà ausilio. Detta così sembrerebbe che la funzione dell’ufficiale giudiziario sia una figura marginale dell’ordine giudiziario, che svolge i compiti che gli sono richiesti dal giudice.


Parrebbe, dunque, del tutto sprovvisto di competenze proprie, di attribuzioni conferitegli dalla legge, di qualunque potere istruttorio o giurisdizionale (nell’accezione di giurisdizione intesa non per quanto avviene davanti al giudice e alla sua corte, ma l’intera attività volta alla tutela dei diritti).

Tutte queste caratteristiche legate alla professionalità dell’Ufficiale giudiziario sembrano escluse dalla definizione di “ausiliario del giudice”.


Ma non è forse vero che l’art. 24 della Costituzione afferma che ognuno deve poter tutelare i propri diritti ricorrendo all’autorità giudiziaria che, a seguito della sentenza di condanna, accerta l’esistenza del diritto che bisogna portare in esecuzione?


E non è l’Ufficiale giudiziario che tutela questi diritti mediante un’attività volta, per l’appunto, alla tutela di un diritto o di un credito? Se, per attività giurisdizionale, intendiamo quella che  interagisce, con i poteri dello Stato, nella sfera giuridica di un altro soggetto, quello dell’Ufficiale Giudiziario  è un potere giurisdizionale!


 Non è sempre l’Ufficiale giudiziario che, quando procedere al pignoramento, esercita il suo potere-dovere di controllo sulla legittimità degli atti e dunque dell’esecuzione, accertando la presenza dei requisiti formali e sostanziali?

 Non è attribuita a lui  la facoltà di scelta  e di determinazione dei beni pignorabili da assoggettare all’espropriazione, quindi funzionalmente idonei a garantire il credito?

 L’ufficiale giudiziario non svolge attività autonome, attribuitegli dalla legge, su richiesta di parti private?

Se la risposta a queste domande è si, mi sembra che sia improbabile o, quantomeno, estremamente difficile, dilatare finchè si voglia, il concetto di “ausiliario” perchè possa contenere tutto questo.

Si legge ancora nella definizione di cui sopra, che l’ufficiale giudiziario è “equiparato” all’impiegato pubblico dello Stato. Questo aspetto non fa altro che accentuare ancor più, se fosse possibile, il carattere di “duplicità”, di benevola “schizofrenia” che segna trasversalmente tutta la figura dell’Ufficiale giudiziario.
L’equiparazione ha cercato di conciliare qualcosa, almeno allo stato attuale delle cose, di per se inconciliabile. Ma ha fatto di più, ha fatto sì che l’Ufficiale Giudiziario perdesse, giusto o sbagliato che fosse, il suo punto di riferimento costituito dall’ordinamento.

 Il tentativo di riportare nell’ambito di una contrattazione collettiva anche, i dipendenti dell’UNEP, ha certamente contribuito a dare loro  maggiori garanzie, se non altro, perché si è passati da un rapporto “autoritario” nel senso di un ordinamento emanato unilateralmente dall’autorità statale, ad un rapporto “pattizio”, quello dei contratti all’interno dei quali  le parti dovrebbero essere in condizione di “contrattare” la loro posizione all’interno del rapporto di lavoro.

 
Riportare il particolare all’interno del generale non è cosa facile, ne sanno qualcosa le “norme di raccordo” che, infaticabilmente e instancabilmente, cercano di armonizzare o, quantomeno di far interagire le norme  contrattuali con quelle ordinamentali.

Ma l’aspetto più intrigante è rappresentato dal fatto che, buona parte delle norme contrattuali, non sono state abolite ma, semplicemente, “tacitamente disapplicate”. Questo la dice lunga sul loro ruolo: le si abbandona per un po’ per potervici ritornare quando non si sa che pesci prendere.
Per l’Ufficiale giudiziario comincia un pellegrinaggio senza fine all’interno di una selva di leggi, articoli, norme contrattuali, norme di raccordo, circolari e quant’altro. Sembra che nessuna fonte normativa voglia prendersi cura di lui in maniera esaustiva: l’ordinamento lo rimanda alle norme contrattuali, queste, non potendo garantire una specificità che è propria dell’attività dell’Ufficiale Giudiziario, lo rimandano alle norme di raccordo, queste ultime, alle circolari ministeriali per ritornare, infine, stanco e disorientato, all’ordinamento.
Dei due l’uno: o l’Ufficiale giudiziario è impiegato pubblico o non lo è.

