SENTENZA N. 136 ANNO
2001
REPUBBLICA
ITALIANA IN NOME DEL
POPOLO ITALIANO
LA CORTE
COSTITUZIONALE composta
dai Signori:
-
Cesare RUPERTO
Presidente
-
Fernando SANTOSUOSSO
Giudice
-
MassimoVARI "
-
Riccardo CHIEPPA"
- Gustavo
ZAGREBELSKY"
-
Valerio ONIDA"
-
Carlo MEZZANOTTE"
- Fernanda
CONTRI "
-
Guido NEPPI MODONA "
-
Piero Alberto CAPOTOSTI
"
-
Annibale
MARINI"
-
Franco BILE
-
Giovanni Maria FLICK
"
ha
pronunciato la seguente S E N T E N Z A
nei giudizi di legittimità costituzionale
dell'art. 26, commi 4 e 5, della
legge 23 dicembre 1998, n. 448 (Misure di finanza pubblica per la
stabilizzazione e lo sviluppo), promossi con ordinanze emesse il 15 aprile
1999 dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio, il 23 febbraio 1999 dal
Tribunale amministrativo regionale della Toscana, il 20 e il 14 gennaio 1999
dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Emilia-Romagna,
il 9 febbraio 1999 dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la
Regione Sardegna, il 29 marzo 1999 dalla Corte dei conti, sezione
giurisdizionale per la Regione Siciliana, il 27 gennaio 1999 (n. 7 ordinanze)
dal Tribunale amministrativo regionale per le Marche, il 7 aprile 1999 dal
Tribunale amministrativo regionale del Lazio, il 27 gennaio 1999 dal Tribunale
amministrativo regionale per le Marche, il 21 aprile 1999 dal Tribunale
amministrativo regionale del Lazio, il 9 marzo 1999 dal Tribunale
amministrativo regionale per la Toscana, il 7 aprile 1999 dal Tribunale
amministrativo regionale del Lazio, il 23 febbraio 1999 dal Consiglio di
Stato, il 21 maggio 1999 dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la
Regione Lazio, l'8 luglio 1999 dal Tribunale amministrativo regionale per il
Piemonte, il 14 aprile 1999 (n. 2 ordinanze) dal Tribunale amministrativo
regionale del Lazio, il 24 e il 10 febbraio 2000 dal Tribunale amministrativo
regionale della Lombardia, il 9 marzo 2000 dal Tribunale amministrativo
regionale per il Piemonte e il 24 maggio 2000 dal Tribunale amministrativo
regionale del Lazio, rispettivamente iscritte ai numeri 631, 741, 327, 328,
397, 399, 409, 410, 411, 412, 413, 414, 415, 440, 482, 650, 740 e 747 del
registro ordinanze 1999, ed ai numeri 6, 22, 36, 378, 379, 423, 424, 542 e 717
del registro ordinanze 2000, pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica numeri 23, 29, 35, 37, 39, 46 e 48, prima serie speciale, dell'anno
1999 e numeri 3, 4, 5, 6, 8, 27, 30, 41 e 48, prima serie speciale, dell'anno
2000.
Visti gli atti di costituzione di Cressati Cosima e di Argiolas Franco,
nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 6 febbraio 2001 e nella camera di
consiglio del 7 febbraio 2001 il Giudice relatore Franco Bile;
uditi l’avvocato Paolo Montaldo per Cressati Cosima e l'avvocato
dello Stato Giuseppe Stipo per il Presidente del Consiglio dei ministri.
RITENUTO IN FATTO
1.
- Con ordinanza iscritta al n.
631 r.o. del 1999 il Tribunale amministrativo regionale del Lazio ha sollevato
questione di legittimità costituzionale dell’art. 26, commi 4 e 5, della
legge 23 dicembre 1998, n. 448 (Misure di finanza pubblica per la
stabilizzazione e lo sviluppo), nel corso di un giudizio, instaurato contro il
Ministero del tesoro, la Ragioneria generale dello Stato e la Presidenza del
Consiglio dei ministri, da un gruppo di dipendenti civili dello Stato
per ottenere - previo annullamento di tutti gli atti presupposti,
consequenziali, anteriori e successivi, che, invece, l’avevano negato - il
riconoscimento del diritto alla percezione (con decorrenza dalla data di
spettanza) degli interessi e della rivalutazione monetaria sulle somme loro
corrisposte a titolo di benefici economici, stipendiali ed accessori, per
effetto dell’inquadramento nei loro riguardi
disposto in forza della legge 11 luglio 1980, n. 312 (Nuovo assetto
retributivo-funzionale del personale civile e militare dello Stato).
