25 e 26 ottobre 2002 - Rimini - Stage di formazione e aggiornamento per gli ufficiali giudiziari.


 Relazione   del dott. Carmine Tarquini  ATTIVITA’ STRAGIUDIZIALI E REGIME DEI COMPENSI ALLA LUCE DELLA DISCIPLINA CONTRATTUALE E DELLA NORMATIVA VIGENTE


Il nuovo statuto del pubblico impiego

Gli anni 90 si sono certamente imposti per la concretizzazione di un nuovo rapporto Stato-cittadino costruito su una diversa posizione del dipendente pubblico, caratterizzato dal suo crescente ed effettivo coinvolgimento nel perseguimento dei risultati dell’amministrazione, in un rapporto sempre più diretto meno anonimo, o collegiale, con il cittadino.

Questo ha innovato in profondità il rapporto di pubblico impiego, con una evidente, accresciuta, responsabilità del singolo dipendente pubblico e ha imposto una ridefinizione del suo status giuridico.

Così come la riforma dell’apparato produttivo impose negli anni ’70, con lo “statuto dei lavoratori”, una rideterminazione delle condizioni giuridiche del lavoro privato, così la riforma dell’apparato amministrativo, perseguita nei suoi principi più innovativi fin dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, di riforma del procedimento amministrativo e di istituzione di un vero e proprio codice del cittadino, ha imposto una ridefinizione della condizione giuridica del lavoro pubblico.

Il testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato (D.P.R. 10 gennaio 1957, n.3) era ancora ispirato da una peculiare concezione giuridica dei rapporti di lavoro con le amministrazioni, che attribuiva un rilievo preminente al perseguimento dell’interesse pubblico.

In tale contesto, il principio di legalità,  espresso dall’art. 97 della Costituzione, conduceva a favorire una forte riserva di legge in materia.

 Ne conseguiva un ruolo marginale delle fonti regolamentari  e l’assoluta mancanza di spazio per una disciplina affidata alla contrattazione collettiva.

Nel sistema successivo, determinato dalla legge quadro sul pubblico impiego, legge 29 marzo 1983, n.93, pur se la disciplina del rapporto di lavoro veniva demandata  esclusivamente alla legge ed agli atti regolamentari, si registrava una prima apertura alla contrattazione con la previsione di una “ipotesi di accordo collettivo” tra l’amministrazione e le organizzazioni sindacali.

Pur se ancora confinata nell’ambito del procedimento di formazione del regolamento e senza una autonoma efficacia giuridica, emergeva una nuova funzione della contrattazione collettiva.

Con l’accordo 26 marzo 1987, recepito nel D.P.R. 8 maggio 1987 n. 266 e soprattutto con l’accordo 26 settembre 1989, recepito nel D.P.R. 17 gennaio 1990, n. 44 la contrattazione veniva estesa all’ufficiale giudiziario, anche se, nulla cambiava nel sistema delle fonti.

Il rapporto di lavoro e l’organizzazione degli uffici continuavano, infatti, ad essere assicurati dalle norme ordinamentali, D.P.R. 15 dicembre 1959 n. 1229.

 

2.              L’assimilazione tra lavoro pubblico e lavoro privato

Il decreto legislativo n.29/93, emanato in attuazione della legge delega n.421/92, ha segnato una importante innovazione nel sistema delle fonti del rapporto di pubblico impiego.

La nuova normativa, infatti, superando la logica ancora sottesa alla legge quadro sul pubblico impiego, che relegava l’accordo a mera tappa di formazione dell’atto amministrativo, ha accreditato il contratto di diritto comune come fonte immediata di disciplina del rapporto di lavoro, e ciò mutuando principi e metodi dell’impiego privato.

L’art. 2, comma 1, lettera a) della legge delega del 1992, ha stabilito una complessa disciplina transitoria volta ad assicurare la graduale sostituzione del regime in vigore nel settore pubblico.

L’art. 72 del decreto legislativo 29/93, a integrazione della normativa transitoria ha stabilito, con una norma di delegificazione , che “(…) gli accordi sindacali recepiti in decreti del Presidente della Repubblica in base alla legge 29 marzo 1983, n. 93, e le norme generali e speciali dl pubblico impiego, vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto e non abrogate, costituiscono, limitatamente agli istituti del rapporto di lavoro, la disciplina di cui all’art.2, comma 2. Tali disposizioni sono inapplicabili a seguito della stipula dei contratti collettivi disciplinati dal presente decreto in relazione ai soggetti e alle materie dagli stessi contemplate. Le disposizioni vigenti cessano in ogni caso di produrre effetti dal momento della sottoscrizione, per ciascun ambito di riferimento, del secondo contratto collettivo previsto dal presente decreto”.

