TAR LAZIO, SEZ. II TER - sentenza 4 maggio 2004 - le controversie relative a procedure
selettive finalizzate al passaggio da un’area all’altra rientrano nella giurisdizione amministrativa, le controversie relative a passaggi interni, nell’ambito di ciascuna di dette aree, da una posizione
economica funzionale all’altra, rientrano nella giurisdizione dell’A.G.Ordinaria.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DEL LAZIO
SEZIONE SECONDA TER
composto dai signori Magistrati:
Consigliere Roberto SCOGNAMIGLIO Presidente
Consigliere Antonio AMICUZZI Relatore
Consigliere Giancarlo LUTTAZI Correlatore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n. 1257 del 2003 proposto da SAMA’ Francesco, rappresentato e difeso dall’avv. Filippo Apicella, unitamente al quale è elettivamente domiciliato in Roma, alla Via Berengario, n. 14, presso lo studio dell’avv. Antonio Apicella ;
CONTRO
il MINISTERO per i BENI e le ATTIVITA’ CULTURALI , in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso dalla Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12, è domiciliato per legge ;
per l’annullamento
dei decreti emessi dal Segretario generale il 28.11.2002, di indizione delle procedure di selezione e riqualificazione per il personale del Ministero per i Beni e le Attività Culturali per il passaggio dalle posizioni economiche B1 e B2 alla posizione B3 e dalle posizioni economiche C1 e C2 alle posizioni C2 e C3, nei limiti dell’interesse del ricorrente;
del provvedimento implicito con il quale i titolari della posizione economica B3, come il ricorrente, sono stati esclusi dalle suddette procedure di selezione e riqualificazione;
della nota prot. n. 1381 del 15.1.2003 del Dirigente del Servizio II, di negativo riscontro alla diffida formulata dal ricorrente e da altri dipendenti in identica posizione economica;
del silenzio inadempimento della P.A. conseguito alla diffida del 7.1.2003, reiterata il 22.1.2003;
degli atti presupposti, conseguenti e collegati;
nonché per la declaratoria
dell’obbligo del Ministero di cui trattasi di indire procedure di selezione e riqualificazione anche per gli appartenenti alla posizione economica B3 con ordine di provvedere entro un dato termine;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero per i Beni e le Attività Culturali ;
Vista la memoria prodotta dalla parte ricorrente a sostegno delle proprie difese;
Vista la propria ordinanza 5 marzo 2003, n. 1107 ;
Visti gli atti tutti della causa;
Uditi, alla pubblica udienza del 9.2.2004 , con designazione del Consigliere Antonio Amicuzzi relatore della causa, i procuratori delle parti comparsi come da verbale d'udienza;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO
Con ricorso notificato il 3.2.2003 , depositato il 10.2.2003 , il sig. Francesco Samà, dipendente del Ministero per i Beni e le attività Culturali in servizio presso la soprintendenza per i beni Architettonici per il paesaggio della Calabria ed inquadrato nella posizione economica B3, afferma che, avendo esercitato mansioni superiori, era in attesa, ex art. 15 del C.C.N.L. per il personale dei Ministeri per il quadriennio 1998-2001, della indizione di corsi di selezione per il passaggio dall’area B all’area C, e dalla posizione economica B3 alla posizione economica C1.
Con l’atto introduttivo del giudizio il suddetto dipendente ha impugnato i decreti emessi dal Segretario generale il 28.11.2002, di indizione delle procedure di selezione e riqualificazione per il personale del Ministero per i Beni e le Attività Culturali per il passaggio dalle posizioni economiche B1 e B2 alla posizione B3 e dalle posizioni economiche C1 e C2 alle posizioni C2 e C3, nei limiti dell’interesse del ricorrente, nonché il provvedimento implicito con il quale i titolari della posizione economica B3, come il ricorrente, sono stati esclusi dalle suddette procedure di selezione e riqualificazione, la nota prot. n. 1381 del 15.1.2003 del Dirigente del Servizio II, di negativo riscontro alla diffida formulata dal ricorrente e da altri dipendenti in identica posizione economica, il silenzio inadempimento della P.A. conseguito alla diffida del 7.1.2003, reiterata il 22.1.2003; infine gli atti presupposti, conseguenti e collegati. Inoltre ha chiesto la declaratoria dell’obbligo del Ministero di cui trattasi ad indire le procedure di selezione e riqualificazione anche per gli appartenenti alla posizione economica B3 con ordine di provvedere entro un dato termine.
A sostegno del gravame sono stati dedotti i seguenti motivi:
1.- Violazione dell’art. 1 del D.P.R. 29.12.2000 n. 441 e dell’art. 4 D.Leg.vo 30.3.2001, n. 165 (con mero riferimento agli impugnati decreti ed alla nota n. 1381 del 15.1.2003).
La indizione delle selezioni e la nota prot. n. 1381 del 2003 avrebbero potuto essere di competenza del Segretario generale solo dopo l’emanazione, da parte del Ministro, dell’apposito decreto di cui all’art. 4, I c., lett. B), del D. Leg. vo n. 165 del 2001.
2.- Violazione degli artt. 3, 51, 54 e 97 della Costituzione. Violazione degli artt. 1, 2, 4, 5, 6, 7, 40 e 52 del D.Leg.vo n. 165 del 2001. Violazione degli artt. 15, 20, 26 e dell’allegato A al C.C.N.L. per il personale dei Ministeri per il quadriennio 1998-2001. Violazione dell’art. 15 del Contratto collettivo integrativo del 12.7.2001. Violazione degli artt. 2 e 5 dell’Accordo del 24.12.2002 in relazione all’art. 40, n. 4, del D. Leg.vo n. 156 del 2001. Violazione dell’art. 2 della L. n. 241 del 1990.