L’ordinanza enuncia che, essendo stati i
ricorrenti inquadrati in via definitiva con effetto retroattivo a decorrere
dal 13 luglio 1981, l’amministrazione aveva corrisposto
i benefici derivanti dall’inquadramento in ritardo, non solo rispetto
a quel termine, ma anche rispetto alla data dell’adozione dei decreti di
reinquadramento, senza, peraltro, procedere al pagamento degli interessi
e della rivalutazione monetaria <<dalla data di spettanza>>,
lasciando poi senza risposta l’istanza per ottenere detto pagamento. Era
seguita l’instaurazione del giudizio da parte dei ricorrenti, i quali
avevano sostenuto l’illegittimità del comportamento dell’amministrazione.
Ciò premesso, il
rimettente, dopo aver dato atto che sulla questione della spettanza degli
interessi e della rivalutazione monetaria si era consolidata una
giurisprudenza favorevole del giudice amministrativo, assume che l’art. 26,
commi 4 e 5, della legge n. 448 del 1998 - di cui ritiene di dover fare
applicazione e a cui attribuisce natura di norma retroattiva e di
interpretazione autentica (in quanto sancirebbe - a suo dire - che il diritto
dei pubblici dipendenti a detti accessori, per effetto del suddetto
inquadramento, non sarebbe mai sussistito) - violerebbe:
a) l’art. 3 Cost., in
quanto, pur enunciando un intento di interpretazione autentica, avrebbe invece
introdotto una nuova disciplina, contrastante con il principio - comune non
solo ad ogni credito di lavoro, ma a qualsiasi credito, indipendentemente
dalla sua origine - della parità di trattamento dei cittadini relativamente
alla corresponsione degli interessi e della rivalutazione sui crediti, senza,
peraltro, che la discriminazione sofferta dai pubblici dipendenti sia
assistita da una razionale giustificazione, non apparendo ragionevole l’esclusione
del diritto alla percezione dei citati accessori sugli emolumenti derivanti
dall’inquadramento, poiché essi non si differenzierebbero dagli altri
debiti retributivi contratti dall’Amministrazione;
b) l’art. 36
Cost., in quanto, per la natura retributiva delle somme su cui vengono negati
gli accessori, sarebbe leso il principio di proporzionalità fra retribuzione
e prestazione lavorativa;
c) l’art. 97 Cost., in quanto si consentirebbe alla pubblica
amministrazione di eludere le normali conseguenze del ritardo nella
corresponsione degli emolumenti.
Circa la rilevanza
della questione, il rimettente osserva che, alla stregua della norma
denunciata, le domande dei ricorrenti dovrebbero essere respinte.
L’ordinanza n. 717 impugna - come, del resto, avevano fatto alcune
delle suddette ordinanze (esattamente le nn. 631, 740 e 741 del 1999) - anche
il comma 5 del suddetto art. 26.
18.
- Con le ordinanze n. 378 e 379 r.o. del 2000 il Tribunale amministrativo
regionale del Lazio - nel corso di giudizi instaurati da taluni dipendenti del
Ministero dei beni culturali ed ambientali per ottenere la corresponsione di
interessi e rivalutazione monetaria sulle somme già liquidate dopo il
reinquadramento nelle qualifiche funzionali ex art. 4 della legge n. 312 del
1980, e talora la stessa corresponsione dei relativi importi in conto capitale
oltre che dei suddetti accessori - ha sollevato questione di legittimità
costituzionale dell’art. 26, comma 4, della
legge 23 dicembre 1998, n. 448 [erroneamente citata con il n. 449].
Anche tali ordinanze richiamano genericamente la giurisprudenza che ha fatto
decorrere il diritto agli accessori dalla pubblicazione nella Gazzetta
Ufficiale della deliberazione della Commissione paritetica ex art. 10 della
legge n. 312 del 1980, e ritengono l'illegittimità costituzionale della norma
impugnata per violazione dell’art. 3, primo comma, e 36, primo comma, della
Costituzione.
L’art. 3
sarebbe violato, in quanto i crediti per le differenze retributive derivanti
dall’inquadramento ex legge n. 312 del 1980, costituenti crediti di lavoro,
avrebbero illogicamente un trattamento differenziato da quello di tutti gli
altri crediti per tardivo pagamento di retribuzioni, relativi a rapporto di
lavoro pubblico e privato. L’art. 36 sarebbe violato perché i suddetti
crediti retributivi non sarebbero più proporzionati <<alla quantità e
qualità del lavoro svolto stante la impossibilità di una attuale
rivalorizzazione dello stesso credito al momento del pagamento delle spettanze
arretrate>>.