Ne è risultato un assetto contrassegnato dalla progressiva abrogazione della normativa speciale del pubblico impiego ma il sistema delle fonti, soprattutto per quel che riguarda la integrazione delle regole giuridiche dettate per l’ufficiale giudiziario con quelle  della riforma, anziché semplificarsi, si è  gravemente complicato per la concreta difficoltà di sostituire, con effetti positivi, i nuovi principi al vecchio regime ordinamentale.

 

 

3.                 Il contratto

In via generale, come ricordato, il decreto legislativo 29/93 ha conferito al contratto collettivo il potere di modificare o abrogare la normativa preesistente, prevedendo la progressiva sostituzione della normativa pubblicistica con quella pattizia attraverso una precisa scansione temporale articolata in tre fasi: 1) entrata in vigore del decreto legislativo 29/93; 2) stipulazione del primo contratto collettivo nazionale; 3) sottoscrizione del secondo contratto collettivo nazionale.

Questo processo di integrazione ha incontrato per il personale UNEP, come testimonia l’art. 1, punto 2) del C.C.N.L. 1998/2001, difficoltà attuative tanto rilevanti da costringere le parti contrattuali a ribadire espressamente l’applicazione del contratto, rinviando a specifiche “…norme di raccordo l’adeguamento della disciplina di particolari istituti”.

L’esigenza di dare certezza alle regole da applicare, la difficile definizione dello “status” dell’ufficiale giudiziario e la concreta difficoltà di recuperare alla disciplina pattizia gli aspetti tipici dell’attività libero-professionale presenti nel vigente ordinamento (D.P.R. 1229/59) avevano, infatti, reso impossibile un apprezzabile intervento riformatore.

 

4.     La privatizzazione del rapporto di lavoro dell'ufficiale giudiziario

Non si può negare che la privatizzazione del rapporto di lavoro - con la quale si è voluto sottoporre il lavoro pubblico alle stesse regole del lavoro privato - si sia ridotto, nell'esperienza lavorativa dell'ufficiale giudiziario, a mero sofisma, privo di apprezzabile contenuto, sia sotto il profilo pratico-operativo che teorico-interpretativo.

Il generale progetto di riforma non ha, infatti, rappresentato una soluzione per l'ufficiale giudiziario, che rimane in concreto nello stato di ibridismo ordinamentale da cui proviene, ancora incapace di apprezzare una definizione univoca del suo "status" e della natura del suo rapporto di lavoro.

Permangono infatti, inalterati e presenti, come ritenuto unanimemente in dottrina, sia i tratti caratteristici del pubblico impiego che gli aspetti comuni all'esercizio di una attività privata, di una libera professione.

A titolo anche solo esemplificativo si ricordi che l'ufficiale giudiziario ha la diretta gestione, anche economica, dell'ufficio; mantiene una retribuzione proventistica, con conseguente onere di amministrazione di somme ingenti e di tenuta di una complessa contabilità; ha l'obbligo di compilare e sottoscrivere, sotto la propria responsabilità personale, ove chiamato a dirigere l'ufficio, entro i termini previsti dalla legge tributaria, i modelli CUD concernenti il personale dell'ufficio e di compiere le trattenute fiscali, anche ai fini irpef, quale sostituto d'imposta.

L'ufficiale giudiziario si serve, ove ritiene e sotto la propria responsabilità, di proprio personale dipendente per la presentazione dei titoli cambiari (art. 2 legge 12 giugno 1973 n.349) e a questo, paga stipendi e contributi previdenziali.

Per quel che qui occupa non sembra potersi affermare una effettiva delegificazione della normativa preesistente, attualizzata, per quanto possibile, solo in taluni significativi aspetti, con la sottoscrizione di specifiche norme contrattuali di raccordo (art. 1 CCNL 98/2001)  espressamente previste per l'adeguamento della disciplina del personale UNEP.

Al di là delle teoriche prospettazioni  persiste inalterata, se non aggravata, una intrinseca indeterminatezza della norma applicabile, con un effettivo rischio di destrutturazione degli uffici nep, a scapito della professionalità e delle attribuzioni proprie dell'ufficiale giudiziario.

Significative in tal senso sono sia la mancata indicazione, nel contratto di comparto, delle norme ordinamentali ritenute incompatibili e quindi disapplicate che, nel contratto integrativo, la impropria collocazione dell’ufficiale giudiziario nel settore della professionalità amministrativo-giudiziaria.

L’aver voluto ricomprendere, infatti, l’ufficiale giudiziario fra le figure tipiche del personale di cancelleria, oltre a forzare una omologazione storicamente e ontologicamente improponibile ha di fatto compromesso, come la diffusa attualità dimostra, sia l’organizzazione degli uffici che la qualità del servizio prestato. E ciò perché si è voluta trascurare, in un processo di improbabile armonizzazione, la particolare, irriducibile, caratterizzazione del ruolo e delle attribuzioni che la legge espressamente conferisce all’ufficiale giudiziario il quale, godendo di un’adeguata autonomia nell’esercizio delle sue funzioni, rimane assoggettato al solo potere di sorveglianza del capo dell’ufficio.