La esclusione del ricorrente dalle selezioni per corsi di riqualificazione ha creato squilibrio di capacità professionali e mortificato le sue capacità, con violazione dei principi costituzionali di eguaglianza attinenti al pubblico impiego, nonché delle norme del D.Leg.vo n. 165 del 2001 (con particolare riguardo alla utilizzazione delle risorse umane ed al perseguimento del pubblico interesse), oltre che delle ulteriori disposizioni in epigrafe indicate.
3.- Eccesso di potere per violazione del principio di ragionevolezza, per difetto di motivazione in ordine alla esclusione di parte ricorrente dalle prove bandite, per disparità di trattamento, per difetto dei presupposti di fatto e di diritto indispensabili per poter escludere il deducente dalle procedure di selezione, per travisamento dei fatti, per contraddittorietà e per sviamento dall’interesse pubblico. Ciò a nulla valendo la evidenziata carenza organica nella posizione economica iniziale C1 (stante la futura disponibilità di posti in relativi a tale posizione ed il tenore dell’art. 1, II c., dei decreti impugnati e degli artt. 2 e 5 dell’Accordo) e la indisponibilità di risorse finanziarie (che avrebbero dovuto essere equamente distribuite).
Con atto depositato il 22.2.2003 si è costituito in giudizio il Ministero per i Beni e le Attività Culturali .
Con ordinanza 5 marzo 2003, n. 1107 il Tribunale ha respinto la istanza di emanazione di misure cautelari, non trattandosi di fattispecie esaminabile dal Giudice Amministrativo .
Alla pubblica udienza del 9.2.2004 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1.- Con il ricorso in esame un dipendente del Ministero per i Beni e le attività Culturali in servizio presso la soprintendenza per i beni Architettonici per il paesaggio della Calabria inquadrato nella posizione economica B3 (premesso che, avendo esercitato mansioni superiori, era in attesa, ex art. 15 del C.C.N.L. per il personale dei Ministeri per il quadriennio 1998-2001, della indizione di corsi di selezione per il passaggio dall’area B all’area C, e dalla posizione economica B3 alla posizione economica C1), ha impugnato i decreti emessi dal Segretario generale il 28.11.2002, di indizione delle procedure di selezione e riqualificazione per il personale dl Ministero per i Beni e le Attività Culturali per il passaggio dalle posizioni economiche B1 e B2 alla posizione B3 e dalle posizioni economiche C1 e C2 alle posizioni C2 e C3, nei limiti dell’interesse del ricorrente, nonché il provvedimento implicito con il quale i titolari della posizione economica B3, come il ricorrente, sono stati esclusi dalle suddette procedure di selezione e riqualificazione, la nota prot. n. 1381 del 15.1.2003 del Dirigente del Servizio II, di negativo riscontro alla diffida formulata dal ricorrente e da altri dipendenti in identica posizione economica, il silenzio inadempimento della P.A. conseguito alla diffida del 7.1.2003, reiterata il 22.1.2003; infine gli atti presupposti, conseguenti e collegati. Inoltre ha chiesto la declaratoria dell’obbligo del Ministero di cui trattasi ad indire le procedure di selezione e riqualificazione anche per gli appartenenti alla posizione economica B3 con ordine di provvedere entro un dato termine.
2.- Innanzi tutto il Collegio deve verificare la sussistenza della giurisdizione del Giudice Amministrativo in materia de qua.
3.- Per chiarezza espositiva, giova, innanzi tutto, trascrivere il testo delle norme che, sul punto della giurisdizione, interessano la fattispecie sottoposta all'esame del Collegio.
Ai sensi dall'art. 68, primo comma, del D.Leg.vo n. 29 del 3 febbraio 1993 (come modificato dall'art. 29 del D.L.vo n. 80 del 31 marzo 1998 e dall'art. 18 del D.Leg.vo 29.10.1998 n. 387) "sono devolute al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2, ad eccezione di quelle relative ai rapporti di lavoro di cui al comma 4, incluse le controversie concernenti l'assunzione al lavoro, il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali e le responsabilità dirigenziali, nonché quelle concernenti le indennità di fine rapporto, comunque denominate e corrisposte, ancorché vengano in questione atti amministrativi presupposti. Quando questi ultimi siano rilevanti ai fini della decisione, il giudice li disapplica, se illegittimi. L'impugnazione davanti al giudice amministrativo dell'atto amministrativo rilevante nella controversia non è causa di sospensione del processo".
Il comma 4 della citata disposizione stabilisce che "restano devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie in materia di procedure concorsuali per l'assunzione dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, nonché in sede di giurisdizione esclusiva, le controversie relative ai rapporti di lavoro di cui all'art. 2, commi 4 e 5, ivi comprese quelle attinenti ai diritti patrimoniali connessi".
L'art. 45, comma 17, del richiamato D.Leg.vo n. 80/1998 così dispone: "Sono attribuite al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, le controversie di cui all'art. 68 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, come modificato dal presente decreto, relative a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro successivo al 30 giugno 1998. Le controversie relative a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro anteriore a tale data restano attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e debbono essere proposte, a pena di decadenza entro il 15 settembre 2000".
3.1.- E’ stato rilevato dal Tribunale, con sentenza (T.A.R. Lazio, Sez. IIII bis, 12 luglio 1999, n. 2125) pienamente condivisa dal Collegio, che sono state devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice ordinario tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro svolti alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni -incluse le controversie concernenti l'assunzione al lavoro, il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali e connesse responsabilità, nonché le indennità di fine rapporto, comunque denominate e corrisposte- successive al (insorte dopo il) 30 giugno 1998, ancorché vengano in questione atti amministrativi presupposti.