19. -
Con le ordinanze nn. 423 e 424 r.o. del 2000, il Tribunale
amministrativo regionale della Lombardia - nel corso di giudizi intentati da
numerosi dipendenti, rispettivamente contro il Ministero del tesoro e contro
il Ministero del lavoro, per ottenere l’accertamento e la conseguente
condanna delle amministrazioni resistenti al pagamento degli interessi e della
rivalutazione monetaria sulle somme loro corrisposte, a seguito dell’inquadramento
nelle qualifiche funzionali introdotte dalla legge n. 312 del 1980 - dopo
avere evocato l’orientamento giurisprudenziale secondo cui, su dette somme,
gli interessi e la rivalutazione monetaria sarebbero spettati dalla data di
pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della già citata deliberazione della
Commissione paritetica, ed avere rilevato che, per effetto della
sopravvenienza dell’art. 26, comma 4, della legge n. 448 del 1998, i ricorsi
dovrebbero essere rigettati - ha reputato rilevante e non manifestamente
infondata la questione di legittimità costituzionale di tale norma, in
riferimento agli artt. 3 e 36 della Costituzione. Peraltro, la motivazione
sulla non manifesta infondatezza è in concreto enunciata solo con riguardo
alla prima norma (sotto il profilo dell’ingiustificata disparità di
trattamento), in quanto i crediti di cui trattasi verrebbero sottoposti ad un
trattamento deteriore rispetto a quello previsto per gli altri crediti di
lavoro; ed in quanto la norma produrrebbe evidenti ed irragionevoli
discriminazioni in danno dei dipendenti le cui pretese siano oggetto di
giudizi pendenti all’atto della sua entrata in vigore ed a beneficio dei
dipendenti che abbiano ottenuto in precedenza un giudicato favorevole.
20.
- Con l’ordinanza n. 542 del 2000, il Tribunale amministrativo regionale del
Piemonte - nel corso di un giudizio intentato da un dipendente contro il
Ministero delle finanze e del tesoro, del bilancio e della programmazione
economica, per il riconoscimento di interessi e rivalutazione monetaria sulle
somme corrispostegli in tre soluzioni tra il 1990 ed il 1993, a titolo di
maggiorazioni per l’inquadramento ai sensi dell’art. 4 della legge n. 312
del 1980 - dopo avere dato atto dell’orientamento giurisprudenziale in
ordine alla decorrenza degli accessori ed enunciato che l’accoglimento del
ricorso è tuttavia impedito dall’art. 26, comma 4, della legge n. 448 del
1998, che, al di là della sua qualificazione formale, non sarebbe
interpretativa ed opererebbe per tutte le situazioni non oggetto di decisioni
alla data della sua entrata in vigore - ne ha lamentato l’illegittimità
costituzionale con riferimento agli artt. 3, 24, 36, 97, 102, 103 e 113 Cost.
L’art. 3 è invocato con considerazioni analoghe a quelle delle ordinanze di
rimessione nn. 423 e 424. L’art. 36 sarebbe violato per la lesione del
<<diritto alla giusta retribuzione, mediante la sostanziale preclusione
della operatività dei sistemi di garanzia della realità della retribuzione
stessa, dal momento che, senza il riconoscimento della rivalutazione, si
determina un ingiustificato depauperamento del contenuto economico dello
stesso trattamento retributivo, a fronte del ritardo con cui il medesimo viene
materialmente corrisposto>>. Gli artt. 24, 102, 103 e 113 sarebbero,
invece, violati, in quanto la norma - applicabile anche ai giudizi pendenti -
comporterebbe la vanificazione del diritto di difesa, con un’illegittima
interferenza nella sfera del potere giurisdizionale, in particolare del
giudice amministrativo. La norma denunciata violerebbe infine l’art. 97, in
quanto lederebbe il principio del buon andamento e di imparzialità dell’azione
della pubblica amministrazione, sotto il profilo dell’introduzione di
<<una ingiustificata deroga a favore dello Stato al principio
fondamentale di liquidazione dei debiti liquidi ed esigibili>>.
21. - Con l’ordinanza
n. 717 r.o. del 2000, il Tribunale amministrativo regionale del Lazio - in tre
giudizi riuniti, con i quali alcuni dipendenti del Ministero della giustizia e
del Ministero delle finanze avevano chiesto il riconoscimento degli interessi
e della rivalutazione sulle somme loro corrisposte per effetto del
reinquadramento ex legge n. 312 del 1980 - ha sollevato, richiamandone
espressamente la motivazione, la medesima questione di legittimità
costituzionale dell’art. 26, commi 4 e 5, della legge n. 448 del 1998, già
proposta dall’ordinanza n. 631 del 1999.
