La
diretta conoscenza che ho di tanti colleghi giovani e meno giovani, impegnati
sindacalmente e non, mi induce, contro ogni evidenza, a cercare le ragioni della
indolenza con cui stiamo subendo vessazioni e ingiustizie di ogni tipo.
Siamo
al preludio della fine e i più sembrano affannarsi a mistificare la realtà.
Sono
anni che taluni, pochi, fra essi certamente professionisti intellettualmente
liberi, denunciano il rischio di rimanere schiacciati da riforme generalizzate,
incompatibili con il paradigma funzionale e organizzativo dell’ufficio e
dell’attività dell’ufficiale
giudiziario.
L’analisi,
condotta dai più accorti, non ha trovato adeguato approfondimento nel merito e,
nell’incapacità di una critica
costruttiva, è naufragata, come sempre accade quando le cose sono dominate
dall’ignoranza, nella sterile contrapposizione di parte.
E’
da qualche tempo che mi guardo intorno per cogliere il segno di un ripensamento,
un sussulto di vitalità, una impennata di orgoglio.
Quel
che sembra dominare la scena è falsa rassegnazione, nell’intimo, mal celato,
convincimento di molti che anche questa stagione porterà i suoi frutti.
Chissà,
forse, per gli anziani, arriverà la tanto agognata riqualificazione con
passaggio di livello in barba ai “titolati”, secondo il ripristinato
principio per cui l’anzianità fa grado. E per i più giovani (ufficiali
giudiziari o cancellieri che siano) l’opportunità di diventare grandi
cominciando a tutelare i propri interessi e resistendo, finalmente uniti, con
composta competenza e professionalità, alle ruvide astuzie ispirate al sempre
attuale “mors tua vita mea” degli occulti mestieranti.
Non
ho intenzione di addentrarmi sulle modalità di conferimento dei nuovi gradi,
vorrei limitarmi sul punto a ricordare il Poeta quando, in tempi non sospetti,
scrisse: “chi del suo mal è la cagion
pianga se stesso”.
Ai
predicatori della salvaguardia della “specificità della categoria nel
contratto” rammento che le vane promesse troveranno adeguata, concreta,
risposta nei fatti, inutile attendersi le dovute, responsabili, conseguenze.
Ai
seguaci delle sirene l’auspicio della consapevolezza dei propri limiti e con
essa il rimorso per aver attentato alla sopravvivenza propria e della categoria.
Agli
ultra sessantacinquenni l’augurio di una buona pensione ove la regola
contrattuale, a gran voce osannata, dovesse disapplicare definitivamente
l’inutile ordinamento professionale.
Nel
momento di massima aspirazione funzionale per gli ufficiali giudiziari, nel
quadro ineludibile del diritto comunitario, non abbiamo saputo dimostrare
sensibilità e attenzione alla giusta rivendicazione di attribuzioni e
competenze che ci avrebbero accomunato alla dignità e qualità professionale
dei colleghi europei.
Smarrito
il senso dell’importanza della funzione cui siamo chiamati, così
profondamente connessa alle vicende umane, sociali ed economiche, ci siamo
piegati, come inebetiti, al senso di colpa per responsabilità, certamente non
nostre, sul cattivo funzionamento della giustizia e in generale della pubblica
amministrazione.
Trascinati
nel vortice dello smaltimento del contenzioso civile e delle “urgenti”
riforme del processo penale, che hanno occupato e occupano le migliori energie
dottrinali e legislative del nostro Paese, abbiamo rinunciato a garantire la
centralità delle funzioni dell’ufficiale giudiziario nella tutela
giurisdizionale dei diritti e con essa la reale e concreta realizzazione del
credito.
Abbiamo
consentito che nessuna attenzione fosse riservata all’esecuzione forzata e
all’ufficiale giudiziario nei processi di riforma che hanno interessato il
processo civile.
Abbiamo
assistito, inermi, alla svendita delle funzioni esecutive, degradate nella
tutela di altri interessi, non credo che sapremo reagire alla “devoluzione ad
altri” dell’attività di notificazione fino ad ora
riservataci.
Passata
la, ormai imminente “riqualificazione”,
la categoria rimarrà senza aspirazioni e senza occupazioni. Taluni
riprenderanno le note vie legali per difendere i propri interessi contro gli
usurpatori di quel grado o di quel distaccamento da comandare. Ma nulla di tutto
ciò potrà servire a cambiare la storia, già scritta, del protagonista di
“Balla coi lupi”.
E
alla fine, solo alla fine, forse liberati dalle zavorre dell’ignoranza e dei
bassi livelli, riusciremo a raccogliere le ultime forze della sopravvivenza,
certamente sorretti da qualche benemerito funzionario di cancelleria che,
eludendo i falsi garanti della “salvaguardia della specificità della
categoria degli ufficiali giudiziari nel contratto”, sarà transitato nel
fatidico C3.
Allo
stato non meritiamo miglior sorte di quella che ci siamo dati. Auspichiamoci che
“finita la ricreazione” residuino spazio e tempo per tornare alle nostre
occupazioni e alla reale tutela degli interessi della categoria.
Solo
allora tornerà ad avere un senso riproporre iniziative per l’adeguamento
delle nostre funzioni insistendo, come abbiamo cercato di fare, inascoltati, per
la revisione dei poteri e delle attribuzioni dell’ufficiale giudiziario in un
quadro di modernizzazione dei mezzi, delle procedure e delle strutture che
possano avvicinarci agli standard europei.
Nel
descritto quadro di generale disinteresse sento il dovere di portare un sentito
ringraziamento all’Avv. Maretta Scoca già Sottosegretario di Stato del
Ministero della Giustizia con delega per il personale UNEP.
E’ all’impegno politico e istituzionale dell’On.le Maretta Scoca che dobbiamo la norma, oggi legge, che consente la liquidazione della percentuale per gli anni 1998/1999. E’ al suo impegno personale se in un consesso internazionale come il Consiglio Permanente dell’Union Internazionale des Hussiers de Jistice et Officiers Judiciaires, tenutosi a Parigi il 25 e 26 novembre 1999, abbiamo visto rappresentate le nostre istanze riferendo, per l’Italia, la volontà politica di restituire dignità e funzionalità ad uno dei momenti più importanti del processo civile, che appunto la fase esecutiva anche tramite la necessaria revisione dell’ordinamento dell’ufficiale giudiziario “attraverso la esaltazione dell’autonomia, modernità, specialità e professionalità del suo ruolo”.
La
speranza è che altri sappiano raccogliere il testimone.
Per noi resta l’auspicio di riappropriarci, da subito, del nostro futuro.
Dott.
Carmine Tarquini