La nuova disciplina ha quindi escluso in modo espresso dalla cognizione del giudice ordinario:
a. - le controversie che riguardano le residuali categorie ancora a regime di diritto pubblico (art. 2, comma 4, del D.Leg.vo n. 29/93 come modificato), sulle quali persiste la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo;
b. - la materia dei concorsi per l'assunzione (accesso al) pubblico impiego, sia perché essa, oltre il caso singolo, investe una serie indefinita di posizioni individuali e sia perché la stessa involge la potestà pubblica di stabilire l'effettivo fabbisogno in relazione alle accertate esigenze del servizio;
c. - gli atti di organizzazione generale, a monte e sopra il contratto collettivo di lavoro e il contratto individuale di lavoro (per i quali sono stabilite specifiche procedure contenziose e deflattive), atteso che i citati provvedimenti impingono nel buon andamento della P.A. ed in considerazione che la nuova normativa nulla ha innovato (né poteva farlo) quanto alla giurisdizione generale di legittimità riservata al giudice amministrativo dall'art. 103 della Costituzione.
L'evoluzione legislativa in parola si è realizzata intorno alla distinzione tra aspetto organizzativo della pubblica Amministrazione e rapporto di lavoro con i suoi dipendenti, in coerenza alla novellata linea di demarcazione tra amministrazione e gestione della cosa pubblica.
I conseguenti mutamenti di giurisdizione possono trovare appropriata chiave di lettura in precedenti della Corte Costituzionale (sentenze 16 ottobre 1997 n. 309 e 25 luglio 1996 n. 313), laddove si afferma: "L'organizzazione, nel suo nucleo essenziale, resta necessariamente affidata alla massima sintesi politica espressa dalla legge nonché alla potestà amministrativa nell'ambito di regole che la stessa pubblica amministrazione previamente pone; mentre il rapporto di lavoro dei dipendenti viene attratto nell'orbita della disciplina civilistica per tutti quei profili che non sono connessi al momento esclusivamente pubblico dell'azione amministrativa.... Sul versante della posizione soggettiva del dipendente è, poi, agevole osservare come quest'ultimo rinviene nel contratto individuale di lavoro - che sostituisce ad ogni effetto l'atto di nomina - la fonte regolatrice del proprio rapporto: l'obbligo di conformarsi, negozialmente assunto, nasce proprio dal rinvio alla disciplina contenuto in tale contratto.... In altri termini, per effetto della privatizzazione dei rapporti, la prestazione e le condizioni contrattuali della stessa trovano la loro origine, non già in una formale investitura, bensì nell'avere il singolo dipendente accettato che il rapporto di lavoro si instauri (o prosegua) secondo regole definite, almeno in parte, nella sede della contrattazione collettiva".
É dunque il diverso assetto della fonte regolatrice che di per sé traccia una netta demarcazione di ambiti e di limiti invalicabili nel riparto della giurisdizione tra giudice ordinario e amministrativo: legge - provvedimento; contratto collettivo - contratto individuale; supremazia - atto autoritativo; pariteticità - atto negoziale.
3.2. - Alla luce di quanto sopra chiarito, è apparsa evidente al Tribunale la distinzione tra atti (attività) tendenti alla costituzione del rapporto ed atti emanati in costanza (svolgimento) del rapporto, corrispondente -secondo l'accezione tradizionale- a pretese (legittime aspettative) rivolte (sino) al conseguimento della prima o diversa nomina, secondo l'ordine della graduatoria, e pretese nascenti dalla nomina (contratto individuale sottoscritto) che, nel legittimare la posizione di diritto soggettivo all'inserimento nell'organizzazione pubblica ed agli aspetti relativi a decorrere da tale momento, radica la competenza del giudice ordinario a decidere le conseguenti controversie relative alla gestione del rapporto di lavoro secondo i poteri del privato datore di lavoro (art. 4, comma 2, D.Leg.vo n. 29 del 1993 modificato).
Il fattore genetico, che incardina la competenza del giudice ordinario, è per l'appunto il contratto individuale accettato e sottoscritto.
In conformità, è stato ritenuto rimanere per l'effetto escluso dall'ambito della giurisdizione ordinaria tutto ciò che non riguarda direttamente la disciplina del predetto singolo rapporto individuale di lavoro -quale regolato dai contratti collettivi e decentrati di lavoro secondo i criteri e le modalità previste (compresi, quindi, ad esempio, inquadramenti economico-normativi, scivolamenti e passaggi automatici, preposizione ad uffici ed attribuzione di mansioni, progressioni interne e professionali, trasferimenti, mobilità, soprannummerarietà, ecc., ancorché scaturenti da procedure selettive contrattuali implicanti graduatorie collegate al processo di gestione plurima di detti rapporti individuali di lavoro)- dovendosi ritenere riservata alla giurisdizione amministrativa la cognizione sui principi generali fissati da disposizioni di legge e sulla base dei medesimi, mediante atti organizzativi (veri e propri) secondo i rispettivi ordinamenti, le linee fondamentali di organizzazione degli uffici, i modi di conferimento della titolarità dei medesimi, le relative dotazioni organiche (art. 2, comma 1, D. Leg.vo n. 29/93 modificato) e quant'altro sia espressione di potestà autoritativa nell'esercizio di pubbliche funzioni ovvero nell'organizzazione generale del lavoro, non inerenti all'attività paritetica nella cura del singolo o plurimo rapporto stesso.
In sintesi, con detta sentenza n. 2115 del 1999 e numerose altre successive è stato ritenuto dal Tribunale che spetta conseguentemente alla giurisdizione amministrativa la materia dell'organizzazione (vicende, sfere di competenza, composizione, determinazione organica, durata e attività degli organi individuali e collegiali) e della formazione del rapporto di lavoro (l'accesso al pubblico impiego).
