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REPUBBLICA
ITALIANA
IN
NOME DEL POPOLO ITALIANO
composta
dai signori:
-
Massimo
VARI
Presidente
-
Riccardo
CHIEPPA
Giudice
-
Gustavo
ZAGREBELSKY
"
-
Valerio
ONIDA
"
-
Carlo
MEZZANOTTE
"
-
Guido
NEPPI MODONA
"
-
Piero Alberto
CAPOTOSTI
"
-
Annibale
MARINI
"
-
Franco
BILE
"
-
Giovanni Maria
FLICK
"
-
Francesco
AMIRANTE
"
ha
pronunciato la seguente
SENTENZA
nel
giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 22 della legge 13 maggio
1999, n. 133 (Disposizioni in materia di perequazione, razionalizzazione e
federalismo fiscale), promosso con ordinanza emessa il 18 ottobre 2000 dal
Tribunale amministrativo regionale del Lazio sui ricorsi riuniti proposti
dalla Dirstat-Finanze (ora Dirpubblica) contro la Presidenza del Consiglio dei
ministri ed altre, iscritta al n. 451 del registro ordinanze 2001 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 24, prima serie speciale, dell’anno 2001.
Visti
l’atto di costituzione della Dirstat-Finanze (ora Dirpubblica) nonché
l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito
nell’udienza pubblica del 12 marzo 2002 il Giudice relatore Piero Alberto
Capotosti;
uditi
l’avvocato Michele Lioi per Dirstat-Finanze (ora Dirpubblica) e l’Avvocato
dello Stato Giuseppe Stipo per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto
in fatto
1.
¾
Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, con ordinanza del 18 ottobre
2000, depositata il 7 febbraio 2001, solleva questione di legittimità
costituzionale dell’art. 22 della legge 13 maggio 1999, n. 133 (Disposizioni
in materia di perequazione, razionalizzazione e federalismo fiscale), in
riferimento agli artt. 3, 51 e 97 della Costituzione, nonché, implicitamente,
all’art. 136 della Costituzione.
2.
¾
La questione è stata sollevata nel corso del giudizio avente ad oggetto due
ricorsi proposti dalla Dirstat-Finanze (ora Dirpubblica), in persona del
legale rappresentante pro tempore,
il quale ha agito anche in proprio, aventi ad oggetto l’annullamento di
alcuni atti -decreti del Ministero delle finanze e decreti direttoriali-
concernenti le procedure di riqualificazione per il personale del Ministero
delle finanze ai sensi dell’art. 3, commi 205, 206 e 207, della legge 28
dicembre 1995, n. 549 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica).
2.1.
¾
Il Tar, in linea preliminare, dopo avere affermato la propria giurisdizione,
espone che i ricorrenti eccepiscono l’illegittimità costituzionale
dell’art. 3, commi 205, 206 e 207 della legge 28 dicembre 1995, n. 549, nel
testo modificato dall’art. 22 della legge n. 133 del 1999, nella parte in
cui sono state sostanzialmente confermate le procedure selettive previste dal
testo originario dall’art. 3, comma 206 lettera b),
della legge n. 549 del 1995 ed i corsi di riqualificazione per il personale
del Ministero delle finanze, con riserva del settanta per cento dei posti
vacanti al personale in servizio alla data del 31 dicembre 1998, realizzando
in tal modo una cooptazione verso l’alto di questi ultimi dipendenti,
nonostante non abbiano svolto, neppure di fatto, mansioni superiori.
Il
giudice a quo deduce che la Corte
costituzionale, con la sentenza n. 1 del 1999, ha dichiarato l’illegittimità
costituzionale dei commi 205, 206 e 207 dell’art. 3 della legge n. 549 del
1995, nella parte in cui «prevedevano la sostituzione
del concorso pubblico con procedure selettive interne, in assenza di esigenze
di rilevanza costituzionale che consentissero la deroga alla regola del
concorso pubblico». L’art. 22 della legge n. 133 del 1999 ha
modificato queste ultime norme, stabilendo che, con le procedure selettive da
esse previste, può «essere coperta unicamente una aliquota dei posti vacanti
determinata nella misura del 70 % nelle qualifiche interessate dalle procedure
medesime».
