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Procedure di esecuzione e di espropriazione forzata nei confronti degli enti locali solo presso i rispettivi tesorieri - Violazione degli artt. 3 e 24 della Costituzione - Deroga al principio della responsabilità globale del debitore - Inammissibilità
Ordinanza n° 83 anno 2003 - CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
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Riccardo CHIEPPA
Presidente
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Gustavo ZAGREBELSKY
Giudice
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Valerio ONIDA
"
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Carlo
MEZZANOTTE "
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Fernanda CONTRI
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Guido
NEPPI MODONA
"
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Piero Alberto CAPOTOSTI
"
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Annibale MARINI
"
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Franco
BILE "
-
Giovanni Maria FLICK
"
-
Paolo MADDALENA
"
ha
pronunciato la seguente ORDINANZA
Visto l'atto di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di
consiglio del 12 febbraio 2003 il Giudice relatore Annibale Marini.
Ritenuto che, nel
corso di un giudizio di opposizione ad una esecuzione mobiliare presso terzi, il
Tribunale di Reggio Calabria – sezione distaccata di Melito Porto Salvo –
con ordinanza del 17 aprile 2001 ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 10 e
24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 159,
253 e seguenti del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle
leggi sull'ordinamento degli enti locali);
che il rimettente - premesso che il debitore Comune di Ischia ha eccepito
la improcedibilità e la inammissibilità dell'esecuzione per essere stato il
pignoramento eseguito presso soggetto diverso dal suo tesoriere e nonostante il
proprio stato di dissesto - dà conto di aver già sollevato, nell'ambito del
medesimo giudizio, questione di
legittimità costituzionale degli artt. 81 e seguenti del decreto legislativo 25
febbraio 1995, n. 77 (Ordinamento finanziario e contabile degli enti locali),
definita dalla Corte costituzionale, a seguito della entrata in vigore del
d.lgs. n. 267 del 2000 che aveva sostituito le disposizioni allora censurate,
con ordinanza n. 8 del 2001 di restituzione degli atti al giudice a
quo per il riesame della rilevanza
della questione;
che, secondo il rimettente, l'art. 159 del d.lgs. n. 267 del 2000, avente
contenuto identico all'art. 113 del d.lgs. n. 77 del 1995, non ammettendo
procedure di esecuzione e di espropriazione forzata nei confronti degli enti
locali presso soggetti diversi dai rispettivi tesorieri, risulterebbe lesivo
degli artt. 3 e 24 della Costituzione, derogando «al principio della
responsabilità globale del debitore che, anche se esercente un funzione
pubblica, non può sottrarre beni e somme» alla garanzia dei creditori, se non
nei limiti in cui sono destinati a pubblico servizio «per disposizione di legge
od atto amministrativo»;
che il rimettente ritiene in contrasto con gli artt. 3, 10 e 24 della
Costituzione anche gli artt. 253 e seguenti ed in particolare l'art. 254 del
d.lgs. n. 267 del 2000, nella parte in cui, nel disciplinare la procedura volta
al risanamento degli enti locali per i quali sia intervenuta dichiarazione di
dissesto, «non prevede espressamente e/o non imponga alla C.S.L. termini
perentori, ma semplicemente dilatori per il completamento della procedura di
dissesto»;
che, secondo il rimettente, la normativa in esame, fissando termini «semplicemente
dilatori», sarebbe lesiva del principio della par
condicio creditorum e del diritto di difesa e finirebbe, inoltre, per
sottrarre il creditore al suo giudice naturale poiché «l'eventuale
contraddittorio (sarebbe) limitato alla verifica dell'ammissione del credito da
parte di un organo amministrativo e non dall'A.G. »;
che è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la
questione sia dichiarata inammissibile o infondata;
che, la difesa pubblica, riguardo alla questione di legittimità
costituzionale dell'art. 159 del d.lgs. n. 267 del 2000, rileva che la
inammissibilità di procedure esecutive in danno degli enti locali in forme
diverse dalla esecuzione presso i rispettivi tesorieri è strumentale alla
effettiva attuazione del «principio (...) dell'impignorabilità delle somme di
denaro specificamente destinate ad un pubblico servizio»;
che, quanto agli artt. 253 e seguenti del Testo unico citato,
l'Avvocatura, ricordato che la Corte costituzionale ha già positivamente
scrutinato la normativa relativa al risanamento degli enti locali dissestati,
osserva che la mancata previsione di termini perentori entro i quali l'organo
straordinario di liquidazione debba svolgere i propri compiti non contrasta né
con l'art. 3 né con l'art. 24 della Costituzione, in quanto la perentorietà
del termine comporterebbe, dopo la sua scadenza, la decadenza dell'organo
liquidatorio dal potere di agire, con conseguente paralisi della procedura ed
impossibilità di pagare i creditori dell'ente dissestato;
che, secondo la difesa pubblica, mentre l'organo di liquidazione
incorrerebbe in responsabilità in caso di violazione dei suoi doveri, i
creditori dell'ente, come del resto già evidenziato dalla Corte costituzionale,
sarebbero, comunque, avvantaggiati dallo svolgimento della procedura di
dissesto, avendo, in tal modo, maggiore possibilità di vedere realizzato il
proprio credito, senza essere pregiudicati dalla durata della procedura,
potendo, comunque, agire in sede giudiziale, tornato l'ente in
bonis, per il pagamento degli interessi e della rivalutazione monetaria.
Considerato che, in
riferimento alla censura rivolta agli «artt. 253 e ss. ed in particolare, nel
caso di specie, (all'art.) 254» del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267
(Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali), il rimettente
lamenta il fatto che la disciplina in questione non fisserebbe termini perentori
per la conclusione della procedura di risanamento degli enti locali in stato di
dissesto;
che tale censura è manifestamente inammissibile, non dovendo il giudice
rimettente fare applicazione della normativa censurata;
che, per quanto concerne l'affermato contrasto dell'art. 159 del d.lgs.
n. 267 del 2000 con gli artt. 3 e 24 della Costituzione, deve preliminarmente
osservarsi che la norma in questione riproduce senza sostanziali modifiche
l'art. 113 del decreto legislativo 25 febbraio 1995, n. 77, il quale, a sua
volta, trae origine dal comma 1-bis
dell'art. 11 del decreto-legge 18 gennaio 1993, n. 8, convertito, con
modificazioni, nella legge n. 68 del 19 marzo 1993, disposizione quest'ultima
posta a base del giudizio di opposizione alla esecuzione nell'ambito del quale
è stata sollevata la presente questione di costituzionalità;
che può, in tal senso, affermarsi la rilevanza della questione, non
implausibilmente trasposta dal rimettente sulla norma ora vigente;
che, per le considerazioni esposte, la questione va dichiarata
manifestamente infondata.
PER
QUESTI MOTIVI
dichiara la manifesta
inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. 253
e seguenti del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle
leggi sull'ordinamento degli enti locali), sollevata, in riferimento agli artt.
3, 10 e 24 della Costituzione, dal Tribunale di Reggio Calabria, sezione
distaccata di Melito Porto Salvo, con l'ordinanza in epigrafe;
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo
della Consulta, il 12 marzo 2003.
F.to:
Riccardo CHIEPPA, Presidente
Annibale MARINI, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 27 marzo 2003.
Il Direttore della Cancelleria