Esemplificativamente: l'impugnativa del bando di concorso e di altri atti ad esso attinenti, l'impugnativa di provvedimenti di ammissione e di esclusione, l'impugnativa dei risultati del concorso, e pertanto della graduatoria, l'impugnativa di provvedimenti che comunque incidono sul concorso o attinenti a qualsiasi forma di instaurazione di un rapporto di pubblico impiego, quali graduatorie nazionali e locali per incarichi o supplenze, provvedimenti che non approvano la graduatoria del concorso, rinnovazione totale o parziale delle operazioni concorsuali, rettifiche, modificazione ed istituzione di nuovi ruoli del personale, soppressione di posti, copertura di un posto vacante diverso da quelli messi a concorso, rifiuto della Pubblica Amministrazione a sottoscrivere il contratto individuale, pretese di fatto al riconoscimento (sussistenza e costituzione) del rapporto di pubblico impiego, ecc..
Tale delimitazione esterna, che è l'ovvio risultato del criterio di riparto della giurisdizione per materia, non è contraddetta dalla previsione del potere attribuito al giudice ordinario di disapplicare gli atti amministrativi illegittimi, se rilevanti ai fini della decisione.
Gli atti amministrativi presupposti, rilevanti ai fini della decisione - cui fa riferimento l'art. 68 richiamato - non possono essere gli atti a contenuto generale (organizzativi e concorsuali), coperti da riserva ed esterni al rapporto di lavoro, che, quand'anche impugnati in quanto recanti lesione diretta, immediata e personale ad un singolo oppure ad una pluralità di lavoratori, non sono causa di sospensione del processo dinanzi al Giudice del lavoro.
Tali atti, infatti, per non essere pertinenti alla gestione del rapporto individuale di lavoro, devono essere assunti al loro stare, senza possibilità alcuna di contaminazione in virtù della separazione funzionale delle competenze giurisdizionali attribuite:
a) per la diversità di fonte regolatrice (contratto collettivo e decentrato), mentre l'organizzazione della Pubblica Amministrazione è subordinata alla legge e soltanto ad essa;
b) per le separate procedure che presiedono in modo indipendente alla definizione e interpretazione autentica o giudiziaria, del provvedimento amministrativo e delle clausole di un contratto o accordo collettivo sottoscritto dall'ARAN (Agenzia per la rappresentanza nazionale delle pubbliche amministrazioni);
c) per le pregiudiziali modalità conciliative di raffreddamento delle controversie individuali di lavoro, laddove la potestà pubblica, essendo a causa vincolata, e non libera come in diritto comune, non è nella disponibilità delle parti e non può costituire oggetto di transazione negoziale;
d) per non essere l'atto dichiarato legittimo dal giudice amministrativo (ed analogamente se è pendente lite in tale sede su materia a competenza funzionale) disapplicabile da parte del giudice ordinario (Cass. Civ., I, 27 marzo 1997, n. 2721);
e) per assumere rilevanza l'istituto della disapplicazione unicamente se si controverte in materia di diritti, mentre l'organizzazione pubblica è espressione della potestà discrezionale della P.A., dal cui esercizio possono nascere (almeno di solito, salvo diretta previsione legislativa) soltanto aspettative legittime.
Anzi, le conclusioni sopra rassegnate circa la separazione per materia tra G.O. e G.A., è stato ritenuto che consentano ormai di ricondurre in termini di sola apparenza tutta la problematica insorta sui limiti di cui agli artt. 4 e 5 della legge abolitrice del contenzioso amministrativo (legge del 1865 n. 2248 - allegato E): né ha più ragione d'essere tutta la diatriba nata intorno al potere del giudice ordinario di condannare la pubblica amministrazione ad un facere specifico (nella specie in materia di pubblico impiego).
A ben vedere, la possibilità per il giudice ordinario di adottare, nei confronti delle pubbliche amministrazioni, tutti i provvedimenti di accertamento, costitutivi e di condanna, richiesti dalla natura dei diritti tutelati in materia di lavoro di impiego pubblico (comma 2, art. 68 richiamato), non discende tanto dalla espressa previsione normativa che ha chiaro contenuto esplicativo, quanto dalla nuova struttura del rapporto di impiego pubblico contrattualizzato.
Ne deriva che solo gli atti amministrativi presupposti nello "svolgimento" del rapporto individuale, in quanto su di questo incidenti, sono suscettibili di disapplicazione: ossia quegli atti che attengono al profilo interno del rapporto sinallagmatico datore di lavoro-lavoratore, quando il primo faccia uso del proprio potere potestativo. Si pensi, agli ordini di servizio ed, in particolare, agli atti organizzativi interni che i dirigenti responsabili della gestione possono adottare, ove ne sussistono i presupposti, per il raggiungimento degli obiettivi e per la migliore produttività ed efficienza delle risorse umane e finanziarie assegnate.
A tanto consegue, in base a principi consolidati, che la disapplicazione, nella singola controversia, di un tal atto amministrativo presupposto, non ha effetto in altre eventuali controversie, di identico oggetto (cui potrebbe perciò essere riservata una diversa soluzione), né implica la caducazione dell'atto amministrativo organizzativo (interno) disapplicato.
Ciò, però, è diverso dal regime impugnatorio proprio della giurisdizione amministrativa e dalle fonti di organizzazione degli Uffici che operano nelle materie che il citato art. 2, comma 1, riserva alla legge o ad atti normativi o amministrativi in base alla legge, nel rispetto della riserva relativa di cui all'art. 97 della Costituzione a tutela degli atti e assetti organizzativi generali (veri e propri), i cui effetti - in caso di annullamento giurisdizionale - sono di norma erga omnes.