Giova ricordare, come accennato, che in questo incoercibile contesto il contratto di comparto non ha individuato le disposizioni ordinamentali da disapplicare, come, invece, stabilito dall’art. 71 D.lgs. 165/2001, ma all’art 9 del C.C.N.L., 24 aprile 2002, relativo alle norme di raccordo per gli ufficiali giudiziari di cui all’art. 1, comma 2 del C.C.N.L. del personale comparto ministeri del 16 febbraio 1999, coerentemente a quanto fin qui evidenziato, ha dovuto prevedere che per quanto non previsto dal presente CCNL, il rapporto di lavoro del personale di cui all’art.1, rimane regolato dalle pertinenti norme speciali contenute nel D.P.R. 1229/59 e dalle disposizioni dei Contratti Collettivi Nazionali per il personale dei Ministeri, la cui disciplina sia compatibile con il citato decreto e con la normativa di settore”.

Questa disposizione, fungendo da espressa clausola di rinvio, garantisce la sopravvivenza della speciale normativa ordinamentale in concorrenza con la disciplina contrattuale propria di tutti i dipendenti ministeriali, che pure si applica, e trova fondamento nella irreperibilità delle attribuzioni ricordate nella normativa generale del pubblico impiego.

Detto rinvio, confermato dalle disposizioni dettate dall'art. 8 CCNL, sottoscritto il 24 aprile 2002, in materia di corresponsione dei compensi per prestazioni rese in adempimento di quelle attività previste dall'ordinamento e da specifiche disposizioni di legge, contemperando il generale principio di esclusività della prestazione di lavoro, si spinge a concretizzare per l'ufficiale giudiziario una vera e propria concorrenza di status in quanto, come ricordato, gli è consentito lo svolgimento di attività libero-professionali e la liquidazione dei relativi compensi.

Restano infatti assoggettati al finanziamento della retribuzione contrattualmente determinata a norma dell'art. 3 del CCNL cit. i proventi costituiti dai  diritti che gli ufficiali giudiziari sono autorizzati ad esigere sugli atti, mentre rimangono imputate a compenso, a norma dell'art. 8 dello stesso CCNL 24 aprile 2002, le altre attività previste dall'ordinamento o da specifiche disposizioni di legge.

Giova qui ricordare che la Corte di Cassazione con la Sent. 14 ottobre 1975 n. 3111, ha distinto i proventi dai compensi stabilendo che i proventi non possono essere considerati come compensi per prestazioni professionali rese, ma come tasse pagate allo Stato dal privato per usufruire di un pubblico servizio.

 

5.     Le attività dell'ufficiale giudiziario

Prima di affrontare il tema del rapporto tra norme ordinamentali e contratto collettivo, appare opportuno soffermarsi brevemente, perciò, sulle attribuzioni dell'ufficiale giudiziario e sulla  limitata possibilità del contratto di incidere su di esse, anche a mente della espressa riserva alla fonte legale  prevista dagli artt. 106 e 26 del D.P.R. 1229/59.

A questa espressa resistenza  ordinamentale vanno coordinate le generali preclusioni dettate dalla legge delega 421/92 e fatte proprie dal decreto legislativo 29/93 che, già con l'art. 45, individuava l'ambito di competenza dei contratti nella regolamentazione degli istituti attinenti al rapporto di lavoro, riservando alla legge l'organizzazione degli uffici.

In realtà la evoluzione della norma, da ultimo modificata con l'art. 40 decreto legislativo 165/2001, ha reso sempre meno agevole stabilire in concreto quali materie rientrino nella categoria dell'organizzazione e quali nell'ambito del rapporto di lavoro, fermo restando il disposto costituzionale dell'art. 97 Cost. per cui, i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge.

Le interferenze e sovrapposizioni tra le due sfere sono molteplici ed evidenti con la pratica conseguenza, non sempre positiva, che disposizioni di diritto pubblico e di diritto privato convivono nel disciplinare un medesimo istituto.

A norma dell'art. 106 del D.P.R. 1229/59 (Ordinamento  degli Ufficiali Giudiziari) l'ufficiale giudiziario provvede all'espletamento di tutti gli atti demandatigli "per legge o regolamento".

L'art 26 specifica, inoltre, che l'ufficiale giudiziario "è esente da qualsiasi servizio pubblico estraneo alle sue funzioni… "

Questa norma apparentemente desueta, spiega in realtà i suoi significativi effetti in relazione all'art.106 ricordato, stabilendo che agli ufficiali giudiziari possono essere richiesti solo gli atti o le attività espressamente demandategli dal legislatore.