2.2.
¾
Il Tar
deduce che l’art. 22 della legge n. 133 del 1999 si porrebbe in contrasto
con il principio secondo il quale la regola del pubblico concorso per
l’assunzione del personale alle dipendenze della pubblica amministrazione
sarebbe derogabile esclusivamente entro i limiti richiesti dall’esigenza di
garantire il buon andamento dell’amministrazione, ovvero altri principi di
rango costituzionale. A suo avviso, la sentenza della Corte costituzionale n.
1 del 1999 avrebbe infatti riferito la regola del concorso anche all’accesso
ad una qualifica funzionale superiore, in quanto quest’ultimo costituirebbe
una forma di reclutamento, che richiede un selettivo accertamento delle
attitudini non restringibile ai soli dipendenti dell’amministrazione.
Secondo
il rimettente, l’art. 22 della legge n. 133 del 1999 «non fa altro che
confermare le procedure già previste dalla precedente normativa di cui alla
legge n. 549/95» e, quindi, «nella sostanza viola il giudicato
costituzionale confermando disposizioni dichiarate illegittime».
Inoltre,
«la modifica legislativa», prevedendo una procedura selettiva interna e
l’attribuzione a soggetti estranei all’amministrazione soltanto del 30 %
dei posti disponibili, si porrebbe in contrasto con i principi costituzionali
di concorsualità (art. 51 Cost), di parità di trattamento (art. 3 Cost.) e
di buon andamento ed imparzialità dell’amministrazione, garantiti dalla
scelta dei più meritevoli (art. 97 Cost.).
Infine,
la norma, stabilendo che i dipendenti dell’amministrazione finanziaria
possono partecipare ai corsi di riqualificazione anche qualora non abbiano
svolto, neppure di fatto, mansioni superiori, violerebbe gli artt. 3, 51 e 97
Cost., poiché realizzerebbe una ingiustificata disparità di trattamento in
danno di quanti non lavorano già alle dipendenze della p.a., permettendo
l’accesso alla qualifica superiore da parte dei dipendenti i quali non solo
non hanno svolto le relative mansioni, ma sono anche privi del titolo di
studio per essa richiesto.
3.
¾
Nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che
la questione sia dichiarata manifestamente infondata.
Secondo
la difesa erariale le procedure di riqualificazione in esame consistono in una
prova scritta, il cui superamento è condizione per l’ammissione al corso di
riqualificazione, al termine del quale è prevista una prova teorico-pratica,
allo scopo di accertare il possesso da parte del candidato della
professionalità richiesta per la qualifica di riferimento. I criteri
informativi delle prove e delle modalità di stesura dei questionari oggetto
delle prove selettive sono stati elaborati da un gruppo di studio nominato con
decreto ministeriale; le materie dei corsi e gli specifici percorsi formativi,
in riferimento ai diversi profili professionali, sono stati anch’essi
stabiliti con decreto ministeriale, sulla scorta delle proposte formulate da
un apposito gruppo di lavoro. Le procedure di riqualificazione, a suo avviso,
non determinerebbero una automatica progressione ad una qualifica superiore,
ma realizzerebbero una adeguata selezione, assicurando la funzionalità degli
uffici, la crescita personale e professionale dei cittadini nell’ambito del
luogo di lavoro e la partecipazione dei lavoratori all’organizzazione ed al
progresso della società.
L’interveniente
deduce, infine, che la deroga alla regola del pubblico concorso sarebbe
giustificata e che sarebbe altresì ragionevole la previsione in virtù della
quale il possesso di una determinata anzianità nella qualifica immediatamente
inferiore a quella oggetto del concorso costituisce un requisito alternativo
rispetto al titolo di studio.
4.
¾
Nel giudizio innanzi alla Corte si è costituita la Dirpubblica (già
Dirstat-Finanze), facendo proprie le argomentazioni svolte dal Tar e chiedendo
l’accoglimento della questione.