La giurisdizione del giudice amministrativo non è negata in via di principio in ordine e limitatamente ai suddetti atti organizzativi interni, che, in quanto atti potestativi pubblici (provvedimenti), ben possono essere oggetto di impugnazione (con i limiti propri della giurisdizione di legittimità e in alternativa al meccanismo incidentale della disapplicazione). Tuttavia, laddove ciò si verifichi, la vicenda processuale innanzi al giudice amministrativo non influisce sul processo in corso innanzi al giudice ordinario, salvo gli effetti del giudicato: questa - come i relativi riflessi - è però questione diversa e qui non mette conto occuparsene.
3.2. - Solo così - non potendosi dubitare della intima razionalità del legislatore ed in ossequio al disposto passaggio da un sistema a giurisdizione esclusiva ad altro a competenza ripartita funzionalmente per materia - è stato osservato che può essere evitato il rischio di pronunce contrastanti da parte della giurisdizione amministrativa ed ordinaria, con ambiti certi e definiti che possano contribuire all'accelerazione ed alla semplificazione, non solo del processo, ma anche dell'azione amministrativa.
Occorre, infatti, dare uno sbocco contenutistico e funzionale all'operazione di privatizzazione e/o di contrattualizzazione del rapporto di impiego pubblico, che è incardinata sul principio delle responsabilità diffuse e sul raggiungimento dei risultati, altrimenti questi tentativi di riforma saranno semplicemente nominali, cioè gli effetti sperati saranno minimi.
L'armonizzazione delle regole che disciplinano il rapporto di lavoro pubblico a quello del settore privato, pur nei vincoli propri connessi alla natura pubblica del datore di lavoro, ha senso con riguardo agli strumenti di gestione del rapporto (produttività, merito individuale, valutazione, meccanismi premianti, ecc), non già al momento causale di esso che funzionalmente rimane pubblico e rispetto al quale sono ulteriori e conseguenziali gli aspetti di elasticità, adattabilità e flessibilità del rapporto individuale di lavoro in relazione alla dinamica dei processi gestionali e dei cambiamenti resi necessari da un contesto operativo ormai globalizzato e competitivo, che postula rapidità di decisione.
In altri termini, lo schema operativo del rapporto di pubblico impiego contrattualizzato, che è fondato su una logica di tipo professionale non diversa da quella esistente nel settore privato, ha sua ragione d'essere in considerazioni finalizzate a un miglioramento dell'efficienza e della qualità dei servizi nel quadro di una rinnovata capacità gestionale della Pubblica Amministrazione (art. 97 della Costituzione).
Tuttavia, ciò non esclude e supera che lavorare per conto di una P.A. è cosa diversa dal dipendere da un datore privato, per un motivo molto semplice: i cittadini hanno dei diritti che l'Amministrazione ha obbligo di rispettare e soddisfare.
Volendo rendere plasticamente il concetto: la cornice è delimitante e conformante la dipendenza con l'Amministrazione pubblica ed investe i tratti propri del giudice dell'atto; il mosaico, all'interno della cornice, è a composizione libera, nel rispetto degli accordi collettivi nazionali e integrativi, ed è espressione della funzione privatistica del datore di lavoro pubblico, pertinente al giudice del rapporto in quanto più aderente alle caratteristiche del sindacato di merito nella gestione del rapporto di lavoro individuale.
Né - inoltre - può essere assunta quale prospettiva per demarcare le due giurisdizioni, il discrimine "assunzione di nuovo personale - personale già in servizio": da questa angolatura, in contrapposizione al criterio di legge, si finisce per negare validità alla separazione per materia.
Si impone, pertanto, una definizione relativa ai contenuti della materia concorsuale nelle sue forme procedurali (secondo la comune vulgata) di pubbliche - riservate - interne.
Giova sottolineare, in materia, che l'art. 97, terzo comma, della Costituzione - a norma del quale agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso (senz'altra accezione), salvo i casi stabiliti dalla legge - riserva espressamente all'ordinaria potestà normativa la possibilità di provvedere all'assunzione di pubblici dipendenti in modo diverso dal concorso: il disposto in questione, però, si riferisce alla ammissione "diretta" ad impieghi pubblici, mentre il concorso pubblico, riservato, o interno, è sempre forma di reclutamento.
La Corte Costituzionale (sentenza 4 gennaio 1999 n. 1), chiamata più volte a pronunciarsi sulle norme costituzionali che individuano nel concorso il mezzo ordinario per accedere agli impieghi pubblici, ha ripetutamente sottolineato la relazione intercorrente tra l'art. 97 e gli art. 51 e 98 della Costituzione, osservando come in un ordinamento democratico il concorso pubblico, quale meccanismo di selezione tecnica e neutrale dei più capaci, resti il metodo migliore per la provvista di organi chiamati ad esercitare le proprie funzioni in condizioni d'imparzialità ed al servizio esclusivo della nazione.
Deroghe alla regola del concorso, da parte del legislatore, sono ammissibili soltanto nei limiti segnati dall'esigenza di garantire il buon andamento dell'amministrazione o di attuare altri principi di rilievo costituzionale, che possano assumere importanza per la peculiarità degli uffici di volta in volta considerati: ad esempio, quando si tratti di uffici destinati in modo diretto alla collaborazione con gli organi politici o al supporto dei medesimi.
A codesto regime non si è ritenuto sottratto nemmeno il passaggio ad una fascia funzionale superiore, nel quadro di un sistema, come quello oggi in vigore, che non prevede carriere, o le prevede entro ristretti limiti, nell'ambito dell'amministrazione: in tale passaggio è stata, infatti, ravvisata una forma di reclutamento che esige anch'essa un selettivo accertamento delle attitudini.
Orbene, secondo tali insegnamenti della citata Corte, "l'esigenza di razionalizzazione amministrativa lega in un rapporto di funzionalità la materia delle assunzioni e della progressione nelle qualifiche con la definizione delle piante organiche e la verifica di carichi di lavoro".