E', anche, alla luce di questa positiva statuizione, che il Contratto Integrativo del 5 aprile 2000, tracciando le nuove figure professionali del Ministero della Giustizia, ha individuato negli ufficiali giudiziari B3 quei “lavoratori che, secondo le direttive ricevute, esplicano compiti di collaborazione qualificata nell’ambito dell’attività degli uffici notificazioni esecuzioni e protesti, eseguendo tutti gli atti attribuiti alla competenza dell’ufficiale giudiziario, in quanto non riservati alle professionalità superiori”, e negli ufficiali giudiziari C1lavoratori che compiono tutti gli atti demandati dalle norme all’ufficiale giudiziario…”

Di qui la delineazione di un nuovo ordinamento professionale del personale ispirato ad una più articolata flessibilità dell’impiego delle risorse umane, con la unificazione delle funzioni di base, e per quel che ci riguarda, con il superamento della distinzione “…delle funzioni di notificazione e di esecuzione degli atti, che hanno finora differenziato i diversi profili professionali degli Assistenti e dei Collaboratori UNEP, che la stessa norma contrattuale ha inteso abrogare”,  come espressamente si legge nella Circolare del Ministero della Giustizia, a firma del Capo Dipartimento, in data 27 settembre 2002.

Il limitato intervento alle funzioni di notificazione e di esecuzione degli atti, risponde al corretto principio di competenza dell’amministrazione, nell’ambito dei servizi assicurati dagli uffici nep, cui rimane certamente precluso il potere di provvedere, in sede interpretativa dei contratti, su materie estranee all’esplicarsi di attribuzioni, comunque, extracontrattuali, ma non risolve il problema di una diversificazione anacronistica del ruolo dell’ufficiale giudiziario.

Una così esplicita riserva esclude, infatti, per l’ufficiale giudiziario B3, il compimento di atti diversi da quelli contrattualmente attribuiti alla competenza dell’ufficiale giudiziario.

Rimane affermato nel contratto integrativo, e ribadito nella stessa Circolare menzionata, la maggiore professionalità   dell’ufficiale giudiziario dell’area C, che si concretizza: a) nel contratto per lo svolgimento di complesse funzioni amministrative, contabili, di direzione e di dirigenza di uffici; b) nell’ordinamento per le particolari, qualificate, attribuzioni conferitegli quale pubblico ufficiale, nel compimento di atti e attività demandatigli per legge.

Nell’ambito delle diverse attività dell’ufficiale giudiziario occorre pertanto distinguere le funzioni connesse al ruolo processuale di esso, contrattualmente regolate, dalle attribuzioni extraprocessuali, demandategli da specifiche norme di legge, che esulano dal contratto e dalla regolamentazione che ne deriva.

L'art. 59 c.p.c. individua le "attività dell'ufficiale giudiziario" nelle seguenti funzioni: "assiste il giudice in udienza (art.116 att.), - questa funzione è ora riservata dal Contratto Integrativo agli operatori giudiziari -; provvede alla esecuzione dei suoi ordini; esegue la notificazione degli atti e, attende alle altre incombenze che la legge gli attribuisce".

Appare pacifico potersi affermare, anche alla stregua di questa norma, che l'ufficiale giudiziario è un organo con potestà giurisdizionale che svolge funzioni ausiliarie del giudice ove connesse all'esercizio della giurisdizione, ma anche proprie autonome attribuzioni caratterizzate da modalità operative autonome e indipendenti da autorizzazioni o da controlli del giudice, che gli derivano da  specifiche disposizioni normative  che debbono ritenersi, per lo più, estranee al rapporto impiegatizio contrattualmente regolato.

A titolo esemplificativo, possono essere ricomprese

(a)         fra le attività giudiziali di diretto supporto alla giurisdizione:

La notificazione degli atti (artt. 137 e ss. c.p.c.;artt.47-51 dispos. di attuaz.); il compimento di atti esecutivi, quali il pignoramento mobiliare (art. 513 e 543 c.p.c.) e immobiliare (art.555 c.p.c.), la vendita mobiliare (art. 534 c.p.c.); l'attuazione dei provvedimenti cautelari; la consegna di cose mobili (art.606 c.p.c.)e il rilascio degli immobili (art. 608 c.p.c.); l'esecuzione degli obblighi di fare e di non fare (art. 612 c.p.c.)

Nello svolgimento di queste attività è riconosciuto all'ufficiale giudiziario il potere di ingiungere al debitore di astenersi da qualunque atto diretto a sottrarre alla garanzia del credito esattamente indicato i beni che si assoggettano all'espropriazione e i frutti di essi (art. 492 c.p.c.); di disporre l'apertura di porte, armadi, ripostigli, cassette di sicurezza, anche in assenza del debitore esecutato; di allontanare le persone che disturbano l'esecuzione del pignoramento, di richiedere l'assistenza della forza pubblica; di nominare direttamente, senza autorizzazione del giudice, un consulente tecnico; di perquisire il debitore, al fine di ricercare beni da pignorare; di ricevere il pagamento del credito per cui si procede ad esecuzione forzata.