Fino a quando questa posizione non sarà chiarita non si potranno impedire rigurgiti di norme autoritative che mal si conciliano con quelle contrattuali. Nonostante la buona volontà delle norme di raccordo, continueranno a sopravvivere reminiscenze ordinamentali come la cauzione, la redazione del verbale di riparto che farebbe venire i capelli bianchi ad un commercialista, il finanziamento delle spese per l’ufficio a carico dell’Ufficiale Giudiziario che, per l’acquisto di un ventilatore, dovrà trascorrere notti insonni all’insegna di dubbi amletici se quel ventilatore lo pagherà l’amministrazione o dovrà rimettercelo di tasca sua. Diciamo che la problematica Shakespeariana, non riguarda solo le spese del ventilatore, ma coinvolge l’intero status giuridico dell’Ufficiale giudiziario che spesso si chiede: essere o non essere impiegato dello Stato, questo è il dilemma. 

  La collocazione della figura dell’UG, ha subito un ulteriore scossone a causa del C.C.N.L. 1998-2001 per il personale del Ministero della Giustizia sottoscritto il 3 febbraio 2000 dove si precisa che i B3, sono lavoratori che, secondo le direttive ricevute, esplicano compiti di collaborazione qualificata nell'ambito dell'attività degli uffici unici notificazioni, esecuzioni e protesti (uffici N.E.P.), eseguendo tutti gli atti attribuiti alla competenza dell'ufficiale giudiziario.
Per la prima volta, nel già complesso, panorama dell’UG compare un’altra “parolina” magica dalla fonetica accattivante  : “L’interfungibilità”
Eliminata la differenza semantica circa la denominazione di “ufficiale giudiziario” per cui, adesso sono tutti ufficiali giudiziari, B3 e C1 insieme, il passo successivo non poteva che essere quello della “interfungibilità “ e, come disse Qualcuno, 2003 anni fa: “Tutto è compiuto”.
Resta in piedi solo una “risibile” diversità di trattamento economico del tutto ininfluente.
A mio modesto avviso, questo provvedimento finirà per nuocere più a chi dovrebbe beneficiarne che a coloro che lo devono subire.
Non si capisce bene se sia un tentativo volto ad innalzare i B3 al livello dei C1 o, di abbassare i C1 al livello dei B3.

Dico questo perchè, da quanto mi è dato di sapere, i procedimenti esecutivi in generale e, quelli speciali in particolare, sono attività ad elevato contenuto giuridico.

 Con ciò intendo dire che necessitano di una competenza giuridica che i B3 non hanno e, non certo per incapacità congenita ma, semplicemente, per il fatto che detta competenza non è richiesta per le mansioni che sono chiamati a svolgere

Non è una colpa: è un dato di fatto!

Indicativo di ciò è il diverso titolo di studio richiesto all’uno e all’altro e, non posso certo pensare che tale richiesta trovi la sua legittimazione in qualche decina di euro in più nella busta paga. Dicevo che, questo provvedimento, finirà inevitabilmente per penalizzare chi dovrebbe beneficiarne. Pensiamo, al di la delle competenze che può aver maturato sul campo un vecchio B3, alle difficoltà con le quali, inevitabilmente, si scontrerà quest’ultimo, quando dovrà confrontarsi con le eccezioni alla esecuzione sollevate dall’avvocato dell’esecutato o, alle difficoltà legate alle problematiche dei provvedimenti di sfratto o di quelle relative ai provvedimenti cautelari.

Qui non si vuole affatto mettere in discussione o a confronto capacità, intelligenza, perspicacia del “soggetto” B3 con il “soggetto” C1, si vuole solo sottolineare un problema di ordine, semplicemente “gnoseologico”, legato cioè alla pura e semplice “conoscenza” che, non dico che il B3 non abbia, ma semplicemente non gli è richiesta.


La mancanza di questi elementi cognitivi, finirà per evidenziare, ineluttabilmente, una incapacità o, quantomeno, una difficoltà a gestire alcune situazioni e questo, alla fine, non potrà che insinuare dubbi sulle capacità professionali dell’ufficiale giudiziario B3, con nocumento per tutta la categoria. Al di là di quanto detto, sarebbe estremamente sciocco disconoscere il valido ed insostituibile contributo di questi impiegati la cui mancanza metterebbe in discussione l’esistenza stessa degli UNEP.
Un politico perspicace, alla vigilia della sua sconfitta elettorale ebbe a dire: “ ……preferisco essere il leader di partito di minoranza piuttosto che un illustre sconosciuto nel partito di maggioranza”. Mi sembra un insegnamento saggio!
Non è forse preferibile essere un ottimo  B3, piuttosto che un pessimo C1?

 P.S. Se Le dovesse capitare di sentire il dott. Tarquini, lo ringrazi per me, è stato lui ad offrirmi lo spunto per questa  mia riflessione : è da lui che ho sentito, per la prima volta, definire l’UG come un Giano bifronte.

Giuseppe Lizzano - candidato UG - distretto di Milano


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