Ogni dubbio - circa il significato da attribuire al termine "assunzione" - è fugato dall'art. 36 del decreto legislativo 80/1998, il quale prevede che le assunzioni nella pubblica amministrazione avvengano mediante selezioni o concorsi pubblici che garantiscano un adeguato accesso dall'esterno, con ciò indicando - per converso - che esistono percorsi interni che non si configurano come assunzione.
Criterio interpretativo - quello innanzi esposto - che trova conferma nel successivo art. 56, laddove si afferma che il dipendente svolge le mansioni proprie della sua qualifica o di quella che ha ottenuto per "sviluppo professionale" (progressione verticale tra aree e all'interno delle aree stesse, senza scivolamento di fascia).
In altre parole, si tratta di due distinti meccanismi di "provvista del personale": uno pubblico - selettivo, a prescindere dalle forme in tutto o in parte esterne e interne per l'accesso alla "carriera" (nei modi di legge e rimesso alla competenza del giudice amministrativo); l'altro, legato alla progressione della "mansione" (come regolato dal C.C.N.L. e, per essere inerente allo sviluppo del rapporto individuale, di competenza del giudice ordinario).
Il principio fondamentale che, secondo il Tribunale, ne deriva è che ogni mutamento "di carriera" ovvero pretesa di inquadramento in fascia funzionale superiore -che non si risolva automaticamente in un mero passaggio verticale e in applicazione del contratto collettivo, bensì sulla base di procedure concorsuali aperte ad una pluralità di soggetti esterni od interni- è attratto nella cognizione amministrativa in quanto implicante un nuovo e diverso contratto individuale di lavoro conseguente al relativo ordine di graduatoria.
4.- Molto più recentemente le Sezioni unite della Corte di Cassazione, con sentenza n. 15403 del 15.10.2003, hanno sostanzialmente stabilito che il comma 4 dell'art. 63 D.Leg.vo n. 165 del 2001, nel riservare alla giurisdizione del giudice amministrativo "le controversie in materia di procedure concorsuali per l'assunzione dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni", fa riferimento non solo alle procedure concorsuali strumentali alla costituzione, per la prima volta, del rapporto di lavoro, ma anche alle prove selettive dirette a permettere l'accesso del personale già assunto ad una fascia o area funzionale superiore, posto che tale accesso deve avvenire per mezzo di una pubblica selezione, comunque denominata ma costituente, in definitiva, un pubblico concorso, al quale, di norma, deve essere consentita anche la partecipazione di candidati esterni, con la conseguenza che le controversie riguardanti la legittimità delle graduatorie relative a tali procedure selettive sono anch'esse devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo.
4.1.- In particolare detto Organo ha premesso che nell'interpretare l'art. 63 del D.Leg.vo n. 165 del 2001, da parte delle Sezioni Unite, era stato in precedenza affermato che la riserva in via residuale alla giurisdizione amministrativa delle controversie in materia di impiego pubblico cosiddetto privatizzato concerneva esclusivamente le procedure concorsuali strumentali alla costituzione del rapporto di lavoro e non riguardava i casi in cui il concorso sia diretto non già ad assumere, ma a promuovere il personale già assunto, dal momento che il legislatore aveva inteso attribuire al giudice ordinario la giurisdizione su tutte le controversie inerenti ad ogni fase del rapporto di lavoro, dalla sua instaurazione fino all'estinzione, compresa ogni fase intermedia relativa a qualsiasi vicenda modificativa, anche se finalizzata alla progressione in carriera e realizzata attraverso una selezione di tipo concorsuale (nell'ambito dello stesso rapporto, di natura privatistica, non sarebbe stato possibile configurare la procedura selettiva per ottenere un superiore inquadramento come un concorso esterno, trattandosi invece di un concorso interno per la progressione in carriera che si conclude con un atto amministrativo non negoziale).
4.- Le Sezioni unite della Cassazione, con la citata sentenza, hanno peraltro rilevato che l'art. 35, primo comma, del D.Leg.vo n. 165 del 2001 prescrive che l'ingresso nella pubblica amministrazione deve avvenire "tramite procedure selettive", che sono dirette ad accertare la professionalità richiesta e che garantiscono in misura adeguata l'accesso dall'esterno. Questa regola è stata ritenuta applicabile, in via generale, anche con riferimento all'attribuzione al dipendente di una qualifica superiore (in base alle disposizioni contenute nei contratti collettivi cui rinvia l'art. 40, primo comma, del medesimo decreto legislativo), atteso che, a norma del successivo art. 52, primo comma, la qualifica superiore viene acquisita dal lavoratore "per effetto dello sviluppo professionale o di procedure concorsuali o selettive".
Pertanto, considerato che mediante gli accordi collettivi stipulati nel comparto del pubblico impiego è stato previsto un sistema di inquadramento del personale articolato in aree o fasce, all'interno delle quali sono contemplati diversi profili professionali, è stato ritenuto che le procedure che consentono il passaggio da un'area inferiore a quella superiore integrino un vero e proprio concorso - tali essendo anche le procedure che vengono denominate "selettive" - qualunque sia l'oggetto delle prove che i candidati sono chiamati a sostenere.
D'altra parte, fermo restando che in materia di impiego pubblico il legislatore è dotato di un'ampia discrezionalità riguardo al potere diretto all'inquadramento del personale (tale discrezionalità essendo soltanto limitata dal principio di non arbitrarietà e di non manifesta irragionevolezza), hanno rilevato dette Sezioni Unite che la stessa Corte costituzionale, argomentando dalla norma contenuta nell'art. 97 della Costituzione -secondo cui ai pubblici uffici si accede "mediante concorso salvi i casi stabiliti dalla legge"- anche prima della cosiddetta privatizzazione aveva sostenuto che il concorso costituisce, di norma, la regola generale per l'accesso ad ogni tipo di pubblico impiego, anche a quello inerente ad una fascia funzionale superiore, essendo lo stesso "il mezzo maggiormente idoneo ed imparziale per garantire la scelta dei soggetti più capaci ed idonei ad assicurare il buon andamento della pubblica amministrazione”.