Nelle
memorie depositate in prossimità dell’udienza pubblica la parte insiste nel
sostenere che la norma impugnata riprodurrebbe quella già dichiarata
costituzionalmente illegittima dalla Corte e che l’ammissione alla procedura
di riqualificazione, anche in mancanza del titolo di studio richiesto per
l’accesso alla qualifica superiore, purché il dipendente vanti una certa
anzianità di servizio nella qualifica inferiore, sarebbe irragionevole, in
quanto quest’ultimo elemento sarebbe inidoneo a dimostrare il possesso della
professionalità necessaria per l’attribuzione della qualifica più elevata.
Inoltre, a suo avviso, la riserva del 70 % dei posti in favore dei dipendenti
realizzerebbe una ingiustificata disparità di trattamento rispetto agli
aspiranti che possono accedervi esclusivamente mediante una ordinaria
procedura concorsuale.
5.
¾
All’udienza pubblica l’Avvocatura generale dello Stato e la parte
costituita hanno insistito per l’accoglimento delle conclusioni rassegnate
nelle difese scritte.
Considerato
in diritto
1
¾
La questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale
amministrativo regionale del Lazio con l'ordinanza indicata in epigrafe ha ad
oggetto l'art. 22 della legge 13 maggio 1999, n. 133 (Disposizioni in materia
di perequazione, razionalizzazione e federalismo fiscale), il quale -con il
comma 1 lettere a), b) e c)-
ha modificato i commi 205, 206 e 207 dell'art. 3 della legge 28 dicembre 1995,
n. 549 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), che disciplinano
la copertura del 70% dei posti disponibili nelle dotazioni organiche
dell'amministrazione finanziaria per i livelli dal quinto al nono, mediante
apposite procedure di riqualificazione riservate al personale appartenente
alle qualifiche funzionali inferiori, e con il comma 2 ha fatto salvi gli atti
e i procedimenti già adottati.
Secondo
il giudice rimettente, la norma impugnata "non fa altro che confermare le
procedure già previste dalla precedente normativa di cui alla legge n. 549
del 1995", dichiarata illegittima da questa Corte con la sentenza n. 1
del 1999, cosicché la stessa norma, in quanto riproduttiva di disposizioni già
dichiarate costituzionalmente illegittime, "nella sostanza viola il
giudicato costituzionale". Inoltre "la modifica legislativa"
censurata, prevedendo una procedura selettiva interna per il conferimento di
una qualifica funzionale superiore e stabilendo che soltanto il 30% dei posti
disponibili possono essere attribuiti a coloro che non sono già dipendenti
dell'amministrazione finanziaria, derogherebbe ingiustificatamente alla regola
del pubblico concorso, che riguarderebbe anche la fattispecie in esame,
ponendosi così in contrasto con i principi costituzionali della parità di
trattamento (art. 3 della Costituzione) e di buon andamento ed imparzialità
della pubblica amministrazione (art. 97 della Costituzione).
Infine
la norma censurata, disponendo che i dipendenti possono partecipare ai corsi
di riqualificazione, anche se non hanno svolto, neppure di fatto, mansioni
superiori, violerebbe, sotto altro profilo, gli artt. 3, 51 e 97 della
Costituzione, ponendo in essere una ingiustificata disparità di trattamento
in danno di quanti non lavorano già alle dipendenze dell'amministrazione,
consentendo inoltre l'accesso alla qualifica superiore da parte di dipendenti
i quali non solo non abbiano svolto le relative mansioni, ma siano anche privi
del titolo di studio richiesto per la qualifica stessa.
2.
¾
In via
preliminare va precisato che il thema
decidendum deve essere propriamente individuato -in base alle
puntualizzazioni contenute nella motivazione dell'ordinanza di rimessione
nella quale si dichiarano non manifestamente infondate le "dedotte
questioni di legittimità costituzionale" relative all'art. 3, commi 205,
206 e 207 della legge n. 549 del 1995- nella disciplina dei corsi di
riqualificazione recata appunto dal suddetto art. 3, commi 205, 206 e 207
(modificato quest’ultimo, ma in modo non rilevante, dall’art. 88 della
legge 21 novembre 2000, n. 342) della stessa legge, così come risulta dopo la
"modifica legislativa" introdotta dall'art. 22 della legge n. 133
del 1999. Ed è pertanto sul testo così risultante, nonché sul comma 2 del
citato art. 22, che va condotto il presente scrutinio di legittimità
costituzionale.
