Convegno UFFICIALI GIUDIZIARI  23 - 24 giugno 2001  -  CHIETI

 L’odierno convegno, come le tante iniziative assunte, da prova della accresciuta consapevolezza della necessità ed urgenza di porre rimedio alla crisi del processo esecutivo ed, in particolare, alla crisi della espropriazione fortemente avvertita anche dalla nostra categoria.

I provvedimenti legislativi sulla giustizia civile, anche i più incisivi, hanno appena sfiorato il processo esecutivo, dando dimostrazione del disinteresse di quanti avrebbero dovuto dare risposte adeguate e strumenti idonei a rimuovere l’insostenibile stallo in cui versa il processo di esecuzione.

Siamo chiamati a confrontarci, a misurarci con gli ordinamenti degli altri stati, con la loro capacità operativa e organizzativa, in un processo di adeguamento di mezzi e di strutture ma anche e soprattutto di principi all’attività e all’organizzazione di essi.

Siamo di fronte ad una sfida culturale che, nella materia che ci riguarda,  deve tendere al recupero

1)         di certezza delle regole ordinamentali

2)         di concretezza, rapidità ed efficacia dell’azione esecutiva.

 Certezza delle regole ordinamentali

Siamo destinatari di un impianto normativo disarticolato dal complesso sistema giuridico e sociale in cui ci troviamo ad operare e i contratti di lavoro finora formati non hanno dato risposta ai tanti, troppi, interrogativi.

La materia non può essere qui affrontata, ma va certamente tenuto conto del disagio che la categoria vive in assenza di certezze interpretative delle regole che attengono alla regolamentazione del rapporto di lavoro e quindi dello status dell’ufficiale giudiziario e delle norme, dubbie, che regolano l’organizzazione degli uffici e del lavoro.

L’argomento meriterebbe una attenta e adeguata trattazione, ma sarà occasione di un nuovo, specifico, incontro.

Concretezza dell’azione esecutiva

Sul punto sono necessarie talune considerazione peraltro in parte già svolte da chi mi ha preceduto.

La insostenibile dilatazione dei tempi processuali fa sentire ingiuste anche le sentenze tecnicamente corrette e compromette la qualità degli interessi in gioco, svuotati di effettività e concretezza, come è dato leggere nelle relazioni che presentano il programma politico della attuale maggioranza governativa.

Ne condividiamo le conclusioni ma per quel che ci occupa, in questa sede, una coerente risposta alla domanda di giustizia, non può che trovare condizione e presupposto nel recupero di efficienza e tempestività dell’azione esecutiva, restituendo alla fase dell’esecuzione forzata l’importanza che merita nella tutela giurisdizionale dei diritti.

Non tutto può e deve rimanere però attività del giudice.

Il giudice deve pronunciarsi sul diritto, ma crediamo sia giunto il momento di liberarlo da incombenze che potremmo definire di tipo meramente amministrativo.

L’intervento del giudice nell’esecuzione forzata dovrebbe limitarsi alla garanzia della legittimità dell’azione degli organi esecutivi.

È tempo, in quest’ottica di interrompere con decisione lo spossessamento che ha interessato in questi ultimi anni l’attività dell’ufficiale giudiziario, per riaffermare con rinnovato vigore la centralità di questo soggetto nell’esecuzione con l’affidamento ad esso di compiti che, nel cennato quadro di deflazione processuale, conducano, con un naturale aggiornamento delle procedure, alla armonizzazione con le legislazioni europee.

Di qui l’importanza della proposta del disegno di legge delega per la riforma dell’ordinamento professionale degli ufficiali giudiziari che, nato dai lavori della commissione Picardi, a cui ho avuto l’onore di partecipare come componente, ha saputo coniugare la revisione delle attribuzioni e dei poteri dell’ufficiale giudiziario, nella concreta attuazione dei diritti cui è istituzionalmente demandato con la esecuzione dei provvedimenti giudiziali e con l’acquisizione di compiti che costituiscono una risposta moderna e coerente alle finalità di effettività dell’esecuzione ed efficienza della fase esecutiva.