Indirizzo che ha trovato conferma nella successiva giurisprudenza costituzionale intervenuta dopo la privatizzazione del rapporto di impiego, essendo stato in particolare precisato che il passaggio ad una fascia funzionale superiore costituisce l'accesso ad un nuovo posto di lavoro e che la selezione, alla stregua di qualsiasi altro strumento di reclutamento, deve rimanere soggetta alla regola del pubblico concorso.
4.3.- Questi principi affermati dalla giurisprudenza costituzionale hanno, secondo le sezioni Unite della Cassazione, trovato puntuale applicazione, da parte della medesima giurisprudenza, quando la Corte è stata chiamata a pronunciarsi sulla legittimità di diverse disposizioni legislative che avevano riservato solamente ai dipendenti interni -alcune volte in modo pressoché automatico, in carenza di una vera e propria procedura selettiva- l'accesso ad un'area funzionale superiore.
Alla luce dell'intero quadro normativo, come deriva, soprattutto, dalle richiamate sentenze della Corte costituzionale che si sono succedute nel tempo, il precedente indirizzo giurisprudenziale è stato ritenuto passibile di una necessaria rimeditazione.
Dato come imprescindibile presupposto il principio secondo cui, nel rapporto di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, l'accesso del personale dipendente ad un'area o fascia funzionale superiore deve avvenire per mezzo di una pubblica selezione, comunque denominata ma costituente, in definitiva, un pubblico concorso - al quale, di norma, deve essere consentita anche la partecipazione di candidati esterni - hanno affermato le sezioni Unite che il quarto comma dell'art. 63 del D.Leg.vo n. 165 del 2001, quando riserva alla giurisdizione del giudice amministrativo "le controversie in materia di procedure concorsuali per l'assunzione dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni", fa riferimento non solo alle procedure concorsuali strumentali alla costituzione, per la prima volta, del rapporto di lavoro, ma anche alle prove selettive dirette a permettere l'accesso del personale già assunto ad una fascia o area superiore: il termine "assunzione", d'altra parte, deve essere correlato alla qualifica che il candidato tende a conseguire e non all'ingresso iniziale nella pianta organica del personale, dal momento che, oltre tutto, l'accesso nell'area superiore di personale interno od esterno implica, esso stesso, un ampliamento della pianta organica.
5.- In conclusione rileva il Collegio che il problema della attribuibilità della giurisdizione con riguardo a controversie inerenti le procedure concorsuali che insorgano a rapporto di lavoro già incardinato (se si qualificano tali procedure interne come atti privatistici di gestione del rapporto di lavoro la giurisdizione si radica in capo al G.O.; viceversa se in tal procedure si può comunque individuare una fase concorsuale diretta ad una assunzione in una qualifica superiore, si la giurisdizione appartiene al G.A.) è stato risolto dalle Sezioni Unite della Cassazione con la citata sentenza 15 ottobre 2003, n. 15403, cui poi ha fatto seguito la analoga sentenza 10 dicembre 2003 n. 18886, nel medesimo senso (fatto proprio dal Tribunale con la citata sentenza della Sezione III bis n. 2125 del 1999 e le altre successive di sostanziale medesimo contenuto) che solo le questioni attinenti al passaggio da una qualifica (area) all’altra appartengono alla giurisdizione del G.A..
Può quindi tranquillamente ritenersi che il quarto comma dell’articolo 63 del D. Leg.vo n. 165 del 2001, quando riserva alla giurisdizione del giudice amministrativo «le controversie in materia di procedure concorsuali per l’assunzione dei dipendenti delle Pubbliche amministrazioni», fa riferimento non solo alle procedure concorsuali strumentali alla costituzione, per la prima volta, del rapporto di lavoro, ma anche alle prove selettive dirette a permettere l’accesso del personale già assunto ad una fascia o area superiore, con la precisazione che le locuzioni fascia ed area sono da intendersi sostanzialmente come sinonimi.
La pretesa di inquadramento in fascia funzionale superiore è quindi attratta nella cognizione amministrativa, in quanto implicante un nuovo e diverso contratto individuale di lavoro conseguente al relativo ordine di graduatoria solo a patto che non si risolva automaticamente in un mero passaggio verticale e in applicazione del contratto collettivo, bensì sulla base di procedure concorsuali aperte ad una pluralità di soggetti esterni od interni.
6.- Per quanto, più in particolare, riguarda la fattispecie in esame deve tuttavia rilevare il Collegio che nel nuovo ordinamento professionale del pubblico impiego il sistema delle qualifiche è stato sostituito con quello delle aree (o categorie), nell’ambito delle quali sono previste differenti posizioni economiche, con possibilità di passaggi interni dall’una all’altra.
A tanto, in base alle considerazioni in precedenza svolte, non può che conseguire che, se non può esservi dubbio che le procedure selettive finalizzate al passaggio da un’area all’altra, mediante procedure concorsuali aperte ad una pluralità di soggetti esterni od interni, appartengano alla Giurisdizione del Giudice Amministrativo, i passaggi interni, nell’ambito di ciascuna di dette aree, da una posizione economica (funzionale) all’altra (se i contratti collettivi nazionali che li regolano non prevedono la possibilità della partecipazione di concorrenti esterni alle procedure selettive volte ad individuare il personale cui deve essere attribuita la posizione funzionale superiore) sono da ritenersi necessariamente attratti nell’ambito della giurisdizione del Giudice ordinario.