Il testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, conformemente, al TITOLO II, provvede alla puntuale individuazione delle spettanze dovute all’ufficiale giudiziario quando ad esso si ricorre  per notifiche ed esecuzioni nel procedimento giurisdizionale.

(b)              fra le attribuzioni di natura stragiudiziale:

L'elevazione dei protesti (art.1 legge 12 giugno 1973, n. 349) le offerte reali e per intimazione (artt. 1209, 1212, 1216 c.c.; il deposito di somme e cose offerte; atto di constatazione ex art. 2674 c.c.; vendita come commissionario (artt. 532 e 533 c.p.c.).

Nonché tutte le attività della c.d. esecuzione privata: esecuzione del pegno (art.2797 cc.), esecuzione per ritenzione, esecuzioni coattiva per inadempimento del compratore (art. 1515 c.c.), acquisto in danno per inadempimento del venditore (art. 1516 c.c.); vendita di quote sociali (art. 2797 cc.).

Inoltra,a norma dell’art. 27 del D.P.R. 1229/59, può essere prescelto come consulente tecnico,  perito o arbitro, previa autorizzazione del capo dell’Ufficio.

Nei casi di esecuzione privata o per autorità del creditore, ricordati, il nostro ordinamento, benché in via generale riservi allo Stato la tutela coattiva dei  diritti, predispone un meccanismo satisfattivo nella forma dell’autotutela, alternativo all’esecuzione forzata disciplinata dal codice di rito.

E’ sufficiente infatti la semplice iniziativa privata del titolare del diritto a consentirne il soddisfacimento, anche se non portato da alcun titolo esecutivo. La esecuzione in tal modo prevista non ha carattere repressivo, ma preventivo, né ha carattere giurisdizionale, essendo il controllo del giudice eventuale e successivo, attuabile nelle forme della ordinaria cognizione.

Dette attività, estranee al procedimento giurisdizionale, non sono, e non potevano essere ricomprese, come la semplice lettura del testo unico dimostra, nelle liquidazioni delle spettanze previste dalle disposizioni sulle spese di giustizia.

Quel che qui più interessa, nell’economia del tema affrontato, non è pertanto la dinamica procedurale di attuazione, a tutti nota, quanto la previsione per queste attività della liquidazione di compensi, per legge dovuti a norma dell’art. 83 delle disposizioni di attuazione al codice civile, per cui “ il compenso dovuto, se non esiste una tariffa approvata, è stabilito con decreto del giudice del luogo in cui l'incarico è stato eseguito” .

Pur senza inoltrarmi in una disamina approfondita di altre circostanze favorevoli all'interpretazione fin qui seguita, appare necessario ricordare che l'ufficiale giudiziario, a norma degli artt. 10 e 67 D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131, ha l'obbligo di iscrivere a Repertorio gli atti soggetti a registrazione in termine fisso (Mod. I) e che è obbligato a emettere fattura con l'addebito della relativa imposta sul valore aggiunto quando, ad esempio, i beni oggetto di vendita sono provenienti da impresa. (Circolare Ministero delle Finanze, Direzione Generale delle Tasse, del 17 gennaio 1974).

 

6.     La delegificazione del pubblico impiego e il rapporto tra norme ordinamentali e contratto collettivo.

Il nuovo sistema di classificazione del personale, nel superare i precedenti profili professionalil, ha definito nell'ambito della disciplina del rapporto di lavoro le mansioni esigibili dall'amministrazione.

Tale regolamentazione non è però in grado, né si propone, di definire anche le prestazioni non direttamente connesse alle attività giurisdizionali che continuano a trovare specifica disciplina nelle relative disposizioni legislative, attributive di esse.

Il processo di delegificazione - attuato dalle disposizioni contrattuali - non può estendere la sua portata a quelle disposizioni di legge che stabiliscono attribuzioni estranee al rapporto regolato e a cui, gli ufficiali giudiziari sono chiamati ad  adempiere, con predisposizione di mezzi, e sotto responsabilità personale.

Ne consegue che laddove specifiche attribuzioni derivino direttamente da norme di legge non può, su un piano di corretta applicazione di esse, ritenersi che l'ufficiale giudiziario sia identificabile, o solo esclusivamente identificabile, nell'attuale figura professionale determinata dal contratto, dovendo se mai ritenersi che la volontà del legislatore fosse quella di attribuire tali attività a un soggetto particolarmente qualificato, che le svolge mediante rapporto libero-professionale a latere rispetto a quello di pubblico impiego.