22.
- Nei giudizi di cui alle ordinanze nn. 378, 379, 423, 424, 542 e 717 è
intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, tramite l’Avvocatura
generale dello Stato, depositando memorie che hanno rinviato alle difese
svolte nei giudizi già in precedenza fissati a ruolo, in particolare a quelli
introdotti dalle ordinanze nn. 410 e 631 del 1999.
23.
- Con riferimento ai giudizi già chiamati a ruolo all’udienza pubblica del
23 maggio 2000 ed alla camera di consiglio del 24 maggio 2000, in esito alle
citate ordinanze istruttorie, il Presidente del Consiglio dei ministri ha
fatto pervenire documentazione e all’esito tutti i
giudizi sono stati chiamati a ruolo.
24. - Nell’imminenza dell’udienza pubblica, la parte privata del
giudizio di cui all’ordinanza n. 631 del 1999,
ha depositato una memoria, nella quale ha commentato e contestato le
emergenze della documentazione fatta pervenire in risposta alle richieste
formulate con l’ordinanza istruttoria. Ha, inoltre, richiamato la sentenza
n. 459 del 2000 di questa Corte a sostegno dell’invocata natura retributiva
degli interessi e della rivalutazione monetaria, per desumerne
che le somme cui si riferisce il giudizio a quo sarebbero assistite
<<da una esplicita previsione costituzionale>>, sostenendo,
altresì, che non ricorrerebbe, del resto, alcuna condizione che ne
giustifichi un seppur parziale sacrificio (attraverso, ad esempio, particolari
modalità di pagamento) non essendo credibile che dall’applicazione di un
principio generalissimo, che riguarda tutti i lavoratori pubblici e privati,
possa derivare danno per la collettività.
Considerato in diritto
1. - Tutte le ordinanze in epigrafe propongono
la questione di legittimità costituzionale dell’art. 26, comma 4, della
legge 23 dicembre 1998, n. 448, secondo cui <<Le somme corrisposte al
personale del comparto ministeri per effetto dell'inquadramento definitivo
nelle qualifiche funzionali ai sensi dell'art. 4, ottavo comma, della legge 11
luglio 1980, n. 312, e le somme liquidate sui trattamenti pensionistici in
conseguenza dell'applicazione della sentenza della Corte costituzionale n. 1
del 1991 non danno luogo ad interessi né a rivalutazione monetaria>>.
La questione è proposta da taluni giudici in
relazione alle somme corrisposte al personale del <<comparto
ministeri>>, e da altri in relazione a quelle liquidate in base alla
sentenza citata.
Fra le ordinanze del primo gruppo, alcune (nn.
631, 740 e 741 del 1999, 6 e 717 del 2000) impugnano anche il comma 5 dell’art.
26, secondo cui <<Fatta salva l'esecuzione dei giudicati alla data di
entrata in vigore della presente legge, le somme corrisposte in difformità da
quanto disposto dal comma 4 sono considerate a titolo di acconto sui
trattamenti economici e pensionistici in essere e recuperate con i futuri
miglioramenti comunque spettanti sui trattamenti stessi>>.
2. - Le ordinanze relative al <<comparto ministeri>> sono
state rese in giudizi intentati da dipendenti per ottenere interessi e
rivalutazione su somme tardivamente percepite per inquadramento definitivo, ai
sensi della legge n. 312 del 1980. Nei giudizi di cui alle ordinanze nn. 378 e
379 del 2000 si chiedeva anche il pagamento del capitale.
Quanto ai parametri, l’ordinanza n. 631 del
1999 invoca gli artt. 3, 36 e 97 Cost.; altrettanto fa la n. 717 del 2000, con
espressa limitazione al primo comma per gli artt. 36 e 97; le nn. 740 e 741
del 1999 enunciano soltanto l’art. 3; le nn. 440 e 747 del 1999, 378 e 379
del 2000 si riferiscono agli artt. 3, primo comma, e 36, primo comma; le nn.
650 del 1999, 423 e 424 del 2000 ritengono violati gli artt. 3 e 36; la n. 6
del 2000 evoca gli artt.3, 35 e 36; tutte le altre deducono la congiunta
violazione degli artt. 3, 24, 36, 97, 102, 103 e 113.