Il testo, confermando tutte le attività attribuite per legge all’ufficiale giudiziario, tende a introdurre modificazioni alla disciplina del processo civile di esecuzione in materia di espropriazione forzata mobiliare dirette a modernizzare e razionalizzare la ricerca delle cose da pignorare, limitare le possibilità ed i tempi di interventi degli altri creditori, affidare all’ufficiale giudiziario il ricevimento della dichiarazione di terzo di cui all’art. 547 codice di procedura civile nonché, per delega del giudice, la vendita delle cose pignorate, la redazione del progetto di distribuzione della somma ricavata ed il pagamento degli aventi diritto.

Prevedere che il creditore, nelle ipotesi in cui può avvalersi del procedimento di ingiunzione di cui agli artt. 633 e ss. del c.p.c., abbia facoltà di chiedere la notificazione dell’atto di precetto e che si formi il titolo esecutivo nel caso in cui il debitore, su specifico interpello dell’ufficiale giudiziario, riconosca anche in parte il debito.

Importanti sviluppi sono, oggi, prevedibili con la paventata introduzione di mezzi alternativi alla giurisdizione civile, cui va a coordinarsi, per quel che ci riguarda, l’attività di formazione dei titoli esecutivi stragiudiziali.

Molto si può migliorare, tenendo conto della rapida evoluzione socio-economica in atto e dell’avvento dei nuovi mezzi informatici, basti pensare alla naturale evoluzione che avrà l’applicazione della firma digitale e quindi la disciplina del documento e del documento informatico, la sua trasmissione e le indubbie implicazioni con la notificazione e comunicazione degli atti giudiziari.

Ma questo non può significare e non dobbiamo consentire che significhi, attribuzione ad altri dei servizi.

Del resto appare evidente che quelle dichiarate garanzie nell’esercizio della funzione che deriverebbero dalla qualificazione di pubblici impiegati, invocata per  contrastare la evoluzione dello status libero professionale dell’ufficiale giudiziario, vengono di fatto  dimenticate quando si svendono le nostre attività a privati.

Avviene cioè che, in una sorta di politica di soffocamento funzionale, alla statalizzazione dell’ufficiale giudiziario, quale mendace garanzia di legalità della funzione, fa da contraltare la privatizzazione dei servizi convenzionati a terzi.

Noi non abbiamo nulla contro un processo di piena statalizzazione, ma ciò solo se e quando questa si dimostrerà idonea a tutelare l’esercizio della nostra funzione e l’organizzazione del nostro lavoro.

Particolare attenzione, nell’aggiornamento della cennata proposta di riforma, va posta alle procedure di vendita, agli atti di interpello e di constatazione, quale contenuto strategico della evoluzione professionale dell’attività dell’ufficiale giudiziario e come risposta alle esigenze di certezza e tempestività dell’azione esecutiva.

La prospettazione di coinvolgere l’ufficiale giudiziario nelle operazioni di vendita e di liquidazione del ricavato, che l’attuale sistema riserva al giudice dell’esecuzione, per quanto auspicabile, dovrebbe avere il coraggio di muovere nella direzione di una più incisiva innovazione, in ragione di quella inaccettabile, riconosciuta, anomalia per cui il costo della procedura di esecuzione, se e quando si giunga all’assegnazione del ricavato, risulta maggiore del ricavato stesso, con evidente danno sia del creditore che del debitore.

E ciò muovendo da un effettivo ampliamento dei poteri dell’ufficiale giudiziario a cui dovrebbe riconoscersi la possibilità di scegliere la formalità di vendita e di determinare forme di pubblicità idonee ad incrementare le offerte anche in relazione alla consistenza e valore dei beni pignorati.

Una specifica previsione normativa dovrebbe riconsiderare i criteri di determinazione del prezzo di apertura della vendita, superando, in caso di secondo esperimento, la vendita al miglior offerente senza determinazione del prezzo, che troppo si è prestata e si presta a manovre speculative che attentano indistintamente al diritto dei creditori e agli interessi del debitore e dei terzi.