3.
¾
Nel
merito, la questione è fondata.
Si
deve innanzi tutto osservare che molteplici sono le modifiche introdotte
dall’art. 22 della legge n. 133 del 1999 alla disciplina in esame; in
particolare si segnalano la riduzione dei posti riservati ai dipendenti
dell'amministrazione finanziaria (art. 3, comma 205), l'esclusione di una
progressione per saltum e
l'impossibilità di esercitare, subito dopo l'ammissione al corso e sia pure
in via provvisoria, le funzioni connesse alla qualifica superiore (art. 3,
comma 207). Tali modifiche escludono pertanto, per il loro contenuto
innovatore ed anche per l'intento dichiarato nel corso dei lavori preparatori
della legge di recepire i principi stabiliti dalla citata sentenza n. 1 del
1999, che la disciplina denunciata possa essere considerata confermativa delle
precedenti disposizioni dichiarate illegittime, superandosi così la
prospettata censura di violazione del giudicato costituzionale. Ma tuttavia
non valgono ad evitare gli altri profili di censura incentrati sulla
violazione degli artt. 3, 51 e 97 della Costituzione.
Nella
disciplina delle procedure di riqualificazione in esame permangono ancora,
nonostante le modificazioni introdotte, alcune lesioni dei principi
costituzionali in materia di organizzazione dei pubblici uffici. In
particolare va ricordato che, secondo la consolidata giurisprudenza
costituzionale, il passaggio ad una fascia funzionale superiore comporta
"l'accesso ad un nuovo posto di lavoro corrispondente a funzioni più
elevate ed è soggetto, pertanto, quale figura di reclutamento, alla regola
del pubblico concorso" (cfr. per tutte: sentenza n. 320 del 1997,
sentenza n. 1 del 1999), in quanto proprio questo metodo offre le migliori
garanzie di selezione dei soggetti più capaci. Il pubblico concorso è altresì
un meccanismo strumentale rispetto al canone di efficienza
dell'amministrazione, il quale può dirsi pienamente rispettato qualora le
selezioni non siano caratterizzate da arbitrarie forme di restrizione dei
soggetti legittimati a parteciparvi; forme che possono considerarsi non
irragionevoli solo in presenza di particolari situazioni, che possano
giustificarle per una migliore garanzia del buon andamento
dell’amministrazione.
L'art.
22, comma 1 lettera a), della legge
n. 133 del 1999, nel riformulare il comma 205 dell'art. 3 della legge n. 549
del 1995, non ha però reso la norma conforme a questi principi. Ed infatti,
anche se ha escluso che la totalità dei posti vacanti nelle dotazioni
organiche delle varie qualifiche prese in considerazione sia attribuita
all'esito di corsi di formazione professionale, ai quali sono abilitati ad
accedere soltanto i dipendenti dell'amministrazione, riserva tuttavia ancora
ad essi la totalità dei posti messi a concorso, pari a gran parte dei posti
disponibili, per di più prevedendo una quota riservata che appare
incongruamente elevata, così da realizzare una duplice, sostanziale elusione
dei principi enunciati. Né, oltre tutto, all’epoca risultava bandito il
concorso pubblico per la residua parte dei posti, mentre è noto che il
modello concorsuale richiede che la selezione avvenga con criteri tali “da
prevedere e consentire la partecipazione anche agli estranei, assicurando così
il reclutamento dei migliori", e a tale modello si deve ricorrere anche
per scongiurare "gli effetti distorsivi" che il criterio dei
concorsi interni può produrre (sentenza n. 313 del 1994), attraverso forme di
surrettizia reintroduzione dell'ormai superato sistema delle carriere, in
contrasto con il canone del buon andamento dell'amministrazione (sentenza n.
333 del 1993).