Queste affermazioni trovano oggettivo riscontro nell'art. 8 del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro relativo alle norme di raccordo di cui all'art 1, comma 2 del CCNL 1998/2001, ove si prevede che "gli ufficiali giudiziari, nel rispetto dell'art. 53 del d.lgs 165/2001, continuano a svolgere le attività previste dal D.P.R. 1229/59 e da specifiche disposizioni di legge e che sono confermate… le modalità di corresponsione dei compensi derivanti da tali attività…”, non potendo, evidentemente, ricomprendersi esse nel regime della omnicomprensività retributiva che invece opera in tutte le ipotesi in cui l’attività sia riconducibile allo svolgimento delle mansioni contrattualmente regolate a norma dell'art. 2071 c.c..

 

7.     La struttura retributiva dell'ufficiale giudiziario nel contratto

La retribuzione rappresenta un tema centrale della disciplina dei rapporti dei pubblici dipendenti sia per quanto concerne il controllo della spesa, e quindi il livello del trattamento economico, sia in ordine alla struttura, e quindi alle componenti, della retribuzione.

Nel perseguire l'obiettivo dell'introduzione di una nuova struttura retributiva, in attuazione della delega di cui all'art. 2, 1 comma, lett. o), della legge 23 ottobre 1992 n. 421, l'art. 45 d.lgs 165/2001, (gia art. 49 d.lgs 29/93), ha riservato alla contrattazione collettiva la determinazione del trattamento economico fondamentale ed accessorio del personale dipendente.

In particolare l'art. 45, comma 2, stabilisce che "le amministrazioni pubbliche garantiscono ai propri dipendenti parità di trattamento contrattuale e comunque trattamenti non inferiori a quelli previsti dai rispettivi contratti collettivi".

Ne consegue che anche per l'ufficiale giudiziario la struttura retributiva, nel rapporto di impiego, è inderogabilmente determinata per contratto e gli emolumenti dovuti a titolo di stipendio base o indennità vanno corrisposti nelle stesse modalità, quantità e forme stabilite per gli altri dipendenti dell’amministrazione della giustizia.

L'art. 2 del CCNL 24 aprile 2002, - c.d. norme di raccordo - conferma, perciò, aggiornandole alla disciplina contrattuale di comparto, le voci retributive già in godimento in forza del D.P.R. 1229/59 e prevede, ai punti f) e g), rispettivamente il 50% dell’indennità di trasferta e la percentuale sui crediti recuperati dall’erario.

Gli artt. 20 e 246 del T.U. sulle spese di giustizia, richiamando come fonte primaria del diritto alla percezione degli emolumenti in questione il D.P.R. 1229/59, hanno provveduto a delegificare, come si legge nella relazione illustrativa al testo approvata dal Consiglio dei Ministri il 24 maggio 2002, le rispettive procedure di liquidazione.

L’art. 20, nel disciplinare l’indennità di trasferta, ha riformulato il dettato precedentemente contenuto negli artt. 142 e 133 dell’Ordinamento degli ufficiali giudiziari, adeguandolo alle previsioni dell’art. 3 d.lgs n. 314/1997 che  ha stabilito la tassazione della indennità di trasferta nella misura del 50%.

Il comma 3 ha poi previsto l’adeguamento stabile dell’indennità di trasferta attraverso decreto dirigenziale del Ministero della Giustizia, poiché, qualificandosi l’attività in questione come meramente amministrativa, tale strumento risulta più idoneo rispetto al decreto del ministro originariamente previsto.

Infatti, come si legge nella relazione illustrativa al testo unico sulle spese di giustizia, la possibilità dell’adeguamento non si collega alla discrezionalità, ma all’accertamento delle variazioni da parte dell’ISTAT.

Parimenti, in ordine alle statuizioni dell’art. 246 del T.U., circa il versamento agli ufficiali giudiziari della percentuale sul riscosso, la relazione illustrativa ricordata spiega che la previsione di una fonte secondaria trova giustificazione nel fatto che il diritto alla percentuale considerata – che rientra tra gli elementi della retribuzione valevoli per la pensione ordinaria -  è disciplinato altrove (art. 122, n. 2, D.P.R. 1229/59 e artt. 2 lett.g) e 6, CCNL 24 aprile 2002).

L’apparente frammentazione del quadro normativo rende necessario precisare gli ambiti di applicazione delle diverse disposizioni che concorrono a disciplinare il complesso sistema.

L’art. 122, comma 2, D.P.R. 1229/59 prevede per l’ufficiale giudiziario, tra gli elementi della retribuzione, una percentuale sui crediti recuperati all’erario, sui campioni civili, penali ed amministrativi, in ragione del 15%.

Detta percentuale è stata ricompresa fra le voci retributive dell’ufficiale giudiziario, nell’art. 2 lett g) del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro sottoscritto il 24 aprile 2002.