Le motivazioni delle censure - fra le quali
quella relativa all'art. 35 Cost. è priva di motivazione - possono così
riassumersi:
a) l’art. 3 Cost. è
violato per irragionevole disparità di trattamento in danno dei
dipendenti del <<comparto ministeri>>, ravvisata: a1) da tutte le
ordinanze, rispetto ad ogni altro creditore per causa di lavoro, cui interessi
e rivalutazione competono come conseguenza normale dell’inadempimento; a2)
da alcune ordinanze, anche rispetto agli altri dipendenti pubblici, che non
subiscono la privazione degli accessori del credito; a3) da altre ordinanze,
anche in base alla comparazione fra dipendenti genericamente interessati all’inquadramento
e dipendenti che abbiano già ottenuto, prima della norma impugnata, un
giudicato sul diritto agli accessori, fatto salvo dal comma 5;
b) l’art. 36 è violato perché il diniego
degli accessori, aventi natura retributiva, lede l’integrità e l’effettività
della retribuzione;
c) gli artt. 24, 102, 103 e 113 sono
violati perché la norma impugnata, applicabile ai giudizi in corso,
vanifica il diritto alla tutela giurisdizionale e interferisce nelle
attribuzioni dei giudici;
d) l’art. 97 è violato perché la norma
contrasta con il principio di buon andamento e imparzialità dell’amministrazione,
consentendo di eludere i normali effetti del ritardo nella corresponsione di
emolumenti.
3.
- La questione relativa ai trattamenti pensionistici riliquidati a seguito
della sentenza di questa Corte n. 1 del 1991 è stata proposta - in
riferimento al solo comma 4 del citato art. 26 - da diverse ordinanze,
per violazione degli artt. 3 e 24 Cost. (nn. 327 e 328 del 1999, 22 del
2000), o degli artt. 3 e 36 (n. 399 del 1999), o soltanto dell’art. 3, primo
comma (n. 397 del 1999).
Le motivazioni possono così riassumersi:
a)
l’art. 3 Cost. è violato: a1)
secondo alcune ordinanze, per irragionevole discriminazione fra coloro che
hanno chiesto in giudizio gli accessori su somme tardivamente corrisposte, a
seconda che un giudicato sia o no intervenuto; e anche per irragionevolezza
intrinseca, non contribuendo la norma alla <<stabilizzazione ed allo
sviluppo del paese>>; a2) secondo altre, per l’irragionevole
discriminazione di una categoria di crediti pensionistici rispetto a tutti gli
altri; a3) secondo un’ordinanza, anche per la discriminazione fra collocati
a riposo prima o dopo il 1° gennaio 1979, poiché, in caso di ritardo,
interessi e rivalutazione sono negati solo ai primi;
b)
l’art. 24 è violato per il sacrificio della tutela giurisdizionale, in
riferimento a giudizi in corso.
4. - Sulla
rilevanza della questione concernente il comma 4, le ordinanze assumono - con
motivazione non implausibile - la necessità della sua applicazione, dato che
nei giudizi si chiedono gli interessi e la rivalutazione che la norma nega.
La questione inerente al comma 5 è ammissibile soltanto con riguardo
all’ordinanza n. 6 del 2000, poiché in essa si enuncia che le somme dovute
per interessi e rivalutazione sono state corrisposte in ottemperanza alla
decisione di primo grado appellata avanti al rimettente.
5. - Poiché tutte le ordinanze
impugnano il comma 4 dell’art. 26, i giudizi possono essere riuniti.
Nel merito è opportuno distinguere le
questioni, relative alle due diverse norme contenute nella disposizione
censurata.
6.
- La norma relativa alle <<somme corrisposte al personale del comparto
ministeri>> si ricollega alla legge n. 312 del 1980, che ha dato ai
dipendenti civili e militari dello Stato (salvo specifiche eccezioni) un nuovo
assetto, sostituendo al sistema delle carriere quello delle qualifiche
funzionali.
A tal fine essi sono stati prima inquadrati
provvisoriamente, dalla stessa legge, nelle nuove qualifiche; e poi - dopo che
un’apposita commissione ha individuato i profili professionali compresi in
ciascuna qualifica e valutato la corrispondenza fra vecchie carriere e nuovi
profili - definitivamente inquadrati, mediante provvedimenti individuali,
nelle qualifiche funzionali col corrispondente livello retributivo.