Viene, nel testo proposto, riconosciuta all’ufficiale giudiziario la possibilità di formare titoli esecutivi stragiudiziali e di procedere ad atti di constatazione con effetti estintivi dell’esecuzione già iniziata, in caso di adempimento della pretesa assistita dal titolo esecutivo, ovvero con effetti estintivi o sostitutivi del titolo originario per intervenuta conciliazione fra le parti.

Viene, inoltre, prevista l’esecutività a tutti gli effetti della conciliazione intervenuta tra le parti del processo esecutivo, la cui autenticità sia accertata dall’ufficiale giudiziario.

Anche qui va registrato un naturale adeguamento alle prospettate riforme di exstragiurisdizionalizzazione della fase istruttoria con conseguente, possibile, intervento dell’ufficiale giudiziario, soprattutto nell’accertamento dell’intervenuta conciliazione, anche nella fase preliminare alla instaurazione del processo esecutivo.

Maggior considerazione merita l’istituto della constatazione che, molto utilizzato in altri ordinamenti europei, presenta particolari potenzialità applicative proprio nell’attività dell’ufficiale giudiziario.

La constatazione, quale atto che documenta una certa situazione oggettiva e materiale in un determinato momento, per le peculiari caratteristiche di tempestività ed economicità dell’atto, si coniuga perfettamente con la dinamicità operativa dell’ufficiale giudiziario e si fa apprezzare quale strumento strategico nella politica di deflazione processuale in atto.

Basti, a titolo esemplificativo, considerare che, pur in mancanza di uno specifico riconoscimento costitutivo, tipicamente apprezzabile per atti certi e individuati, l’atto di constatazione andrebbe ad assumere quella efficacia probatoria che, favorendo soluzioni transattive, andrebbe a ridurre sensibilmente il ricorso, altrimenti necessario, al giudice civile.

La riforma prospettata, come si è avuto modo di dire in altre sedi, pur se diretta a disciplinare l’attività dell’ufficiale giudiziario, si coordina con la revisione di importanti articolazioni della fase esecutiva, ricercando una equilibrata, concreta, tutela degli interessi dei soggetti coinvolti.

 Le nuove attribuzioni, una volta adeguate alle mutate circostanze e alla emersa evoluzione dei mezzi, appaiono idonee ad avvicinare l’ufficiale giudiziario italiano agli standards degli altri paesi europei, restituendogli quella dignità e professionalità compromesse dalla manifestata volontà politica e amministrativa di trasferirne le funzioni a privati.

Vi è un dato storico incontrovertibile che dimostra ciò: con la pretesa di statalizzazione assistita – a mezzo contratto – l’amministrazione sta realizzando la privatizzazione delle nostre funzioni.

Si pensi, da ultimo, alla convenzione firmata dal ministro Fassino il 9 maggio scorso con le poste italiane per snellire, si dice, - non solo dal punto di vista processuale ma anche temporale i processi -.

Credo che ai più accorti non possano sfuggire le reali motivazioni.

Siamo chiamati a reagire con fermezza e costruttiva determinazione al tentativo di spossessamento funzionale in atto.

E a ciò siamo chiamati proponendoci quali interpreti del processo di modernizzazione del servizio giustizia, ove possibile anticipandone gli effetti, informando sempre la nostra attività a principi di professionalità e correttezza quale segno di una reale, qualitativa emancipazione della categoria che, scongiurate finalità di mero profitto, sappia muoversi all’interno di un sistema di regole e di controlli che garantiscano legalità, qualità e correttezza del servizio prestato quali pubblici ufficiali.

È anche e soprattutto questo il contenuto della sfida culturale di cui parlavo; so che le premesse sono confortanti, non facciamoci mancare il coraggio.

L’odierna occasione rappresenta un momento importante di ripresa delle nostre attività di studio e di proposta, altre ne seguiranno ,ma i tempi sono ormai maturi per chiedere e perseguire un reale cambiamento.

Dr. Carmine Tarquini

Ufficiale giudiziario



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