L’art. 6 dello stesso Contratto ha stabilito le modalità di ripartizione di essa fra gli aventi diritto.

L’art. 246 sulle spese di giustizia ha, invece, rideterminato la procedura di liquidazione della stessa precisando, come si legge nella citata relazione, che nel T. U. “…viene in questione solo la procedura di liquidazione che, in quanto tale, può essere delegificata” e che la disposizione in commento si propone di semplificare al massimo la procedura esistente, che non ha funzionato.

 Conseguentemente ha previsto la liquidazione della percentuale direttamente dai concessionari.

I concessionari, si legge, sono in grado di pagare direttamente avendo tutte le informazioni utili: hanno l’evidenza del riscosso, detratte le somme spettanti a terzi, ed hanno l’evidenza delle somme ricavate dalla vendita dei beni confiscati, poiché nei modelli di versamento dagli uffici giudiziari ai concessionari c’è un apposito codice tributo 919T.

Così ridefinito l’ambito di riferimento, risulta confermata la fonte contrattuale come fonte primaria della retribuzione quando la prestazione è legata all’espletamento di attività connesse alla funzione giurisdizionale, come nel caso della notificazione e delle esecuzioni, i cui soli proventi possono coerentemente essere imputati allo stipendio dell’ufficiale giudiziario.

Non altrettanto deve ritenersi per il diritto di protesto che il Contratto, fonte primaria e inderogabile, non ha ricompreso fra gli elementi che finanziano, a norma dell’art. 3 CCNL 24 aprile 2002, la retribuzione degli ufficiali giudiziari, come invece espressamente prevedeva l’art. 123 del D.P.R. 1229/59.

Va sul punto evidenziato, nella pratica, quale conseguenza della prassi precedentemente formatasi sulla scorta dell’art.123 dell’Ordinamento, l’indebito assoggettamento del diritto di protesto ai proventi che concorrono ad autofinanziare la retribuzione da lavoro dipendente, contrattualmente determinata.

E ciò, per la inconciliabile natura di tale diritto, dovuto al pubblico ufficiale in ragione del rischio da questi assunto  e, perciò, corrisposto in proporzione all'importo della cambiale o dell'assegno.

Osta ad una diversa soluzione la differente natura dei diritti di notificazione e di esecuzione che, rapportati al numero delle richieste, vanno qualificati come tasse pagate allo Stato dal privato per usufruire di un pubblico servizio (Così TAR Lazio, sez I, 16 dicembre 1981, n. 1027; Cass. 14 ottobre 1975, n. 3311).

Diversamente si incorrerebbe in una violazione dei principi di uguaglianza e di proporzionalità della retribuzione costituzionalmente garantiti oltre che in una palese disparità di trattamento fra l'ufficiale giudiziario e il segretario comunale, stante la piena omogeneità di essi, sia sotto il profilo soggettivo (entrambi impiegati pubblici e destinatari dello stesso contratto) che oggettivo (identità di incarico di elevazione dei protesti).

La Circolare Ministero delle Finanze n.10/8/721 del 23 maggio 1987 stabilisce, infatti, per il segretario comunale, che “ … i proventi riscossi per l’attività della levata dei protesti cambiari… non costituiscono reddito assimilato a quello di lavoro dipendente… bensì vanno considerati come relativi ad una attività produttiva di reddito di lavoro autonomo”.

Precisava sul punto la Corte di Cassazione con la Sent. n. 274 del 23 gennaio 1985 che “ …il servizio di levata dei protesti, pur essendo attribuito al segretario comunale in considerazione della sua qualifica, è estraneo ai suoi compiti istituzionali e viene svolto dallo stesso predisponendo l’organizzazione indispensabile a tale scopo ed affrontando spese del tutto estranee al rapporto d’impiego”.

In detta situazione, conclude la Corte di Cassazione che, il reddito prodotto per l’esercizio della cennata attività deve essere tassato secondo la natura sua propria, indipendentemente dalla circostanza che esso sia stato prodotto dalla stessa persona fisica.

In altri termini la Suprema Corte ammette che ove la stessa persona fisica, espleti attività ontologicamente diverse, che coinvolgono una qualificazione di status concorrenti (impiegato – libero professionista) sia doveroso applicare criteri di tassazione coerenti alla diversa natura dei redditi prodotti.

Molte cose potrebbero dirsi a dimostrazione dell’assunto, ma per rimanere al tema trattato, credo sia opportuno solo evidenziare come l’ufficiale giudiziario predisponga i mezzi ed organizzi autonomamente e a proprio rischio l’attività di levata dei protesti, per lo più al di fuori dell'orario di ufficio (le commissioni cambiarie vanno accettate fino alle ore 18 come previsto dall'art. 9 Legge 12 giugno 1973 n. 349), assumendo, ove ritenuto opportuno, personale dipendente, i c.d. presentatori, a norma dell'art. 2 L. 349/73 ricordata, cui è tenuto a corrispondere il compenso in forza di un rapporto di lavoro di natura privatistica. (Così Cass. Sez. Unite 6/2/1984 n.887).