La
previsione, nella disciplina censurata, non già di un concorso pubblico con
riserva dei posti, bensì di un concorso "interno", riservato ai
dipendenti dell'amministrazione per una percentuale dei posti disponibili
particolarmente elevata -e per di più incongrua in quanto stabilita in
mancanza di giustificazioni diverse da quelle già valutate negativamente
nella sentenza n. 1 del 1999- appare pertanto irragionevole e si pone in
contrasto con gli artt. 3, 51 e 97 della Costituzione.
3.1.
¾
Neppure
le altre modifiche introdotte dall'art. 22 della legge n. 133 del 1999 alla
disciplina recata dal citato art. 3 della legge n. 549 del 1995 riescono a
superare le ulteriori denunce di illegittimità costituzionale prospettate
nell'ordinanza di rimessione.
A
questo proposito, va innanzi tutto osservato che, sebbene sia stata esclusa la
previsione di una progressione per
saltum, prima prevista per una delle qualifiche, risulta
ancora attribuita al criterio dell'anzianità una funzione già censurata
nella sentenza n. 1 del 1999, in quanto "del tutto abnorme". In
realtà è proprio sul criterio dell'anzianità che sono fondate sia la
riserva ai dipendenti della indicata percentuale dei posti disponibili, sia
l'ammissibilità del conseguimento della qualifica superiore, anche in
mancanza del titolo di studio prescritto. Ed infatti, dato che non è stata
modificata la censurata genericità
di contenuti della prova scritta di ammissione al corso, quest'ultima non
appare idonea a garantire, di per sé, una seria verifica dei requisiti
attitudinali, nonché ad evitare una sorta di automatico e generalizzato
scivolamento verso la qualifica superiore.
La
previsione, inoltre, che le materie del corso sono fissate con decreto
ministeriale (art. 3, comma 206 lettera d)
della legge n. 549 del 1995, come modificato dall'art. 22, comma 1 lettera b)
della legge n. 133 del 1999) e che all'esito del corso i candidati sono
sottoposti ad una prova di carattere teorico-pratico, soltanto indicata come
"prova d'esame" (art. 3, comma 206 lettera e),
come modificato dall'art. 22, comma 1 lettera b)
della legge n. 133 del 1999),
non consente di superare, in mancanza di ulteriori e più puntuali criteri, il
fondato dubbio già formulato da questa Corte nella citata sentenza n. 1 del
1999 in ordine alla "idoneità di un tale modo di selezione a consentire
una seria verifica della professionalità richiesta" dalle qualifiche
considerate.
In
definitiva, il complesso delle modifiche introdotte dalla norma impugnata non
appare adeguato a rendere le procedure di riqualificazione in esame
compatibili con i principi costituzionali. Va pertanto dichiarata
l'illegittimità costituzionale dei commi 205, 206 e 207 -quest'ultima norma
in quanto logicamente ed inscindibilmente connessa con le prime due- dell'art.
3 della legge n. 549 del 1995, così come modificati dall'art. 22, comma 1
lettere a), b) e c)
della legge n. 133 del 1999. Va altresì dichiarata l'illegittimità
costituzionale del comma 2 del citato art. 22 della medesima legge n. 133 del
1999, in quanto anche esso logicamente ed inscindibilmente connesso con le
norme precedentemente indicate.
dichiara
l'illegittimità costituzionale dell'art. 3, commi 205, 206 e 207 della legge
28 dicembre 1995, n. 549 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica),
come modificato dall'art. 22, comma 1, lettere a),
b) e c) della legge 13 maggio
1999, n. 133 (Disposizioni in materia di perequazione, razionalizzazione e
federalismo fiscale);
dichiara
l'illegittimità
costituzionale dell'art. 22, comma 2, della medesima legge 13 maggio 1999, n.
133.
Così
deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta,
il 9 maggio 2002.
F.to:Massimo
VARI, Presidente
Piero
Alberto CAPOTOSTI, Redattore
Giuseppe
DI PAOLA, Cancelliere
Depositata
in Cancelleria il 16 maggio 2002.
Il
Direttore della Cancelleria
F.to:
DI PAOLA