I rimettenti ritengono, in conformità a
giurisprudenza amministrativa consolidata, costituente quindi <<diritto
vivente>>: a) che in tema di inquadramento del <<comparto
ministeri>> il potere discrezionale dell’amministrazione si è
esaurito l’8 novembre 1988, con la pubblicazione della delibera dell’indicata
Commissione, onde la natura sostanzialmente ricognitiva dei successivi
provvedimenti individuali; b) che in tale data, quindi, sarebbe sorto il
credito dei dipendenti per la parte di retribuzione, commisurata a mansioni
effettivamente svolte, non percepita per l’inadeguatezza dell’inquadramento
provvisorio rivelata da quello definitivo; c) che su tali somme sarebbero
dovuti, dalla stessa data al pagamento, interessi e rivalutazione monetaria.
L’applicazione di questi principi è però impedita, ad avviso dei
rimettenti, dalla norma del citato comma 4 dell’art. 26, secondo cui le
somme in esame <<non danno luogo ad interessi né a rivalutazione
monetaria>>.
7. - La questione
concernente tale norma è fondata.
Alcune ordinanze prospettano la violazione dell’art. 3 Cost.,
dubitando che la norma possa qualificarsi (come vorrebbe la rubrica dell’art.
26) in termini di interpretazione autentica, con efficacia per ciò solo
retroattiva, e la ritengono invece innovativa e retroattiva.
La Corte ha però
affermato (per tutte, sentenza n. 229 del 1999) che - ai fini del controllo di
legittimità costituzionale sotto il profilo della ragionevolezza - non
assume valore decisivo verificare se una norma
abbia efficacia retroattiva in quanto di natura realmente interpretativa,
ovvero si connoti come innovativa con efficacia retroattiva. E - sulla
premessa che il divieto di retroattività della legge, pur costituendo
fondamentale valore di civiltà giuridica e principio generale
dell'ordinamento, non è stato tuttavia elevato a dignità costituzionale,
salva la previsione dell'art. 25 Cost. in materia penale - ha precisato che,
nel rispetto di tale limite, ben può il legislatore porre norme retroattive
(interpretative o innovative che siano), purché la retroattività trovi
adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non contrasti con
altri valori e interessi costituzionalmente protetti.
Orbene, la norma del comma 4 - che, in caso di inadempimento di
particolari obbligazioni, nega interessi e rivalutazione - è palesemente
retroattiva, alla stregua del comma 5: questo infatti - disponendo che, fatti
salvi i giudicati, le somme corrisposte (evidentemente prima del
sopraggiungere del divieto) sono recuperate sui futuri miglioramenti -
assoggetta a ripetizione pagamenti anteriori all’entrata in vigore della
nuova disciplina ed esclude così che il comma 4 possa negare gli accessori
solo a partire dalla sua entrata in vigore.
7.1. - Di questa disciplina (retroattiva) occorre valutare la conformità al
principio di ragionevolezza, posto dall’art. 3 Cost., verificando l’effettività
delle denunciate discriminazioni.
Dal confronto fra la situazione degli appartenenti al <<comparto
ministeri>> e quella degli altri dipendenti delle pubbliche
amministrazioni, o (in una prospettiva più ampia) dei lavoratori in genere,
emerge come la norma impugnata ponga i primi in una posizione sicuramente
deteriore.
Infatti il <<personale del comparto ministeri>>, quanto ai crediti
per differenze retributive da inquadramento definitivo, è totalmente
sottratto alla regola che garantisce a tutti i lavoratori, dipendenti da
privati o da pubbliche amministrazioni, in caso di inadempimento di
obbligazioni retributive, gli interessi e la rivalutazione monetaria, nella
misura più ampia di cui all’art. 429 cod. proc. civ. o, per i crediti
maturati dopo il 31 dicembre 1994, in quella più ristretta prevista dall’art.
22, comma 36, della legge n. 724 del 1994. Ed è indifferente che non sempre
risulti dalle ordinanze se i crediti fatti valere abbiano subìto questa
successione di disciplina, poiché la norma impugnata esclude radicalmente l’operatività
di quella regola.
Ma, più in
generale, il diniego di interessi e rivalutazione comporta per il personale in
esame una posizione deteriore rispetto a qualsiasi altro creditore di somma di
danaro, tenuto conto che l’art. 1224 cod. civ. collega all’inadempimento
delle obbligazioni pecuniarie l’effetto normale della corresponsione degli
interessi e quello eventuale del risarcimento del maggior danno, nel quale
rientra il pregiudizio da perdita di valore della moneta.