Se detta attività volesse, di contro, ipotizzarsi come afferente al rapporto di pubblico impiego, a tacer d'altro, le ricordate modalità risulterebbero inconciliabili sia con l'obbligo di espletamento personale delle prestazioni, e non tramite altri soggetti, (Cass. Sez. Unite 6 febbraio 1994 n. 887), che, non secondario, con il divieto espressamente previsto per l'ufficiale giudiziario di assumere negli uffici personale privato (art. 1, ultimo comma del D.P.R. 1229/59).

Determinante, per una compiuta comprensione della questione, l’argomentazione portata sul punto della Suprema Corte nella decisione 274 del 1985 ove afferma “… è canone ripetutamente affermato nella giurisprudenza della Corte costituzionale che, per effetto del principio di eguaglianza, deve essere assicurata ad ognuno eguaglianza di trattamento, quando eguali siano le situazioni soggettive ed oggettive alle quali le norme giuridiche si riferiscono e che norme diverse devono essere dettate per regolare situazioni diverse adeguando così la disciplina giuridica agli svariati aspetti della vita sociale.

Di conseguenza, l’esistenza del rapporto di impiego non impone che le detrazioni debbano essere necessariamente effettuate con le modalità previste per i lavoratori dipendenti, quando il reddito sia stato prodotto mediante un’attività che presenta i caratteri sostanzialmente diversi ed analoghi, invece, a quelli propri del lavoro autonomo. In questo caso le detrazioni devono essere effettuate secondo i criteri previsti per questa forma di attività.

Pertanto, il reddito prodotto deve essere tassato secondo la natura sua propria indipendentemente dalla circostanza che esso sia stato prodotto dalla stessa persona fisica; il reddito di lavoro dipendente va tassato secondo i criteri per esso previsti e quello che presenta caratteristiche affini a quello di lavoro autonomo, secondo i criteri stabilito per quest’ultimo”.

Ne consegue che i proventi imputati allo stipendio, il 50% dell'indennità di trasferta e la percentuale sono tassati come reddito di lavoro dipendente mentre i compensi, in tutti i casi previsti, quale corrispettivo per attività professionali rese, dovranno essere tassati secondo i criteri stabiliti per i redditi di lavoro autonomo.

 

8.     L’effettività del diritto e l’azione dell’ufficiale giudiziario

Le tante parole spese negli ultimi tempi su temi qualificanti della esecuzione, sulla necessità di porre rimedio a quella da tutti avvertita come la crisi del processo esecutivo ed in particolare della espropriazione forzata, si sintetizzano per noi pratici, per cultura poco votati alla speculazione teorica che illumina e contraddistingue gli accademici e gli eruditi del diritto, nella concreta difficoltà, quando non impossibilità, di attuare diritti e dare concretezza al credito.

La nostra esperienza di vita, da qualunque luogo proveniamo, è accomunata dalla conoscenza della realtà effettuale del sistema esecutivo, quello vivente, quello imposto dalla prassi, quello che sa fare a meno dell’ufficiale giudiziario.

Siamo testimoni, per lo più impotenti, della grave frattura che quotidianamente si realizza fra norma codificata e pratica attuazione del diritto, con il ricorso a  metodi che “alternativi alla legge”, impongono, per altra via, la realizzazione dei crediti.

Non stà a noi ricordare che  l’esecuzione forzata costituisce la risposta che l’ordinamento dovrebbe offrire alla domanda di tutela esecutiva, n’è che il carattere coattivo non è dato dall’impiego materiale della forza quanto dall’attività dell’organo esecutivo per far ottenere a chi ha un diritto, “tutto quello e proprio quello che egli ha diritto di conseguire”, perché, come diceva CHIOVENDA “la volontà della legge abbia ad attuarsi nel campo dei fatti fino alle estreme conseguenze praticamente e giuridicamente possibili”.

La tutela coattiva del diritto costituisce, perciò, monopolio irrinunciato dello Stato, che non tollera che i privati si facciano giustizia da se.

Il tradimento di questa regola è denuncia da molti, forse avvertita da tutti, ma è vissuta con senso di frustrazione personale e professionale  da chi è investito del dovere di dare effettività ai diritti.

L’ufficiale giudiziario deve farsi carico di ripristinare, nell’ambito delle sue competenze, situazioni di legalità, riappropriandosi dell’esercizio effettivo delle attribuzioni e dei poteri che gli derivano dalla legge, riaffermando il primato della propria azione nella concreta tutela degli interessi del cittadino e della giustizia.


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