Ciò in quanto tali procedure interne vanno qualificate come atti privatistici di gestione del rapporto di lavoro -privi del carattere pubblicistico che connota i concorsi esterni di accesso -cioè come semplici strumenti diretti ad assicurare la normale progressione di soggetti già legati da un rapporto con l'amministrazione, non dissimili dalle omologhe procedure indette da un datore di lavoro privato.
La circostanza che l’art. 36 del D.Leg.vo n. 80 del 1998 prevede che le assunzioni nella pubblica amministrazione avvengano mediante selezioni o concorsi pubblici che garantiscano un adeguato accesso dall'esterno, non può, infatti, che indicare, per converso, che esistono percorsi interni che non si configurano come assunzione, legati alla progressione della "mansione" (come regolati dal CCNL), che, per essere inerenti allo sviluppo del rapporto individuale, non possono che essere di competenza del Giudice Ordinario.
7.- Nel caso che occupa il ricorrente premesso che, avendo esercitato mansioni superiori, era in attesa, ex art. 15 del CCNL per il personale dei Ministeri per il quadriennio 1998-2001, della indizione di corsi di selezione per il passaggio dall’area B all’area C, e dalla posizione economica B3 alla posizione economica C1), ha impugnato i decreti emessi dal Segretario generale il 28.11.2002, di indizione delle procedure di selezione e riqualificazione per il personale del Ministero per i Beni e le Attività Culturali per il passaggio dalle posizioni economiche B1 e B2 alla posizione B3 e dalle posizioni economiche C1 e C2 alle posizioni C2 e C3, nei limiti dell’interesse del ricorrente, nonché il provvedimento implicito con il quale i titolari della posizione economica B3, come il ricorrente, sono stati esclusi dalle suddette procedure di selezione e riqualificazione, la nota prot. n. 1381 del 15.1.2003 del Dirigente del Servizio II, di negativo riscontro alla diffida formulata dal ricorrente e da altri dipendenti in identica posizione economica, il silenzio inadempimento della P.A. conseguito alla diffida del 7.1.2003, reiterata il 22.1.2003; infine gli atti presupposti, conseguenti e collegati. Inoltre ha chiesto la declaratoria dell’obbligo del Ministero di cui trattasi ad indire le procedure di selezione e riqualificazione anche per gli appartenenti alla posizione economica B3 con ordine di provvedere entro un dato termine.
Orbene, va premesso sia che può prescindersi dalle censure rivolte avverso l’atto del 15.1.2003, sostanzialmente interlocutorio, e nei confronti di comportamenti privi di valenza giuridica, sia che deve ritenersi che il silenzio rifiuto in questa sede impugnato si è irritualmente formato (per non recare la relativa diffida indicazione del termine entro cui l’Amministrazione avrebbe dovuto provvedere), nonché che è inammissibile la richiesta di declaratoria dell’obbligo dell’Amministrazione di indire procedure di selezione (non configurando la pretesa un diritto soggettivo ma un interesse legittimo azionabile solo con l’impugnazione di un atto che ne disponga o con la procedura -rituale- del silenzio rifiuto).
Deve conseguentemente rilevare il Collegio che, per il resto, il ricorso è sostanzialmente diretto ad ottenere l’annullamento dei citati decreti del Segretario generale, di indizione, in base all’Accordo collettivo integrativo del Ministero per i Beni e le Attività Culturali del 24.10.2002, delle procedure di selezione e riqualificazione per il personale del Ministero di cui trattasi per il passaggio dalle posizioni economiche B1 e B2 alla posizione B3 e dalle posizioni economiche C1 e C2 alle posizioni C2 e C3.
Detto Accordo collettivo integrativo del Ministero per i Beni e le Attività Culturali del 24.10.2002 ha, sul punto, confermato il C.C.N.L.C.M. 1998-2001, che, all’art. 15, lettera B), ha previsto che i passaggi all’interno della stessa area da una posizione all’altra avvengono mediante percorsi di qualificazione ed aggiornamento professionale con esame finale, al termine dei quali viene definita una graduatoria, con possibilità di bandire concorsi pubblici o avviare gli iscritti nelle liste di collocamento solo se la selezione abbia avuto esito negativo o manchino del tutto all’interno le possibilità da selezionare.
Non vi è quindi alcun dubbio che la sostanziale pretesa fatta valere in giudizio attenga alla contestazione della mera previsione del passaggio, mediante procedura selettiva di fatto riservata ai soli dipendenti interni, da una posizione funzionale all’altra nell’ambito della medesima area (mentre parte ricorrente aspirerebbe alla previsione del passaggio anche dalla posizione funzionale B3 alla posizione funzionale C1 in diversa area) che, poiché i contratti collettivi nazionali che li regolano non prevedono la possibilità della partecipazione di concorrenti esterni a dette procedure selettive, sono da ritenersi necessariamente attratti nell’ambito della giurisdizione del Giudice ordinario.
A tanto consegue, per quanto in precedenza osservato, la insussistenza della giurisdizione in materia del Giudice Amministrativo.
8.- Il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile, in particolare per insussistenza della giurisdizione del Giudice Amministrativo nella materia per cui è causa.
9.- Le spese del giudizio possono essere compensate tra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio - Sezione seconda ter – dichiara inammissibile il ricorso in epigrafe indicato.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dalla pubblica amministrazione.
Così deciso in Roma, dal Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio - Sezione II ter -, nella camera di consiglio del 9.2.2004 , con l’intervento dei signori Magistrati elencati in epigrafe.
Consigliere Roberto SCOGNAMIGLIO Presidente
Consigliere Antonio AMICUZZI Estensore
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