Questo trattamento sfavorevole è ancor più rilevante alla luce della
giurisprudenza della Corte, secondo cui il particolare risalto accordato dalla
Costituzione al diritto del lavoratore alla retribuzione (art. 36, comma 1)
esige che al credito retributivo si appresti <<una effettiva specialità
di tutela rispetto alla generalità degli altri crediti>>, ed in
particolare una disciplina privilegiata delle conseguenze dell’inadempimento
dell’obbligazione retributiva, con la previsione di <<un meccanismo di
riequilibrio del vantaggio patrimoniale indebitamente conseguito dal datore di
lavoro attraverso l’inadempimento>> (sentenza n. 459 del 2000), in
funzione di <<remora a pratiche ritardatrici del pagamento>>,
possibili anche da parte del datore di lavoro pubblico (cfr. sentenza n. 207
del 1994).
7.2. - L’Avvocatura
dello Stato sostiene che la norma denunciata non sarebbe irragionevolmente
discriminatoria, perché determinata da esigenze di contenimento della spesa
pubblica.
Tale allegazione è del tutto generica, riducendosi in sostanza a
richiamare l’esigenza di tener conto della giurisprudenza amministrativa
che, per l’inadempimento dell’obbligazione retributiva da inquadramento,
faceva decorrere gli accessori dalla data della deliberazione dell’indicata
Commissione e non dai provvedimenti individuali. Non viene minimamente
spiegato come siffatto orientamento possa avere giustificato la sottrazione
radicale di taluni crediti retributivi - in quanto tali meritevoli, ex art. 36
Cost., di trattamento privilegiato - alla disciplina generale dell’inadempimento
prevista non solo per le retribuzioni degli altri dipendenti pubblici e dei
lavoratori in genere, ma addirittura per i comuni crediti pecuniari di ogni
altro cittadino.
Alla rilevata totale genericità del riferimento alle esigenze di bilancio,
consegue che la Corte non debba soffermarsi sul se e in quali limiti esse
possano eventualmente incidere sui crediti retributivi del settore del lavoro
pubblico.
7.3. - Conseguentemente, l’art. 26, comma 4, della legge n. 448 del 1998 -
in quanto prevede che le somme corrisposte al personale del <<comparto
ministeri>> per effetto dell’inquadramento definitivo ex art. 4,
ottavo comma, della legge n. 312 del 1980, non danno luogo
né ad interessi né a rivalutazione monetaria - deve essere dichiarato
costituzionalmente illegittimo, per contrasto con gli artt. 3 e 36 Cost. Resta
assorbito ogni altro profilo di censura.
La dichiarazione di illegittimità della norma non incide, naturalmente, sulla
determinazione del dies a quo della decorrenza degli accessori, individuato
dal <<diritto vivente>> nell’8 novembre 1988.
7.4. - L’accertata illegittimità dell’art. 26, comma 4, della legge n.
448 del 1998, con riferimento alle somme corrisposte al personale del comparto
ministeri, comporta anche l’accoglimento della questione relativa al comma
5, la cui applicazione presuppone la vigenza del
comma 4.
8. - La seconda
questione riguarda la norma - di contenuto identico rispetto a quella finora
esaminata - dettata dalla disposizione impugnata per i crediti relativi alle
somme liquidate sui trattamenti pensionistici, in applicazione della sentenza
di questa Corte n. 1 del 1991.
Tale sentenza - ritenuto che l'art. 3, primo comma, del decreto-legge
16 settembre 1987, n. 379, convertito in legge 14 novembre 1987, n. 468, aveva
irrazionalmente discriminato fra dirigenti dello Stato, concedendo la
riliquidazione della pensione solo a quelli collocati a riposo dopo il 1°
gennaio 1979 - lo ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, nella parte in
cui non disponeva che ai dirigenti collocati a riposo prima di tale data la
pensione, a cura dell’amministrazione, fosse riliquidata in base agli
stipendi dovuti per effetto di norme sopravvenute.
Le ordinanze
rilevano che i crediti nascenti da questa decisione hanno natura
previdenziale, per cui - senza la soppressione di qualsiasi accessorio
disposta dalla norma impugnata, avente efficacia retroattiva - il loro
ritardato adempimento sarebbe stato regolato prima dall’art. 429 cod. proc.
civ. (applicabile ai crediti previdenziali per effetto della sentenza n. 156
del 1991 di questa Corte), e poi dall’art. 16, comma 6, della legge n. 412
del 1991.
I crediti in questione infatti - essendo di natura previdenziale e non
retributiva - ricadono sotto la tutela dell’art. 38 Cost. e, rispetto ad
essi, le esigenze del bilancio pubblico (a carico del quale il sistema
previdenziale è in buona parte finanziato) potrebbero, in via di principio,
spiegare rilevanza (sentenze numeri 327 del 1999, 417 del 1998, 211, 138 del
1997, 361 del 1996, 320 del 1995).
Peraltro, ed è argomento decisivo, la norma in esame non mira affatto a
contemperare esigenze di bilancio e tutela di crediti previdenziali, ma si
limita ad escludere totalmente, per l’inadempimento di alcuni di essi, ogni
prestazione accessoria.
8.2. - La sottrazione dei crediti pensionistici nascenti dalla sentenza n. 1
del 1991 al regime generale delle conseguenze dell’inadempimento si risolve
in un trattamento palesemente differenziato rispetto a quello di tutti gli
altri crediti, previdenziali e non previdenziali.
Tale differenza - una volta esclusa la rilevanza delle esigenze di bilancio -
è priva di ragionevolezza
La Corte ha altre
volte esaminato, in materia previdenziale,
norme analoghe a quella di cui si discute. E, quando ne ha escluso l’incostituzionalità,
ha posto in luce le peculiarità della fattispecie, sottolineando (sentenza n.
138 del 1997) come si trattasse di intervento legislativo di carattere
costitutivo, imposto da precedente pronuncia che aveva riconosciuto a taluni
soggetti la titolarità di un diritto, lasciando però all’apprezzamento
discrezionale del legislatore di fissare <<la misura, i modi e i
tempi>> della sua realizzazione.
Infine, nemmeno ricorre la situazione che, di recente, ha indotto la
Corte a ritenere infondata (sentenza n. 310 del 2000) la questione di
costituzionalità della disciplina (contenuta peraltro nell’art. 36, comma
1, della stessa legge di cui fa parte la norma impugnata) con cui il
legislatore, intervenendo a seguito di precedenti sentenze, ha regolato in ben
diverso modo gli accessori sul trattamento pensionistico corrisposto in
ritardo, riconoscendo interessi in misura forfettariamente determinata.
9. - E, quindi, l’art.
26, comma 4, della legge n. 448 del 1998 deve essere dichiarato
costituzionalmente illegittimo, per violazione dell’art. 3 Cost., (anche) in
quanto prevede che le somme liquidate sui trattamenti pensionistici in
applicazione della sentenza della Corte n. 1 del 1991 non danno luogo ad
interessi e a rivalutazione monetaria.
Restano
assorbiti gli altri profili di censura.
10. -
Pertanto, entrambe le categorie di crediti considerate dal comma 4 del citato
art. 26 rimangono assoggettate - per le conseguenze dell’inadempimento o del
ritardato adempimento - alla disciplina normale, correlata alla loro natura
(rispettivamente retributiva e previdenziale) anche per quanto riguarda le
modificazioni legislative al riguardo intervenute, ove in concreto idonee a
regolarle.
11. - La
dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 26, comma 4, della
legge n. 448 del 1998, per gli interessi e la rivalutazione sulle somme
liquidate in esecuzione della sentenza di questa Corte n. 1 del 1991, comporta
- ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 - la consequenziale
dichiarazione di illegittimità costituzionale del successivo comma 5, non
impugnato da alcuna ordinanza relativamente a quanto dispone circa i suddetti
accessori. Il comma 5, infatti, concerne le somme corrisposte a titolo di
interessi e rivalutazione in difformità dal comma 4 e, come tale, concorre a
integrare la disciplina da questo introdotta e non può trovare autonoma
applicazione, per cui partecipa dei vizi che di quello hanno determinato la
caducazione e ne resta travolto.
PER
QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti
i giudizi,dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’art. 26, comma 4, della legge 23
dicembre 1998, n. 448 (Misure di finanza pubblica per la
stabilizzazione e lo sviluppo);
dichiara l’illegittimità
costituzionale dell’art. 26, comma 5, della legge 23 dicembre 1998, n. 448,
nella parte relativa alle somme corrisposte al personale del comparto
ministeri;
dichiara -
ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 - l’illegittimità
costituzionale dell’art. 26, comma 5, della legge 23 dicembre 1998, n. 448,
nella parte relativa alle somme liquidate in esecuzione
della sentenza della Corte costituzionale n. 1 del 1991.
Così deciso in Roma, nella
sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 maggio 2001.
F.to:
Cesare
RUPERTO, Presidente
Franco BILE,
Redattore
Giuseppe DI
PAOLA, Cancelliere
Depositata
in Cancelleria il 17 maggio 2001.
Il Direttore
della Cancelleria
F.to: DI
PAOLA
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